Perchè la mafia non muore mai

Antimafia

Perchè la mafia non muore mai

  Un`ombra cupa, nera, di affari e violenza, di logge e di clan, accompagna il passo veloce delle classi dirigenti nazionali: disegnando un sentiero parallelo alla sovranità democratica, un tunnel scavato nelle viscere della storia ufficiale, una caverna sanguinosa e mefitica ricavata negli interstizi del potere.
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Il passo talvolta cede sotto il piombo inaspettato degli antichi sodali: come accadde all`europarlamentare democristiano Salvo Lima, che fu il fiore dell`andreottismo insulare e la cerniera con l`onorata società. Oppure quel passo può inciampare nei dirupi di una condanna giudiziaria: come accade oggi all`europarlamentare forzista Marcello Dell`Utri, che per oltre vent`anni fu il tessitore delle “cose nostre” del berlusconismo.

Un`ombra cupa, nera, che rimbalza sui morti ammazzati, su intere stagioni di sangue, sui traffici che annodarono il lecito all`illecito, sui valzer che lo Stato danzò non di rado con l`Antistato. Spesso si è cercato di trafiggere quell`ombra con i raggi di una giustizia non più mirata, con i suoi plotoni di esecuzione penale, solo sui moderni “ladri di biciclette”. Qualche ufficio di Procura ha salito le scale del Palazzo: non si è fermato a perquisire gli scantinati abitati dai manovali del crimine organizzato, ma ha osato aprire le porte dei piani alti, invadendo i salotti buoni dell`establishment, frugando nelle scartoffie dei colletti bianchi, radiografando i conti bancari e le frequentazioni spericolate di imprenditori, professionisti, politici. Ma quasi sempre si è avuta la sensazione che il buio fosse più forte della luce, che la giustizia non potesse affacciarsi sulla soglia dei santuari dell`eccellenza di classe, che la verità fosse indicibile se non in forma di apologo o di metafora o di maledizione. La mafia infine ha vinto perché è riuscita ad occultare la sua sostanza materiale: e cioè la sua organicità al processo di costruzione di un modello di crescita e di dominio.

Noi l`abbiamo inseguita (quando l`abbiamo inseguita), investigata, raccontata, catturata nel suo corpo di milizia organizzata: scompaginando cosche, catturando latitanti, condannando boss. Ma abbiamo per troppo tempo smesso di vedere il suo radicamento sociale, la sua fisionomia sovrapposta ad ogni ambizione di modernizzazione, la sua egemonia culturale in territori larghi di Mezzogiorno. La mafia non muore neppure se crolla Totò Riina o il suo erede o l`insieme dei suoi sottoposti o tutto il suo castello. La ‘ndrangheta non arretra di un millimetro neppure se detronizzano il suo re, il leggendario Tiradritto la cui parabola ci tira dritto nel torbido del potere calabrese. E può morire Cutolo e quello che lo soppianta e tutti i don Raffaele partenopei, ma la camorra risorge sempre come un`araba fenice. Perché le mafie, oltre che volti e nomi di arcigni leader criminali e di coltri di serial-killer, sono una processione di volti e nomi che, nell`insieme, rappresentano una stratificazione di ceti, una sedimentazione di codici sociali, e persino un`antropologia. La mafia, questo voglio dire fuori da qualsiasi discorso sulle sentenze e sui processi, continuerà ad esistere finché vivrà quella borghesia mafiosa che ha i propri eroi in Totò Cuffaro, l`agrigentino governatore di Sicilia, e nel palermitano doc Marcello Dell`Utri.

Qui non interessa apprezzare la pesantezza penale dei comportamenti del braccio destro o sinistro di Silvio Berlusconi. Non siamo pubblici ministeri né magistrati giudicanti. Qui non si contestano reati. Piuttosto cerchiamo la filigrana delle cose, provando a costruire giudizi politici. Ebbene: tutta la vita di Dell`Utri appare come un viaggio di andata e ritorno tra l`epopea edilizio-finanziaria-televisiva della “Milano da bere” e la retrovia livida di una Palermo chiusa nelle girandole degli scambi, delle allusioni, delle riverenze e delle referenze mafiose. Una vita gonfia vieppiù di ambizioni, di soldi, di potere, di relazioni a tutto campo con una cupola protettiva e quasi nativa. Un eroe della Sicilia arricchita e spavalda, in corsa frenetica verso la propria eterna fissità, terra di gattopardi o di quaquaraquà. Un eroe istituzionale, icona nazionale e patriottica dell`amicizia e della famiglia.

L`amico Dell`Utri, dice di lui Marcello Pera. Sta parlando del bibliofilo. L`amico Dell`Utri, dice di lui Pierferdinando Casini. Sta parlando del bibliofilo ma sta pensando ad altro, al suo stesso partito, l`Udc, e alla preziosa mensa elettorale allestita negli anni da Totò Cuffaro. Vedete l`innocenza dello Stato? Cingono d`affetto uno appena condannato a nove anni di carcere per mafia, mica stanno parlando di un martire di Nassirya!

Ma è sempre quell`ombra cupa, nera, che insegue storie fastidiose, che evoca un mondo di fasti e di nefasti, dove il dire e il non dire segnano i confini della vita e della morte. La mafia si scioglie in quell`ombra. Ineffabile, andreottiana. In fondo, è la luce che ci ferisce gli occhi.

Nichi Vendola

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