La nuova frontiera della speculazione realizzata da Mario Monti

Assicurazioni, derivati e scomesse. La finanziarizzazione delle calamità naturali

Marco Letizia
  Il terremoto in Emilia passerà alla storia come l’ultima volta in cui lo Stato Italiano interviene a supporto delle comunità devastate da calamità. Ma non si tratta di una semplice esigenza di risparmio. C`è il rischio che si passi al sistema dell`assicurazione e dei derivati, già in uso negli Stati Uniti e in Giappone. In sostanza, una scommessa che gli investitori fanno sulla probabilità di una catastrofe naturale in un determinato luogo.
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Fortuna che il terremoto è arrivato in tempo! Altrimenti gli abitanti sfollati dell’Emilia Romagna avrebbero trovato tutti un brutto scherzetto. Solo qualche mese di ritardo e lo Stato non avrebbe in nessun modo finanziato la ricostruzione delle città e dei paesi distrutti dal sisma. Questo terremoto, nella speranza che non ce ne siano altri, passerà alla storia come l’ultima volta in cui lo Stato Italiano interverrà economicamente e strutturalmente a supporto delle comunità devastate da calamità naturali. Così è scritto, infatti, nel recente decreto di riordino del sistema della Protezione Civile (DECRETO-LEGGE 15 maggio 2012 , n. 59).

Il decreto, in sintesi, prevede due importanti novità: 1) in caso di calamità naturale il Governo interviene con il sistema delle ordinanze proclamando lo stato d’emergenza per un massimo di 60 giorni, e con una possibile proroga di altri 40 giorni; 2) la ricostruzione delle singole abitazioni distrutte dall’evento calamitoso sarà a carico dei proprietari. Sembra assurdo ma è così.

L’austero “rigore”, cieco e freddo, non si piega nemmeno di fronte ai disastri. La domanda, dunque, giunge spontanea: come farà chi ha perso tutto a sostenere, soprattutto in un periodo di crisi, la ricostruzione della propria abitazione o della propria attività lavorativa? Semplice, attraverso un’assicurazione! Così i conti pubblici saranno in salvo e, contemporaneamente, le società finanziarie avranno a disposizione un ulteriore flusso di liquidità proveniente dal pagamento delle polizze. Si dirà: ma se succede una disgrazia le società ci rimettono, poiché dovranno pagare i premi di assicurazione.

A questo riguardo la soluzione più probabile (che verrà elaborata entro 90 giorni dall’emanazione del decreto con la redazione del regolamento attuativo) è la seguente: siccome non tutte le aree sono a rischio catastrofi, mentre altre lo sono parecchio, l’assicurazione su base volontaria creerebbe una disparità evidente tra chi abita in un luogo e chi in un altro; oltre a creare una disparità tra chi potrà permettersi un’assicurazione e chi no per motivi strettamente economici. Inoltre, le società di assicurazioni non firmerebbero mai una polizza assicurativa in una zona ad alto rischio, se non a fronte di una quota molto elevata.

Dunque, assicurazione per tutti, indistintamente. Così le società finanziarie saranno ben felici di stipulare polizze assicurative, visto che comunque avranno la garanzia del profitto, mentre i cittadini (tutti, dal Piemonte alla Sicilia) si troveranno costretti a pagare un’altra tassa, che definire “occulta” è davvero troppo, per giunta non allo stato ma alle società di assicurazioni.

Dietro questi meccanismi, sostenuti dalle politiche del rigore, rischia di nascondersi, però, ben più di una semplice tassa. Il dispositivo più all’avanguardia, che va oltre e integra il sistema dell’assicurazione sia su base volontaria, sia quella obbligatoria, è quello (tanto per cambiare) dei derivati, già in uso negli Stati Uniti e in Giappone. In sostanza, si tratta di una scommessa che gli investitori fanno sulla probabilità di una catastrofe naturale in un determinato luogo. Tralasciando il meccanismo nel suo complesso, concentriamoci sulla sostanza.

Gli investitori acquistano dei titoli ad hoc nei quali è contenuta una vera e propria scommessa che può essere sintetizzata in questo modo: se non si verifica l’evento calamitoso, gli investitori ricevono un rendimento sul capitale e una serie di pagamenti cedolari che li ricompenseranno per l`uso dei loro fondi o per l`esposizione al rischio sopportato.  Tuttavia, se si verifica  un evento catastrofico predefinito, gli investitori incorrono in una perdita di interessi, di capitale o di entrambi. In sostanza, al verificarsi dell’evento chi ha investito in questi titoli speciali perderà i propri soldi che andranno, dunque, per la ricostruzione dei luoghi distrutti, cioè solo e unicamente a quei soggetti che hanno sottoscritto un contratto di assicurazione (dunque non a tutti).

Un meccanismo vertiginoso che consegna nelle mani delle società  finanziarie la gestione del finanziamento delle ricostruzioni post evento, garantendo a queste e agli investitori che di volta in volta vinceranno la “scommessa”, contemporaneamente, incredibili profitti creati sulla paura delle persone a rischio che, per evitare di trovarsi in mezzo ad una strada, si troveranno obbligate a stipulare un’assicurazione con la società finanziaria, la quale emetterà titoli che poi saranno acquistati da investitori sul mercato dei capitali.

L’introduzione normativa voluta dal governo Monti, dunque, oltre a privare le popolazioni di volta in volta colpite dalle catastrofi del sostegno economico, sdoganerà sicuramente tutte queste pratiche di finanziarizzazione che aggrediranno ulteriori spazi politici di movimento. Lo scenario che il neoliberismo ormai da anni ci propone è quello di “sbarcare il lunario da soli”, eliminare ogni idea di società, sradicare dal tessuto sociale i valori della condivisione e delle pratiche di solidarietà, della parità dei diritti e dell’eguaglianza sostanziale. E vuole farlo anche nel momento in cui è necessario essere uniti, cioè nel momento del bisogno, della catastrofe che distrugge il proprio territorio.

Spostando lo sguardo su una prospettiva “locale”, la nostra Messina (compresi i Peloritani e i Nebrodi) sarebbe sicuramente una di quelle aree a rischio nelle quali stipulare un’assicurazione diventerà una questione di vita o di morte. Infatti se Giampilieri è ancora a pezzi, nonostante la normativa attuale non fosse ancora in vigore all’epoca dell’alluvione, figuriamoci come sarebbe se fosse privata anche di quei pochi fondi che sono giunti per mettere in sicurezza la collina. E figuriamoci dove sarebbero oggi tutte quelle famiglie che ancora vivono negli hotel. Pensiamo a L’Aquila, pensiamo alla recente scossa in Emilia.

Pensiamo all`alluvione che ha colpito Barcellona e Saponara. Pensiamo a tutte le catastrofi avvenute in questi anni. Una tragedia sociale si abbatterà su ogni catastrofe naturale, aggravando gli effetti dannosi che queste comportano. Lo sfollato finirà di essere una categoria emergenziale per trasformarsi in una condizione esistenziale per migliaia e migliaia di persone impossibilitate a pagare un`assicurazione. Oppure, nel caso dell`assicurazione obbligatoria, saremo costretti a pagare le polizze a prescindere.

Riscoprire il proprio territorio come il luogo comune delle lotte diventa, dunque, necessario: è su base territoriale, prendendo in considerazione la situazione economica generale, che bisognerà evidenziare la potenziale nocività sociale di questo provvedimento. È su base territoriale che bisognerà sicuramente mobilitarsi per fermarli: le politiche del governo tecnico hanno, infatti, portato a compimento quel processo di abbandono dei territori, consegnati nelle mani dei general contractor, delle speculazioni edilizie e finanziare. Riprendersi la sovranità significa incidere innanzitutto a livello territoriale, mettendo a nudo le pratiche di devastazione e di abbandono che il governo dei banchieri sta mettendo in atto su commissione dei grandi potentati finanziari d’Europa e del mondo.

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