Folgorati dai cavi ad alta tensione, sepolti vivi nelle colate di cemento, caduti da ponti altissimi su quali lavoravano senza neanche un casco. Sono gli operai deceduti nei cantieri della Salerno – Reggio Calabria. Morti spaventose che non possono essere solamente il frutto della fatalità. Anche perché gli incidenti avvengono spesso di notte o durante gli straordinari. Ma perché i lavoratori sono costretti a correre in quelli che tutti chiamano “cantieri lumaca”?
Soffocato nel cemento
Valerio Messuti aveva appena 21 anni. Mentre lavora a una nuova galleria, un blocco di argilla si stacca dal fronte di scavo e lo colpisce alla testa. Muore sul colpo. Siamo nel cantiere di Tarsia, provincia di Cosenza. Nel febbraio 2010 scoppia il caso del cantiere killer di Palmi, nei pressi di Reggio Calabria. Rocco Palumbo, 32 anni, cade da un ponteggio alto sette metri. Era su un pilone in costruzione. Muore all’ospedale per le ferite riportate. La morte più orrenda è quella di Salvatore Pagliaro, 50 anni. Siamo sempre nello stesso cantiere. Mentre lavora alla betoniera, la gabbia di legno su cui si trova gli si apre sotto i piedi facendolo precipitare dall’altezza di 8 metri. Tutto il cemento fino ad allora versato ricopre l’operaio, soffocandolo.
Una giornata di sciopero nel Quinto macrolotto è la reazione ai due decessi ravvicinati. “Non si può, a causa di ritardi nella consegna dei lavori, chiedere prestazioni lavorative che non garantiscono la sicurezza”, dicono i sindacati in una lettera al Prefetto. “Non è possibile richiedere turni aggiuntivi, piuttosto che incrementare le unità lavorative, spremere i lavoratori, magari proprio coloro che, essendo assunti a tempo determinato, sono ‘ricattabili’ e non possono rifiutarsi”. L’ufficio “Alta Sorveglianza” di Anas decide l’allontanamento di tre tecnici, tra cui i due capocantieri di Impregilo-Condotte, oltre che dell’azienda in subappalto, una ditta di Gela. Ma non finisce qui. La Procura di Palmi apre un’inchiesta che dopo un anno produrrà il rinvio a giudizio di dodici dirigenti d’azienda.
La Commissione d’inchiesta del Senato che si occupa di incidenti sul lavoro visita i cantieri a un mese dagli incidenti. Emerge un complesso sistema di affidamenti (dal Contraente Generale – il consorzio SARC – alla EREA e infine alla Edilniti di Gela) e l’assenza di protezioni: “Quando è precipitato, il signor Palumbo non aveva un`imbracatura di sicurezza né il casco protettivo”. Secondo le aziende, “tali attrezzature erano disponibili nel cantiere, ma l’operaio non era tenuto a indossarle perché la sua postazione di lavoro era altrove, in una zona recintata”.
A poca distanza ci sono i cantieri di Bagnara. Nel luglio 2011, un quarantunenne di Napoli perde la vita in località Uliverella. E’ uno degli incidenti più spaventosi. Una gru tocca il cavo ad alta tensione folgorandolo. Un mese prima, di notte, un ventinovenne muore nei pressi di Pontecagnano: il rullo compattatore che stende l’asfalto si ribalta. Nell’ottobre 2011, un operaio sta rimuovendo la segnaletica dal cantiere di Battipaglia. Un autocarro lo travolge. Lascia la moglie e due figli. Nel novembre 2011, un operaio di 27 anni perde la vita tra Campotenese e Morano per il ribaltamento di un elevatore. Su molte di queste vicende, Anas ha espresso il proprio cordoglio e predisposto una commissione d’inchiesta.
Appaltare con lentezza
Nell’immaginario collettivo, nei “cantieri lumaca” del Sud si lavora con lentezza. Nella realtà non è così. Alcuni soggetti non hanno nessuna fretta, mentre altri sono costretti agli straordinari, ai turni di notte, a consegnare il lavoro nel più breve tempo possibile. Anas ha inviato al Parlamento un dettagliato rapporto sulla sicurezza: “Nel 2009, su circa 400 aziende, per una media di quasi 3.300 lavoratori e oltre 5 milioni di ore lavorate, si sono avuti meno di 200 infortuni, di cui 2 mortali, in calo rispetto al 2008, quando vi sono stati oltre 200 infortuni, di cui 1 mortale. A febbraio del 2010, a fronte di un pari numero di imprese, risultavano impiegati quasi 3.400 lavoratori”.
Il rapporto del Senato puntualizza: “Come hanno ammesso i rappresentanti del Contraente Generale, se gli affidatari di primo livello sono in genere imprese che garantiscono elevati livelli di qualità e sicurezza, il problema nasce negli affidamenti dei subappalti successivi, dove non sempre le imprese sono qualificate e si viene a perdere quel filo conduttore che dovrebbe garantire che tutti gli operai siano formati e informati sulle nuove tecniche costruttive e sui rischi che si corrono nell`ambiente lavorativo”.
Il ruolo negativo della ‘ndrangheta riguarda anche la sicurezza sui cantieri: “Molte imprese subiscono estorsioni anche con l’imposizione dell’assunzione di determinati lavoratori, tanto che molti sindacalisti hanno ormai remore a svolgere la loro attività presso i cantieri perché non sanno neanche se possono fidarsi di chi hanno a fianco”.
Nei macrolotti la sicurezza è privatizzata: è uno dei compiti affidati al Contraente Generale. “La legge obiettivo lo definisce testualmente come un ‘concessionario con l’esclusione della gestione dell’opera’, un istituto che non esiste negli altri ordinamenti europei”, dice a FaiNotizia.it Ivan Cicconi, uno dei massimi esperti di lavori pubblici. “Si occupa del progetto esecutivo, gestisce gli espropri e la direzione dei lavori. Ha un potere enorme ma non deve recuperare alcunché dalla gestione dell’opera. Oggettivamente, questo istituto tende a stimolare nell’imprenditore privato la ricerca del profitto. Non perché sia un delinquente, ma perché vuole ricavare il massimo della convenienza. E la sua convenienza è quella di far durare il più a lungo possibile i lavori. E aumentare i costi”.
“In alcuni dei cantieri gli orari sono molto allungati, ben oltre le otto ore di lavoro. In questi casi il rischio che capiti un infortunio è più alto”, ci dice Manola Cavallini, sindacalista della Fillea CGIL. “Ma oggi gli operai sono più preoccupati di perdere il lavoro che pezzi della loro vita”.