“Ti faccio vedere io come si uccide un cristiano”. Così un pregiudicato si rivolge al regista Matteo Garrone durante le riprese di “Gomorra”. Quando gli attori sono presi dalla strada realtà e finzione si confondono facilmente. Quattro personaggi del film, per esempio, finiranno realmente in carcere negli anni successivi. Ma c`è un fatto ancora più grave, peraltro al momento non provato. I giudici chiederanno all’autore premiato a Cannes se sono stati pagati 20mila euro alla camorra per poter girare a Castelvolturno. L’accusa riportata dalle cronache parte da Oreste Spagnuolo, oggi collaboratore di giustizia, già killer dell’ala stragista dei casalesi. Per intenderci i protagonisti della strage di San Gennaro che lasciò sul terreno sei ragazzi africani innocenti.
Non è certo la prima volta che si parla di criminalità e cinema. Al Sud è quasi normale. La storia inizia nel ‘71 con le riprese del “Padrino” a Corleone. La mafia pretese molti soldi e gli uomini della Paramount decisero di traslocare dall’altro lato dell`isola. Coppola scelse Savoca, un piccolo centro fino a quel momento conosciuto per un convento di cappuccini con i corpi mummificati di notabili del ‘700. Un luogo isolato – per raggiungerlo bisogna arrampicarsi su una serie di tornanti dal litorale della provincia di Messina – che garantì la quiete sufficiente a girare due scene entrate nella storia del cinema. Il matrimonio tra Michael e Apollonia e il colloquio col padre della sposa al bar Vitelli. L’episodio ha fatto la fortuna di un paesino altrimenti destinato allo spopolamento. Da allora un flusso ininterrotto di turisti – in gran parte americani – si arrampica fino al sagrato sospeso tra i monti per rivivere le scene girate da Francis Ford Coppola.
Fatte le debite proporzioni, anche Lina Wertmuller ha vissuto nel 2008 un’esperienza simile in Puglia. La produzione del film “Mannaggia alla Miseria” si spostava da Taranto a Brindisi per sfuggire al pizzo. Ma l’anomalia era la denuncia pubblica dell’accaduto. L’“Apulia Film Commission” dichiarava: “In aree di straordinario degrado sociale ed economico, pur in presenza di fonti di arricchimento e di promozione del territorio qual è una produzione cinematografica, la disperazione porta a compiere gesti scellerati”.
Ci sono vicende più controverse. Due pentiti dissero che “Tano da morire” e “Sud Side Story” – girati nel centro di Palermo – furono portati a termine dopo aver pagato 30 milioni di lire a testa. Il primo era un musical ambientato al mercato storico della Vucciria e tra l’altro prendeva in giro i mafiosi. Il secondo, una grottesca storia d’amore tra un nullafacente locale e una prostituta nigeriana di Ballarò. Roberta Torre, regista milanese trapiantata in Sicilia, ha decisamente negato di aver pagato, così come la produzione: “Il solo vero motivo per cui abbiamo potuto girare tranquillamente a Palermo è la stima conquistata dalla regista nei suoi anni di permanenza in città”. Registi e produttori, in ogni caso, non sono mai stati indagati né accusati di alcun reato.
Dall’altro lato nell’isola, nell’incanto del cuore barocco di Siracusa, il set del premio Oscar Tornatore fu accolto con un grande attentato incendiario durante le riprese di “Malena”, il film con Monica Bellucci. Durante la notte, gli esattori del pizzo trasformarono in cenere la puntigliosa ricostruzione del rifugio antiaereo messa su dagli scenografi.
In Calabria il clan Mancuso – uno dei più potenti, specializzato nell’import di cocaina dalla Colombia – si era inserito nella produzione della fiction “Gente di mare”, girata nei dintorni di Tropea e andata in onda su RaiUno. “La manager production era legata sentimentalmente a don Ciccio Mancuso”, annotano gli inquirenti. Così diventa possibile far dormire il cast negli alberghi degli amici (“A Zambrone c’è un tipo un po’ rozzo, ma è il delfino dei Piromalli”, potenti boss di Gioia Tauro) e inserire comparse vicine ai clan, una dei quali recita come scafista. Secondo la deputata Angela Napoli, in alcune sequenze un pregiudicato di Tropea appare in divisa da poliziotto.
Ma la storia più incredibile è quella di Giuseppe Greco, figlio di Michele, celebre “papa” della cupola che nel corso del maxiprocesso augurò sinistramente “la pace” ai giudici. “Crema, cioccolato e paprika” è il titolo di una pellicola prodotta e sceneggiata da Greco. Nel cast Renzo Montagnani e Franco Franchi (da lì iniziarono i suoi guai giudiziari, poi terminati con l’assoluzione completa). Accusato di usare il cinema per riciclare i soldi del padre, Greco fu infine assolto da ogni accusa in Cassazione. Con uno pseudonimo, tornerà alla sua passione girando i “Grimaldi”: uno spudorato omaggio al padre, con tanto di esaltazione della vecchia mafia che rifiuta di sporcarsi con la droga.
Ultima in ordine di tempo la vicenda – da verificare in sede giudiziaria – che riguarda “Squadra Antimafia”, la serie andata in onda su Canale 5. Secondo le accuse di una collaboratrice di giustizia – in questo caso l’amante di un boss – il pizzo si pagava con la fornitura dei pasti. “Questa è una fiction che dura cinque anni”, dice il capo del clan di Porta Nuova. “Se il signore ci lascia qua con i vivi, quale minchia di problema abbiamo”.