Pubblicato su Repubblica.it
PIACENZA – Quando Mohamed Arafat sbarcò in provincia di Agrigento non immaginava che otto anni dopo avrebbe fatto tremare due grandi multinazionali. Questo ragazzo egiziano è stato il leader degli scioperi alla TNT, colosso mondiale delle spedizioni. Ora guida la protesta al magazzino Ikea più grande d’Europa. «Lo Stato ci dovrebbe dare una medaglia per i soldi che abbiamo recuperato alle casse pubbliche. Dopo le lotte del 2010 le cooperative per cui lavoro hanno cominciato a pagare i contributi. Adesso sono in regola al 100%. In cinque anni non era stato versato neanche un centesimo, ora arrivano milioni di euro».
Invece del premio ha ricevuto cinque denunce per manifestazione non autorizzata. «Ai tempi di Mubarak, quando facevo politica all’università di El Mansoura, non avevo mai avuto problemi con la polizia», racconta. Con in tasca una laurea in servizio sociale, sposta pacchi nel polo logistico più grande d’Italia. Qui ci sono anche i due immensi magazzini Ikea, dove si smistano i mobili che andranno in tutti i negozi italiani, in Svizzera e nel Mediterraneo orientale.
La puntualità nelle consegne è un’ossessione. Per ottenerla, i servizi di logistica sono subaappaltati al consorzio di cooperative CGS. L’obiettivo è ottenere la massima produttività. A che prezzo? «Quello che io chiamo “caporale” mi lasciava a casa da due a tre giorni la settimana», ci dice Samir. «Dicevano: c’è poco lavoro. E allora perché gli altri fanno staordinario mentre noi stiamo a casa?». I lavoratori parlano di punizioni.
Codice di condotta
Sulla base delle verifiche della Direzione provinciale del Lavoro, «le accuse di una decina di soci lavoratori appartenenti ai sindacati di base risultano definitivamente prive di fondamento», replica il consorzio CGS. «Dal 2000 il Gruppo Ikea si è dotato di un codice di condotta articolato e rigoroso (IWAY) per garantire che il prezzo basso dei suoi prodotti non sia un risultato ottenuto grazie a condizioni sociali e ambientali inaccettabili», ci dice Valerio Di Bussolo, responsabile relazioni esterne di Ikea Italia. «Intendiamo instaurare con i nostri fornitori un rapporto basato sul rispetto dei principi etici e comportamentali, in particolare richiede il pieno rispetto di tutte le norme, specialmente quelle riguardanti l’ambiente e le condizioni di lavoro».
Nel frattempo l’ultima vertenza si è conclusa col reintegro di otto lavoratori. Erano stati licenziati perché «rifiutavano di lavorare in siti diversi da Ikea», secondo l’azienda. Uno spostamento punitivo per i sindacati. Da ottobre la tensione altissima. Tre mesi di presidio, blocchi dalle cinque del mattino e picchetti hanno lasciato il segno. Lo scorso 17 dicembre il centro commerciale è stato costretto a chiudere del tutto, subendo un grave danno. Poi il cedimento col reintegro dei lavoratori e un’ultima coda velenosa: un foglio di via per Aldo Milani, leader del Si Cobas, il sindacato che promuove le vertenze. Non potrà mettere piede sul territorio piacentino per tre anni.
In genere i capireparto sono italiani, gli operai nigeriani, senegalesi, sudan, albanesi, macedonia, persino qualche russo. Lo scorso tre marzo oltre mille lavoratori del settore si sono collegati in videoconferenza da otto città: da Milano a Roma, da Torino a Treviso. Hanno deciso uno sciopero di 24 ore di tutta la logistica: «Vogliamo contare di più nei magazzini e nel paese».
L’attesa
Fino a pochi anni fa, nei vari magazzini, poteva capitare che convocavano un lavoratore alle cinque del pomeriggio, lo facevano entrare alle dieci di sera, per poi congedarlo in piena notte dopo poche ore di lavoro. Da simili angherie – più che da questioni strettamente economiche – nasce il movimento si è esteso in oltre 170 cooperative in tutta Italia, da Milano a Roma. La paura è sparita. La lotta dei migranti oggi è un messaggio per tutti i lavoratori italiani.