Novecento firme raccolte, l’impegno dei candidati di SEL e Rivoluzione Civile (inclusi i leader), un intervento del governo tardivo e contraddittorio ma comunque reale (l’allargamento della tendopoli). Abbiamo contribuito a presentare sui media la questione nelle sue giuste dimensioni: non emergenza umanitaria ma conseguenza dei meccanismi di sfruttamento. Abbiamo contrastato la campagna basata su pietismo e allarmismo.
Alla fine il bilancio della nostra campagna (“Non vi voteremo senza il vostro impegno su Rosarno”) potrebbe sembrare positivo. Ma lo è solo in parte. Rimane la sensazione che la questione Rosarno (e tutte quelle collegate, inclusi i casi di grave sfruttamento al Nord) non sarà risolta senza una corretta percezione del fenomeno. Non lo colgono i politici che non hanno aderito (grande assente il PD). Gli africani non votano: e dunque non sono al centro delle agende dei partiti. I candidati che hanno aderito sono anche quelli che si occupano da tempo di immigrazione, conoscono i termini della questione e la rilevanza che ha assunto nel tessuto sociale.
Allo stesso modo, anche i tantissimi cittadini che hanno firmato ci hanno lasciato testimonianze significative, sul dovere dell’accoglienza e l’importanza dei diritti umani. Ma anche a loro, in grandissima parte, sfugge che Rosarno è da anni il laboratorio dello sfruttamento sul lavoro, che colpisce prima i migranti e poi gli italiani. Ancora rimangono nell’ombra le aziende, piccole e grandi, che usano la manodopera bracciantile ma non pagano un centesimo per abitazioni degne, scaricando il costo sulla collettività o sugli stessi lavoratori sottopagati.
Se i migranti – come sta avvenendo nelle piattaforme logistiche della grande distribuzione al Nord – ottengono migliori condizioni di lavoro, queste vanno a beneficio automaticamente di tutti i lavoratori italiani. È bene comprenderlo subito, prima che sia tardi.