Pubblicato su «Micromega»
Rossano (CS) – Un gruppo di sciacalli che si contende i cadaveri dei braccianti rumeni straziati dal treno a gasolio. Le clementine che a Natale arriveranno sulle vostre tavole. La logistica impeccabile della grande distribuzione. Una squadra di calcio travestita da azienda agricola per truffare fondi europei. Centotrenta carabinieri che cacciano pochi maghrebini accampati al porto. Nessuno mette insieme i fotogrammi di una storia che spiega l’Italia come poche altre. Economia legale e criminale, miserie dell’animo umano e slanci generosi, grandi centri commerciali e lavoro paraschiavile. Italiani e migranti, carabinieri e delinquenti. Siamo in periferia, periferia estrema. Non è facile neppure dare un nome a questo posto. Se diciamo Rossano, si attiva il «correttore automatico»: Calabria e arance? Sicuramente voleva dire Rosarno. Se diciamo Sibari non la trovate sulla carta geografica, era una delle più splendenti città della Magna Grecia ma oggi è solo un’area archeologica. E chi conosce Schiavonea? Quei pochi che l`hanno sentita nominare l`associano ai natali di Gennaro Gattuso.
Quest’area marginale rispetto alla stessa Calabria, poche vie di comunicazione e nessun corrispondente importante, produce metà delle clementine che a dicembre arrivano sulle tavole di tutta Italia. Controllate l’etichetta. I mandarini dolci e senza semi sono l’orgoglio di Corigliano e Rossano. Fateci caso alla prossima spesa, perché il frutto del lavoro e dello sfruttamento arriva sui normali banconi, senza particolari distinzioni. Diecimila stranieri nei campi, al freddo dell’inverno, salari da fame e gli italiani comodi a incassare i soldi dell’Inps. Da decenni i falsi braccianti dichiarano le giornate necessarie all’indennità di disoccupazione, senza sporcarsi le scarpe di fango. L’ultima truffa scoperta dagli investigatori è anche una delle più pittoresche. Una società di calcio dilettantistico della provincia di Cosenza si presenta come azienda agricola, chiede le password del sistema informatico centralizzato e bussa alla porta dei fondi europei. Ottenendoli.
La linea jonica non è elettrificata. Ed è monorotaia. Il 24 novembre il treno alimentato a nafta si scontrava con un furgone di braccianti che tornavano dalla giornata di lavoro ai campi. L’impatto ha straziato i corpi di sei cittadini romeni. Pochi hanno collegato la tragedia ai «danni collaterali» dell’agricoltura italiana. Tre uomini e altrettante donne venivano da una stradina di campagna e hanno avuto la sfortuna di incrociare uno dei pochissimi convogli che transitano su quella linea. La via non era un regolare passaggio al livello, ma una intersezione tra campi e binari. Il funerale è stato celebrato a Rossano con rito ortodosso. «Nessuno è troppo piccolo per essere considerato un essere umano», ha detto il vescovo.
Nei campi calabresi non è così. È ormai noto che i lavoratori dell’Est sono reclutati direttamente nei loro paesi. Gli intermediari percepiscono buona parte dei 25 euro della paga giornaliera. Intere famiglie partono da Romania e Bulgaria, trascorrono le settimane della raccolta in alloggi di fortuna e poi tornano a casa silenziosamente. Sono invisibili. A differenza degli africani, non hanno dato vita a proteste e scioperi. I braccianti hanno appena sessanta giorni per raccogliere due milioni e mezzo di quintali di agrumi. I caporali non sono i membri di una rete criminale di «cattivi», ma le brutali agenzie interinali che permettono di recuperare un’immensa quantità di frutta praticamente a costo zero. Pronta per essere confezionata e inviata ai migliori supermercati italiani. Lì i prezzi sono maggiorati. Tanti intermediari continuano a lucrare senza merito.
Le raccolte da tempo si basano sul lavoro silenzioso di migliaia e migliaia di lavoratori stranieri. Solo la morte segnala la loro presenza. E la morte ha richiamato rumorosamente gli uomini delle pompe funebri, protagonisti di una vergognosa rissa per accaparrarsi i corpi. Uno di questi è stato gettato per terra, tra le proteste dei connazionali. «Merce da vivi, merce da morti», ha commentato Annamaria Rivera, tra le poche a comprendere la gravità della vicenda.
Meno risalto ha avuto l’azione di 130 carabinieri che hanno sgomberato 17 maghrebini accampati, al freddo dell’inverno, nella zona del porto. Vivevano in tende di fortuna ricavate da sacchi di plastica. Solo in tre hanno evitato l’espulsione, tutti hanno ricevuto una denuncia per «soggiorno illegale nel territorio dello Stato». Regolari o meno, quando pagano l’affitto delle case sul mare di Schiavonea sono ben accetti. Così i proprietari incassano sia d’inverno che d’estate, quando gli stranieri lasciano il posto ai turisti.
Per un’accoglienza senza assistenzialismo, la onlus Cidis ha avviato il progetto «Vicini di casa». L’idea è quella di fare mediazione tra proprietari di immobili e migranti. Già in Puglia, Basilicata e Calabria meridionale erano stati avviati progetti del genere ma finora senza grande successo. A Rosarno, intanto, è ripartita la campagna di Equo Sud sulle arance etiche. Da Corigliano – comune sciolto per mafia e ancora commissariato – aderisce l’azienda di Giulia Spanò, vittima di un attentato incendiario e vari sabotaggi. Nel ragusano, a Vittoria, la Flai sta approntando un sistema di trasporto per i lavoratori – in questo caso stanziali – delle serre. Una delle storiche misure anticaporalato del sindacato era proprio il pulmino gratuito. Grazie ai migranti si riannoda il filo coi tempi di Di Vittorio.
Sono lontane dai riflettori dei «grandi» media e dagli interessi dei politici. Ma le campagne sono anche luoghi di elaborazione di risposte ai problemi della casa e del lavoro. Temi che fino a qualche tempo fa sembravano lontani per molti italiani. Oggi nelle grandi città i trentenni dividono un appartamento anche con cinque coinquilini e in ogni posto di lavoro le forme di sfruttamento hanno raggiunto livelli mai visti. Eppure, chissà perché, continuiamo a tenere la voce «problemi dei migranti» separata dalle altre.