Più libri meno alberi. Nessun Ken Loach...

Appunti dalla fiera della piccola editoria di Roma

Più libri meno alberi. Nessun Ken Loach per rompere l`ipocrisia

Antonello Mangano
  Prima giornata del Salone della piccola editoria a Roma. Un`infelice campagna pubblicitaria è anche un lapsus. Il libro di carta sarà ucciso dall`elettronica? Nessuno lo dice ma tutti lo pensano. E, a proposito di ipocrisia, mancherà anche «un» Ken Loach. Qualcuno cioè che metta in evidenza lo sfruttamento feroce del mondo editoriale. Fatto di subappalti, stage, finte partite Iva. Qualcuno invece propone improbabili corsi.
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ROMA – Un ceppo di legno e la dicitura «Anche questo è un libro». È la campagna pubblicitaria del salone della piccola editoria di quest’anno. Roma 2012, il mistero dello spot. Che vuol dire? L’enigma si svela guardando le altre invenzioni dei creativi. Il filo conduttore è l’associazione di idee. Tronco di legno – Pinocchio; maialini – La fattoria degli animali. E così via. Solo che tutta la città è tappezzata con la pubblicità del legno. E qualcuno lo interpreta come: «Anche questo è un libro, dunque non abbattete gli alberi».

***

Il fantasma del libro elettronico, del resto, aleggia ovunque. Stanno relegati in fondo al piano terra, tra il caffé letterario e le scale, nonostante Sony sia tra gli sponsor principali del salone e IBS uno degli operatori principali del mondo editoriale. Gli altri non ci sono. Né Amazon né Apple, e forse non ritengono utile mostrare gadget elettronici che del resto tutti conoscono. Il libro elettronico è il futuro, è il protagonista dei convegni e nessuno ufficialmente ne parla male. Ma per tanti è il nemico, il killer. Ucciderà il libro di carta, una intera civiltà basata sul volume rilegato. E distruggerà le librerie, sconfitte da orde di nativi digitali brufolosi e multitasking, incapaci di andare oltre le 10 righe prima di resistere alla tentazione del cambio di applicazione, prima di controllare se è arrivato un nuovo messaggio da Facebook.

salone piccola editoria roma

Non c`è Ken Loach, a Roma. Non avrebbe avuto motivo di esserci, se non per rompere l`ipocrisia come ha fatto al Festival del Cinema di Torino. Lì ha rifiutato platealmente di ricevere un premio non perché la cooperativa che gestisce la logistica sfrutta i lavoratori (problema specifico) ma per protestare contro l`esternalizzazione sistematica (problema generale).

Il suo gesto, oltre a non essere compreso, è stato vissuto con fastidio. Nessun intellettuale di sinistra ha seguito il suo esempio. E nei convegni, nelle premiazioni, nelle tavole rotonde i colti autori delle battute contro il precariato ignoreranno che chi ha montato il palco, chi ha portato il pacco coi libri in vendita, chi pulirà la sala dopo l`ultimo applauso è uno stagista, un «volontario» a rimborso spese, una falsa partita Iva. Come in agricoltura, come in edilizia. Ma con più spocchia.

Si vergognerebbero come ladri a lavorare in un`agenzia immobiliare con un contratto a tempo indeterminato, fanno orgogliosamente gli stagisti a condizioni che un cinese rifiuterebbe. Sono i normali lavoratori della piccola editoria, gente che con passione e dedizione tira avanti la carretta più per la voglia di lavorare nella cultura che una reale remunerazione. La crisi ha reso più dure le loro condizioni. A Milano non ne possono più. Lì l`editoria è una vera industria. Eppure i grandi gruppi chiedono ai loro dipendenti di farsi la partita Iva. Non si fa più nemmeno in edilizia coi muratori rumeni. Persino la riforma Fornero lo aveva proibito. I precari del mondo editoriale rilasciano interviste anonime, manco fossero pentiti di mafia.

E poi ci sono corsi surreali. Oggi promuovono quello in «alta formazione per la gestione delle librerie». Ragazzi sorridenti aprono il pieghevole che viene distribuito. In perfetta contemporanea l`associazione degli editori (AIE) distribuisce un libro elettronico che paragona i grandi bookstore internazionale (Apple, Kobo, Amazon, Barnes & Noble) ai i regni combattenti della Cina avanti Cristo. Numeri con tanti zeri e scenari paranoici fanno comunque pensare che non ci sarà molto spazio, nei prossimi anni, per i piccoli punti di distribuzione.

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