“Le vacche stanno meglio degli african...

Via le tende portate nei mesi scorsi, africani ancora al freddo

“Le vacche stanno meglio degli africani”. Saluzzo, la fine della stagione di raccolta

Antonello Mangano
  Le tende portate nello spiazzo delle fiera vengono smontate a una a una, lasciando i lavoratori al freddo. E` il culmine di una stagione di raccolta paradossale, fatta di spostamenti, interventi tampone, polemiche. Eppure il centinaio di braccianti africani è in Piemonte solo per raccogliere frutta. Un distretto agricolo ricchissimo non è riuscito a offrire abitazioni dignitose. E quel poco che hanno donato se lo stanno riprendendo.
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SALUZZO (CN) – E alla fine se le sono riprese. La prima tenda è di un privato, uno che fa catering. Adesso gli serve: la settimana prossima c’è un matrimonio. La seconda è quella degli alpini. Sono venuti a montarla e poi a smontarla. A fine settembre c’era la festa degli alpini. Poi quattro tende della Croce Rossa. Avevano già deciso che l’emergenza freddo sarebbe durata sei giorni, sono state le prime a essere smontate. Ora è rimasta un solo tendone. Per il Comune la stagione è finita e quindi i 70 africani che raccolgono i kiwi non esistono. Decine di persone potrebbero nuovamente dormire all’aria aperta. Sotto le Alpi, in autunno inoltrato. Sopra cartoni e sotto piccole tende da campeggio, sistemate alla buona. Staranno fuori dall’area della fiera ancora per qualche settimana e poi ognuno tornerà da dove è venuto. Molti a Rosarno.

Finisce così la stagione di raccolta in un distretto ricco. Segnata – invece che dai numeri su fatturati e vendite – da sgomberi, trasferimenti, interventi delle autorità e accoglienza a tempo determinato. «Non siamo come Rosarno», dicono in paese. È vero. Mai al Sud si è visto qualcuno che si riprende un dono.

«Di mattina, alle 6, i carabinieri entrano nelle tende e chiedono il contratto di lavoro. Il controllo è asfissiante. Sono stati tutti schedati di fatto. Cercano di cacciarli appena non lavorano più”, dicono gli attivisti del Comitato antirazzista. «Abbiamo un documento dello Stato italiano. Quindi possiamo stare qui. Oppure Saluzzo non fa parte dell’Italia?” chiede M. Un altro ragazzo, dopo una missione sindacale nel Sud, è tornato in Piemonte. Lo hanno convocato in caserma.

Le azioni dei carabinieri sono al limite della paranoia, considerando che mai ci sono stati problemi di ordine pubblico. Chi parla di foto fatte durante la notte, chi di biciclette contate alla luce della torcia elettrica. Voci e ipotesi che confermano la linea delle istituzioni. «Devono essere il meno possibile». Tutte le pressioni vanno in questa direzione. «I saluzzesi temono che noi rimarremo lì. Siamo venuti solo per la raccolta. Poi ognuno tornerà dalle altre città da cui è venuto», spiega Y.

«Nessuno vuole assistenza ma una casa a un prezzo accessibile», ribadiscono i volontari. La polemica con la città si è affossata su una domanda. Saluzzo è come Rosarno? Intanto la città calabrese non rappresenta per forza un paradigma negativo. Le rivolte africane hanno innescato le migliori energie del luogo, avviando processi di cambiamento. La tabella delle affinità e delle divergenze è facile da compilare. Non c’è il lavoro nero ma quello grigio (ma anche qualche caso di irregolarità assoluta). Non ci sono i caporali e ci sono più controlli. Ma la situazione abitativa è diventata molto simile. Così come gli interventi emergenziali. Prima della rivolta, in Calabria tutti i soggetti coinvolti (enti locali, Protezione civile) intervenivano poco e male. I bagni chimici montati e smontati, le soluzioni tampone, gli sgomberi degli accampamenti. Col risultato che il problema si presentava ogni volta più grave.

In Piemonte come in Calabria l’assessore all’agricoltura è anche un proprietario terriero. Ovunque le difficoltà sono scaricate sugli anelli più deboli, i raccoglitori stranieri. Non c’è la ‘ndrangheta a Cuneo, ma due comuni sciolti per mafia (Leinì e Rivarolo) distano un centinaio di chilometri. I piemontesi si consolano pensando al Sud lontano, nascondono i problemi dietro il cubo di cemento della fiera, non capiscono che il problema degli africani è un loro problema. Quando c’è stata la «fiera della meccanizzazione» si è posto il solito problema del “decoro urbano”. Li spostiamo o copriamo tutto coi pannelli di legno? Insieme al Comitato, invece, gli africani hanno protestato rumorosamente. “Le vacche stanno meglio dei migranti”, diceva uno striscione inequivocabile. “Anche le nostre braccia hanno contribuito alla ricchezza del saluzzese” c`era scritto su un altro.

Intanto i consumatori italiani (e tedeschi) comprano pesche e arance sui banconi e non hanno idea che chi li ha raccolti ha dormito su un cartone accanto al mercato delle vacche. “Bellissime frisone stavano all’interno, gli esseri umani fuori”, dicono gli attivisti. «Ogni mucca era la protagonista della Mostra regionale bovina».

A inizio settembre, sette giorni di pioggia incessante. Arriva la Croce Rossa (rischio ipotermia, cioè che muoiano di freddo). Non la Protezione Civile, perché l’emergenza è solo sanitaria. Arriva anche qualche giornalista. Esce qualche articolo, arrivano un paio di televisioni. Tra cui Uno Mattina. Il risultato è un’oretta di luoghi comuni, uno specchio dell’Italia. «È incredibile che ci siano esseri umani che vivono in queste condizioni. Bisogna fare qualcosa». E subito dopo: «Però non possiamo risolvere tutti i problemi dell’Africa. Tutto è sulle spalle di un piccolo comune del Piemonte».

I lavoratori di Saluzzo sono un problema italiano. Hanno permessi di soggiorno e contratti di lavoro. Sono gli unici a dover rispettare alla lettera regole vessatorie. Gli imprenditori possono segnare una o cento giornate. Di solito ne segnano una. Nel lavoro stagionale l’accoglienza dovrebbe essere a carico dei datori di lavoro. Ma è molto più comodo scaricarla sulla collettività o aspettare l’intervento umanitario.

Gli africani sono in Italia da anni, non sono appena sbarcati. Sono le prime vittime della crisi. Lavoravano a Parma, Treviso, Vicenza. In fabbrica. Sono stati i primi a essere licenziati. Non hanno aspettato un minuto e hanno cercato subito un altro lavoro in agricoltura. Il passaparola li ha portati nelle campagne del Sud e nei frutteti a perdita d’occhio del cuneese.

Invece di un lavoro e condizioni dignitose, hanno trovato un delirio di riunioni e incontri con politici, piccoli interventi, amministratori contradditori e carabinieri che fanno gli assistenti sociali. Ancora un volta la cartina di tornasole di un Paese allo sbando.

Leggi il dossier del Comitato Antirazzista di Saluzzo “Una lunga estate calda” – Scarica

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