Nella mattina di martedì 26 marzo 86 egiziani, arrivati su una imbarcazione in legno lunga circa 14 metri, sono sbarcati nella baia Arcile di Brucoli, vicino Siracusa e dopo essere stati rintracciati dalle forze di polizia, sono stati condotti in un centro di detenzione informale allestito nella città di Siracusa per le prime operazioni di identificazione. Una prassi ormai abituale da parte delle questure siciliane, che utilizzano palestre e stadi, da ultimo a Mazara del Vallo (TP) ed a Sciacca (AG) per detenere immigrati appena sbarcati in vista di un loro rimpatrio sommario senza alcun rispetto delle garanzie procedurali previste dalla legge e dalle normative internazionali anche in favore dei migranti irregolari, da considerare comunque come persone e non come pacchi da rispedire al mittente.
Con la solita coda della scoperta degli immancabili scafisti, sulla base delle dichiarazioni rese da qualche migrante subito dopo lo sbarco, una notizia buona per coprire tutte le prassi illegittime adottate con la detenzione informale e con i respingimenti collettivi. E le indagini per la scoperta degli scafisti sono spesso adottate come giustificazione per la detenzione “in incommunicado” di decine di persone private dei loro diritti fondamentali, trattati come pericolosi delinquenti piuttosto che come sopravvissuti ad una fuga dolorosa dal proprio paese ed a una traversata nella quale hanno messo a rischio la loro vita.
La notizia dello sbarco di Brucoli è stata diffusa solo il giorno successivo, solo dopo che nella notte, per quanto risulta, 35 migranti erano stati già rimpatriati in Egitto, grazie agli accordi di riammissione stipulati nel 2007 e perfezionati da Maroni ai tempi di Moubarak, accordi che consentono alle forze di polizia, grazie alla collaborazione degli agenti consolari egiziani, riconoscimenti sommari, e respingimenti collettivi, vietati dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo (Quarto protocollo allegato, articolo 4) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 19). Non risulta che i migranti rimpatriati ieri con tanta sollecitudine in Egitto abbiano potuto incontrare i rappresentanti della missione PRAESIDIUM, che vede da anni l’OIM, l’ACNUR, la Croce Rossa e Save The Children in un rapporto di convenzione con il ministero dell’Interno per fornire informazioni ai migranti subito dopo l’ingresso nel territorio nazionale, anche al fine di individuare soggetti vulnerabili e prestare assistenza ai potenziali richiedenti asilo.
Altri 50 migranti circa, probabilmente riconosciuti come minori non accompagnati, non si sa quanti ammessi alle procedure di protezione internazionale, sarebbero ancora rimasti nel territorio nazionale. Non si sa quanti tra loro abbiano potuto presentare una istanza di protezione internazionale, alla luce della situazione attuale dell’Egitto. Di certo, in quasi tutti gli ultimi sbarchi di migranti provenienti dall’Egitto erano presenti cristiani copti, che fuggono dal loro paese per le violenze e gli attentati ai quali sono sottoposti in questi ultimi mesi, come è confermato anche dai rapporti delle principali agenzie umanitarie sulla situazione di pesanti violazioni dei diritti umani fondamentali in quel paese.
La giurisprudenza italiana, inoltre, conferma che gli egiziani vanno considerati di minore età, e dunque inespellibili ai sensi dell’art. 19 del T.U. n.286 del 1998, fino ai 21 anni perché solo a quell’età in Egitto si diventa maggiorenni. Sarebbe dunque obbligatorio sottoporre, ben prima di eseguire i respingimenti, tutti i migranti ad un accertamento approfondito dell’età effettiva.
Come risulta da un comunicato di Save The Children “la maggiore età dei ragazzi e delle ragazze stranieri deve essere stabilita in base alla legge dello stato di cui hanno la cittadinanza, e non secondo la legge italiana. Lo dice la legge n. 218/95 (articolo 42). Questa legge prevede che si deve applicare in ogni caso la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori(articolo 12). Per conseguenza, le autorità italiane devono considerare minorenni i ragazzi che sono tali in base alla legge dello stato di origine e adottare i provvedimenti di protezione previsti dalla legge italiana per i minorenni, fino al raggiungimento della maggiore età così stabilita. Sulla base di questa argomentazione, sono stati annullati dal Tribunale di Roma dei decreti di espulsione emessi nei confronti di ragazzi stranieri diciottenni, perché la normativa dello stato di origine (Egitto), li considera tali solo al compimento dei 21 anni”. In questo senso si sono pronunciati: il Giudice di Pace di Roma, decreto del 05.12.2012 in proc. n. 42634/2012 ed il Tribunale di Roma, decreto del 20 settembre 2011 in proc. n. 17850/2010.
In base al Regolamento UE sulle frontiere Schengen n. 562 del 2006 le autorità di polizia sono comunque tenute al rispetto di una procedura precisa nei casi di respingimenti alle frontiere esterne dell’Unione, a partire dalla garanzia dei diritti di difesa e di ricorso e nel rispetto assoluto del diritto fondamentale di chiedere asilo o altra forma di protezione.
Il Regolamento CE n. 562/2006 stabilisce che i cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea che debbano fare ingresso o debbano uscire dal territorio dell’Unione siano sottoposti, nel pieno rispetto della loro dignità umana e senza alcuna discriminazione, a “verifiche approfondite”. In particolare, all’art. 3 lett.b) e previsto che il Regolamento “si applica a chiunque attraversi le frontiere interne o esterne di uno Stato membro senza pregiudizio dei diritti dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale, in particolare per quanto concerne il non respingimento” ed al successivo art. 13 precisa che “il respingimento può essere disposto solo con un provvedimento motivato che ne indichi le ragioni precise” e che “il provvedimento e adottato da un’autorita competente secondo la legislazione nazionale ed e di applicazione immediata”.
I diritti ed obblighi, disciplinati dal Regolamento CE n. 562/2006, sono finalizzati alla verifica delle posizioni individuali dei soggetti presenti alla frontiera in modo da garantire che nessun provvedimento di respingimento possa essere adottato nei confronti di persone bisognose di protezione internazionale. Le autorità di polizia non possono impedire la formalizzazione di una richiesta di asilo procedendo ad una operazione di rimpatrio collettivo come quella attuata nella notte del 26 marzo da Siracusa verso l’Egitto.
La Suprema Corte di Cassazione, sezione prima civile, nella sentenza n. 26253 del 15 dicembre 2009, nel ribadire il pieno diritto di accesso alla procedura di asilo da parte del richiedente bisognoso della protezione internazionale, ha sancito che le autorità di polizia hanno l’obbligo tassativo di astenersi dall’assumere provvedimenti di espulsione o di respingimento che possano impedire l’accesso alla procedura di asilo.
La Corte di Cassazione ha ribadito che “dal predetto quadro normativo emerge incontestabilmente che il cittadino extracomunitario giunto in condizioni di clandestinità sul territorio nazionale e come tale suscettibile di espulsione ex art. 13 c.2 lettera A del d.lgs 286/98 abbia il diritto di presentare istanza di protezione internazionale e che l’Amministrazione abbia il dovere di riceverla (inoltrandola al questore per le determinazioni di sua competenza) astenendosi da alcuna forma di respingimento e di alcuna misura di espulsione che impedisca il corso e la definizione della richiesta dell’interessato innanzi alle commissioni designate in ossequio al dettato di legge”.
La domanda di asilo non puo essere dunque sottoposta ad alcuna valutazione di ammissibilità da parte dell’autorita di pubblica sicurezza, che in tutti i casi deve limitarsi a riceverla e a trasmetterla all’autorita accertante (Commissioni territoriali ex artt. 3 e 4, co. 1 D. Lgs. 25/08). Il decreto legislativo n.25 del 2008 ha espressamente abrogato quelle residue disposizioni della legge Martelli (39/90) che consentivano alle autorità di polizia in frontiera di valutare come manifestamente infondata una richiesta di asilo.
Una normativa vincolante di fonte comunitaria che qualifica come illegittima, ai limiti dell’illecito penale, il comportamento seguito alle autorità di polizia che eseguono respingimenti collettivi subito dopo l’ingresso nel territorio dello stato, senza formalizzare alcuna procedura, senza consentire accesso alla procedura di asilo e senza alcuna convalida dell’autorità giurisdizionale. Una violazione eclatante dell’art. 13 della Costituzione, che per la Corte Costituzionale, a partire dalla sentenza n.105 del 2001, è pienamente applicabile a tutte le procedure di allontanamento forzato dei migranti irregolari comunque presenti nel territorio dello stato.
Sono anni che queste gravi violazioni del diritto interno e del diritto dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa vengono denunciate dalle associazioni antirazziste, ma la magistratura archivia sistematicamente tutti gli esposti, anche quando sono documentati e soprattutto quando da parte delle stesse autorità di polizia neppure si fornisce la prova di avere rispettato le formalità e le garanzie imposte dalle leggi a protezione dei diritti fondamentali dei migranti, da riconoscere a tutti, “comunque presenti nel territorio dello stato” ( art. 2 del T.U. n.286 del 1998) dunque anche ai cd. irregolari. Una situazione che alimenta un diffuso senso di impunità tra le forze dell’ordine che, soprattutto nei momenti di vuoto politico, come quello che stiamo attraversando, e nel vigore di accordi bilaterali stipulati con dittatori oggi deposti, si ritengono titolari di poteri discrezionali illimitati nei confronti dei migranti irregolari al punto da trattarli come oggetti di cui liberarsi al più presto, come se neppure si trovassero sul territorio nazionale.