L’arrivo in Italia dell’Huffington Post ha messo in evidenza una serie di questioni: il ruolo (e il valore) del giornalista, i modelli di informazione, le modalità del lavoro in questo settore. Prima le polemiche USA, dove i blogger della casa madre hanno fatto una causa collettiva perché nulla degli immensi profitti di Arianna Huffington è finito nelle loro tasche. Poi l`approdo anche in Italia del modello della “lunga coda”. In effetti, non è una novità assoluta: lo usa il Fatto Quotidiano coi suoi numerosi blog; oppure “Il mio libro” – Feltrinelli più l’Espresso – per quanto riguarda gli autori desiderosi di pubblicare un volume.
Si tratta di un sistema che esiste da anni negli USA, per cui un’impresa guadagna incassando una piccola cifra da un numero molto alto di soggetti. Per i sistemi di autopubblicazione, è l’autore che compra almeno una copia della sua opera. Moltiplicando le vendite singole per il numero di autori, l’impresa fondatrice si arricchisce. Nel caso dei blog, quello che si vende non è il prodotto ma la pubblicità. Che su Internet significa numeri e azioni: visualizzazioni uniche, click e lead (cioè le azioni come iscriversi, acquistare, condividere).
Ogni blogger ha un pubblico di parenti, amici e conoscenti. Moltiplicando questa cifra (anche grazie ai social network, senza sforzo alcuno) per il numero di autori (e quindi per il numero di post), si ottengono i numeri da posare sul tavolo dell`agenzia pubblicitaria. Con una spinta in più (un gruppo editoriale alle spalle, una base redazionale, un direttore famoso, una serie di notizie “giornalistiche” a fare da corpo centrale) i guadagni possono arrivare praticamente a costo zero.
Su Internet, gli inserzionisti pagano in base al risultato. Cioè – per esempio – alle singole visualizzazioni. Immaginate un video che vale un euro a inserzione. Se fa cinquantamila visite, l`incasso è notevole. E se quel video l’ha fatto un “citizen journalist” che non pensa neanche lontanamente a chiedere un compenso, l`incasso è netto.
Allora questo modello si basa sullo sfruttamento? Dipende dal soggetto. Considerando che si tratta di mercato (lasciando per il momento da parte il tema della libertà dell’informazione), uno spazio sull’Huffington mi conviene se ho qualcosa da vendere. In senso lato. È conveniente per il politico che deve offrirsi sul mercato elettorale. O per l’associazione che così promuove il proprio “oggetto sociale”.
Se invece sei un cronista alla ricerca di “visibilità”, contento di trovare uno spazio senza passare da caporedattori arroganti e ottusi, stai molto attento. La visibilità serve a chi è già visibile. Anche se fai uno “scoop”, il giorno successivo – terminata l’euforia da click e condivisioni – tutti parleranno di quello di un tuo collega. Sarai inserito in un tritacarne che brucia il tuo lavoro nell’arco di poche ore. E che però porta denaro al tuo gruppo editoriale, che così sarà sempre più convinto che non occorre fare assunzioni; che la manodopera giornalistica è risorsa abbondante e praticamente inesauribile; che la “merce” articolo non si deve pagare. Facendo normale attività giornalistica dallo spazio di un blog danneggi irreparabilmente anche chi chiede un equo compenso e un giusto inquadramento contrattuale. Lo stesso discorso, naturalmente, vale per chi scrive senza farsi pagare negli spazi ordinari di un giornale o di un sito.