Pubblicato su «MicroMega»
MESSINA – «Moriremo tutti». Il gruppo di giovani guarda un nuvolone nero e ipotizza – ridacchiando – una tragica fine. Scherzi di ragazzini, ma non è un caso che da queste parti si giochi così. Tre anni fa, dal cielo arrivò una macchia nera come quella e fece una quarantina di morti. Zona sud, Giampilieri. Il movimento No Ponte chiese la messa in sicurezza del territorio. Nessuno fece nulla, anzi oggi si discute dei 300 milioni di euro che Impregilo potrebbe intascare. Per non aver fatto il Ponte. E oggi c’è sempre la stessa paura. Morire travolti da acqua e fango.
Si vota nella terra del disastro. Lo Stato va via e lascia pianto e dolore. Grillo è sbarcato a nuoto e ha detto: «Portiamo l’innovazione, qui non avete né reti, né wi-fi, né ADSL». Forse è l’unica cosa che non manca. Ci sono in compenso cumuli di spazzatura ovunque, perché i mezzi del Comune non avrebbero i soldi per il gasolio. Protestano tutti. I lavoratori degli autobus senza stipendio. Il teatro che rischia la chiusura. Le case di cura senza soldi. Gli operai del birrificio. Persino i marittimi della Caronte – monopolista di fatto del traghettamento – sono in sciopero. Un evento storico. Il padrone, nonostante i profitti ingenti, vuole prendere dalle tasche dei lavoratori quello che spende per l’aumento del carburante.
Persino nei posti pubblici si diffonde il terrore. Crollano antiche certezze. In una scuola tutti sono convinti che quest’anno la tredicesima non arriverà. Impiegati solitamente placidi, abbarbicati alle loro scrivanie con energia di bradipo, ora vomitano parole di fuoco. Sciopero. Azioni durissime. Ci incateneremo.
In tutta la città c’è chi minaccia di lanciarsi del vuoto, chi non mangia da giorni, chi prova l’assalto al municipio. Ogni mese, la battaglia dello stipendio. Alcuni si lamentano della città indifferente. «Non gli importa nulla di noi». Ma chiunque può dire la stessa cosa. Per anni è stata la fiera del particolarismo, alimentato dalla clientele politiche. «Il silenzio dell’azienda ci preoccupa», hanno scritto candidamente gli operai della Triscele, in presidio permanente di fronte al loro stabilimento.
Si tratta della storia più assurda. Producevano la Birra Messina, non un grande marchio, ma radicato nel territorio. Lo comprò la Heineken, per poi disfarsene. Venne un imprenditore locale – Triscele, appunto – ma il marchio non lo poteva usare. Perché nel frattempo la Birra Messina aveva la sede a Milano, viale Monza, e si produceva negli stabilimenti di Taranto o Bergamo. La produzione locale decise allora per due nuovi marchi, “Birra del Sole” e “Patruni e sutta”, dal gioco popolare altrove chiamato «zecchinetta», diffuso in tutto il Sud. Sembrava una bella storia di imprenditoria locale. Poi – all’improvviso – il fallimento. Ai lavoratori una promessa contorta. Sarebbero stati in qualche modo beneficiari della vendita immobiliare dei terreni dello stabilimento. «Lavoro, non speculazioni», scrivono oggi sugli striscioni. Non è andata a finire bene.
I politici cercano una via di fuga. Buzzanca, l’ex sindaco, si è dato al surrealismo. I suoi biglietti elettorali erano basati sul «Vedete quante cose ho fatto?». Parchi, viadotti, gallerie. Peccato che quasi nessuna opera era completa. In un manifesto elettorale riuscì persino a mettere una vittima di mafia, Graziella Campagna, uccisa a 17 anni. Non c`entrava nulla, i familiari lo invitarono a eliminare quell`abbinamento fotografico di dubbio gusto.
I politici sono odiati, adesso. Non tanto perché – a rubinetto di soldi pubblici chiuso – non riescono più a far arrivare acqua alle clientele. Ma perché hanno prolungato l’agonia fino all’inverosimile. Hanno promesso quando era il caso di tacere. Hanno millantato l’arrosto quando non avevano neppure il fumo. Hanno continuato a fare l’unica cosa per cui sono stati addestrati: distribuire soldi e favori a chi dà il voto.
E con i conti pubblici sull’orlo del disastro – e oltre – hanno deciso di continuare. L’elettore A non è andato a votare. A che serve? Nessuno può proseguire col vecchio sistema, nessuno è capace di inventarne un nuovo. L’elettore B è andato alle urne per appartenenza storica. Comunista o democristiano anche con i nuovi simboli. L’elettore C ha votato per vendetta. Il voto dispettoso, quello che va ai grillini, con il compito preciso di trascinare nella melma anche l’odiato politico. Disastro comune, mezzo gaudio. Bravo il comico genevese e bravi i suoi consiglieri. Nessuno come loro interpreta il livore e le paure della gente. Peccato che la politica sia un’altra cosa.