TUNISI – A raccontarlo con la strada, con le voci di manifestanti e con i piccoli momenti di tensione, il 23 ottobre di quest’anno non sembra essere stato l’anniversario di una delle giornate storiche della Tunisia dopo la fine del regime nel 2011: l’anniversario delle elezioni dell’Assemblea Costituente. Perché in effetti sull’Avenue Bourghiba, partendo così come è tradizione dalla sede dell’UGTT, il sindacato dei lavoratori, sono confluite circa trecento o quattrocento persone, definiti in gran parte dalla stampa locale come i ragazzi che volevano marinare la scuola. Accanto ai giovanissimi, c’era qualche più maturo oppositore dell’attuale governo, ma di certo il quadro era meno sconfortante che al Bardo, di fronte la sede dell’Assemblea dove, mentre i tre presidenti festeggiavano il loro anno di fallimenti, in due marciapiedi separati dalle auto del traffico quotidiano e dalla polizia, si affrontavano con cori e slogan simpatizzanti del Nahda e dall’altro lato un’esigua frangia dell’opposizione.
Dov’era la Tunisia? Forse, di fronte ad un’Assemblea eletta per redigere una Costituzione che è ancora ferma al preambolo e ai principi generali, non è la piazza a dover parlare. Perché gli avvenimenti di una sola settimana ed altre manifestazioni, non da anniversari, lo dicono altrimenti e lo dicono chiaro: di una Tunisia arrabbiata, in crisi e con un processo di transizione en panne.
Nell’arco di soli sette giorni il paese ha infatti visto un omicidio, un grande sciopero della stampa, scontri nel sud con conseguente coprifuoco a Gabes, una manifestazione contro gli omicidi politici e contro la violenza. E come per l’inizio della rivoluzione, non è sempre la capitale ad essere la fortunata o sfortunata testimone degli eventi. È a Tataouine il 18 ottobre, nell’estremo sud del paese, durante una manifestazione del “Comitato di protezione della Rivoluzione”, che Lotfi Nakdh, il presidente regionale dell’unione dell’agricoltura e della pesca, nonché coordinatore del partito all’opposizione Nidaa Tounes, è stato colpito a morte. Gruppi opposti, Nidaa e Nahda, erano in violenta combutta. Tuttavia il Ministero dell’Interno e conseguentemente l’autopsia dell’ospedale avrebbero sentenziato una morte naturale a causa dei problemi cardiaci del defunto. Un’autopsia discutibile per quello che è stato definito il primo omicidio politico del post-rivoluzione.
Soltanto ventiquattro ore prima, una forte mobilitazione di fronte al Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini, ha riunito centinaia di media pubblici e privati, che lamentano la limitazione alla libertà di stampa e la mancata attuazione dei decreti che la garantirebbero. Questa giornata segue ad un lungo periodo di sciopero della fame all’interno di due quotidiani locali, “As-sabah” e “Le Temps”, contro la nomina dei direttori, ex-commissari della polizia. A fine giornata, il governo si è espresso in favore di un’ applicazione dei due decreti che, poiché considerati incompleti, erano stati lasciati in sospeso dal novembre 2011, senza che di nuovi ne fossero redatti. Eppure l’annuncio del governo non si è concretizzato ancora in una data a partire dal quale la loro applicazione dovrebbe prendere il via.
Intanto è Gabes, e dintorni, a vedere fuoco e fiamme con i lavoratori disoccupati nelle piazze che contestano l’assunzione imparziale e poco trasparente da parte di un’impresa pubblica. Secondo i manifestanti, solo i prossimi al partito al potere Nahda e gli appartenenti al clan del suo leader, Rached Ghannouchi, sarebbero stati reclutati. Dalle proteste sarebbero sorti gli scontri violenti con la polizia, e coerentemente con l’incapacità di gestione del governo, un coprifuoco è stato decretato domenica 21 ottobre. A coprifuoco non rispettato, le forze dell’ordine sono nuovamente intervenute, con la stessa violenza con cui il giorno dopo il cameraman dell’equipe televisiva al Hiwar Ettounsi è stato colpito dai manganelli, oltre agli insulti blasfemi che insieme ai colleghi avrebbe subito.
Nelle stesse ore nella capitale circa tremila cittadini e oppositori si dichiarano contro gli omicidi politici e la violenza che abita ormai sempre più spesso il paese. Il Fronte popolare, la coalizione di sinistra, ha organizzato una manifestazione sull’Avenue Bourghiba, restata calma a suon di “lavoro, libertà, dignità” e “il popolo vuole la caduta del governo”, nonostante gli allarmismi e le precauzioni per l’ordine di sicurezza in vista del 23 ottobre. Ma il 23 ottobre è stato un semi-silente anniversario, triste per chi osserva come al grande evento delle prime elezioni legislative libere del paese un anno fa, sono seguiti diversi passi indietro in termini soprattutto libertari e di giustizia.
È “One step forward, two steps back?” il titolo con punto interrogativo dell’ultimo rapporto di Amnesty International sulla Tunisia, che ripercorre e analizza un anno in cui ancora le torture e i maltrattamenti sono praticati, le famiglie delle vittime del regime durante la rivoluzione non sono state appagate, gli artisti non possono esprimere in maniera totalmente libera la loro indole data l’ambiguità tra i principi della costituzione del concetto del “sacro” e le conseguenti condanne a chi lo avrebbe attentato, il primo rifugiato politico del post-regime, la poco chiara definizione di complementarità piuttosto che eguaglianza tra uomo e donna, ecc … Un lungo rapporto quello di Amnesty che, fin quando i capi del governo continuano a festeggiare l’anniversario di un’elezione per un dovere non completato, farà fatica a sbarazzarsi di quel punto interrogativo, un passo avanti e ancora quanti mesi o quanti indietro?