Agricoltura globalizzata e nuovo caporalato

Le radici dello sfruttamento

  L’agricoltura a livello globale è sempre più gestita da grandi aziende multinazionali, che hanno soppiantato i metodi di coltivazione tradizionale con sistemi di produzione industrializzati, altamente specializzati e meccanizzati. L’affermarsi di questi nuovi modelli è messa a dura critica da più parti per gli impatti che avrebbe sull’ambiente, sull’equilibrio degli ecosistemi, sulla biodiversità e sulla sovranità alimentare dei paesi del sud del mondo.
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Le radici dello sfruttamento, speciale radiofonico a cura di Amisnet

Un aspetto che suscita la viva preoccupazione di associazioni, organizzazioni non governative e sindacali è rappresentato dalle condizioni di vita di milioni di lavoratori che si trovano ad operare in questo ambito produttivo. Sempre più persone si vedono costrette ad abbandonare i propri paesi d’origine per prestare la propria opera dove le grandi corporation stabiliscono che questa più serve. Spesso in situazioni inumane e non di rado in condizioni che ricordano molto da vicino la schiavitù.

Non c’è bisogno di andar lontano per farsi un’idea di cosa significhi per molti lavoratori provenienti dai paesi del sud del mondo, ma anche dall’est europeo, lavorare oggi nel settore agricolo. Il caso di Rosarno, comune della Calabria giunto alla ribalta delle cronache in seguito alla rivolta dei lavoratori avvenuta nel gennaio del 2010, è emblematico, ma purtroppo non isolato. La condizione lavorativa e di vita dei lavoratori migranti della Piana di Gioia Tauro è in realtà diffusa a livello continentale. Ad esempio la si può riscontrare in Andalucia, uno dei bacini agricoli di maggior rilievo in Europa. Lavoro stagionale, assenza totale di contratti, situazioni di vita ai limiti della sussistenza, condizione di irregolarità e mancanza di documenti che espone i lavoratori al ricatto da parte dello stato e dei datori di lavoro. Questi i comuni denominatori dello sfruttamento in agricoltura in Europa.

Un ruolo importante in questo sistema di sfruttamento sono le numerose agenzie di collocamento internazionale. Spesso mascherate da enti che offrono consulenze su come trovare lavoro, aggirano le legislazioni nazionali e attirano i lavoratori in vere e proprie trappole. Queste agenzie sono particolarmente attive nei paesi dell’est europeo, contribuendo all’esodo di lavoratori attratti ad ovest da propettive di lavoro e poi sistematicamente imbrigliati in sistemi di sfruttamento e semi-schiavitù.

“L’agricoltura”, commenta Fabrizio Garbarino, del coordinamento europeo Via Campesina, “rappresenta il fanalino di coda sul fronte dei diritti dei lavoratori e spesso viene utilizzata come grimaldello per forzare verso il basso le legislazioni in materia di lavoro.” Molto si potrebbe fare dal punto di vista legislativo e il fatto che ciò non accada testimonia una complicità o per lo meno una forte connivenza degli stati con questo sistema di sfruttamento. “In questo settore il testo di riferimento”, continua Garbarino, “è la convenzione internazionale n. 184 per la sicurezza e la salute in agricoltura della Organizzazione Internazionale del Lavoro. Il nostro paese, pur firmatario della convenzione ancora non si è deciso a ratificarla, con grave ritardo e ripercussioni molto serie sui lavoratori agricoli, soprattutto migranti, che prestano servizio in Italia.”

All’interno dello speciale contributi di:

Mohamed, bracciante agricolo che ha vissuto e lavorato a Rosarno
Maricarmen Del Bueno
, Sindicato de Obreros del Campo de Andalucìa
Fabrizio Garbarino, coordinamento europeo Via Campesina
Rodica Novac, ong Ado Sah Rom-Romania
Antonello Mangano, autore del libro “Gli africani salveranno Rosarno”

Le radici dello sfruttamento è uno speciale radiofonico realizzato con il sostegno e la partecipazione dell’organizzazione non governativa M.A.I.S. nell’ambito del progetto “Creating Coherence”, promosso insieme alle organizzazioni FairWatch di Genova, Xarxa de Consum Solidari di Barcellona, Both ENDS di Amsterdam, Za Zemiata di Sofia e Protect the Future di Budapest.

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