Diritto d`asilo. Le frontiere portuali dell`Adriatico

Profughi afghani. Ancora respingimenti collettivi in Grecia

Fulvio Vassallo
  Nuovi respingimenti collettivi di profughi - in prevalenza afghani - dalle frontiere portuali dell’Adriatico: Bari, Ancona, Venezia. Destinazione Grecia, dove rischiano di subire trattamenti inumani o degradanti vietati dall’art.3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo.
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Dublin`s Trap: another side of the Greek crisis from Bryan Carter.

Numerosi rapporti hanno messo in evidenza da tempo la situazione tragica dei migranti, in prevalenza afghani, respinti senza avere accesso ad una procedura individuale, dunque con un respingimento collettivo vietato (denominato riammissione con affido al comandante della nave), senza alcuna possibilità di fare valere i diritti di difesa o il diritto di chiedere asilo, dalle frontiere portuali dell’Adriatico  Bari, Ancona, Venezia) verso la Grecia, dove pure si venivano a trovare a rischio di subire trattamenti inumani o degradanti vietati dall’art.3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo o di essere deportati ancora una volta verso altri paesi nei quali avrebbero potuto subire i medesimi trattamenti.

E in molte occasioni, da tempo, i migranti respinti dall’Italia in Grecia, molti dei quali minorenni, hanno trovato ad attenderli interventi violenti da parte della polizia greca, che si è resa responsabile di gravi maltrattamenti e di successivi respingimenti verso paesi che non garantivano alcun diritto fondamentale della persona o addirittura verso l’Afghanistan.

Come riferiva nel luglio del 2009 un rapporto di Medici senza frontiere,“ dopo le operazioni di sgombero effettuate dalla polizia greca all’interno della baraccopoli di Patrasso, e l’incendio scoppiato durante l’intervento, Medici Senza Frontiere (MSF) esprime profonda preoccupazione per le condizioni umanitarie dei migranti e dei richiedenti asilo rimasti ora senza tetto, così come per coloro che sono stati arrestati. MSF chiede alle autorità di assicurare condizioni di vita dignitose e assistenza medica per queste persone. MSF lavorava in questo campo per migranti dal maggio 2008, fornendo assistenza medica di base e supporto psicologico.

“Molti dei migranti che (oggi) sono rimasti senza riparo e che sono stati arrestati, sono stati nostri pazienti per molto tempo. Siamo profondamente preoccupati per le loro condizioni attuali e chiediamo alle autorità la garanzia che queste persone vengano trattate con dignità e che ricevano l’assistenza medica di cui necessitano”, affermava Micky Van Gerven, capo missione di MSF in Grecia. “Il mattino presto siamo stati informati dell’intervento della polizia e siamo accorsi al campo. Le ruspe erano appena arrivate e avevano cominciato a demolire le baracche. Dopo poco è scoppiato l’incendio. Numerose persone che erano prive di documenti ufficiali sono state arrestate, mentre molte altre sono scappate.

Non sappiamo ancora dove siano e cosa gli sia successo,” ha spiegato Christos Papaioannou, operatore di MSF a Patrasso. “La maggior parte è stata costretta a lasciare la terra d’origine a causa di guerre o condizioni di povertà estrema e ora deve affrontare una possibile detenzione per un periodo di tempo indeterminato e un futuro ancora più incerto. Tutto ciò potrebbe avere conseguenze negative sulle loro condizioni fisiche e mentali.” MSF chiede alle autorità di assumersi la piena responsabilità dell’assistenza medica e del supporto psicologico per queste persone, di assicurare condizioni di vita dignitose per i detenuti e di prestare maggiore attenzione alle categorie vulnerabili come i minori, e come coloro che presentano patologie croniche e che ora sono detenuti.

La maggior parte dei migranti che viveva nel campo era di origine afgana. Tra questi molti minori estremamente vulnerabili e bisognosi di una protezione adeguata. E’ fondamentale che tutti i migranti e i richiedenti asilo vengano trattati con dignità e che le autorità rispettino le convenzioni internazionali ed europee a protezione dei migranti e dei richiedenti asilo, nonché le direttive europee che regolamentano il rispetto degli standard minimi di accoglienza dei richiedenti asilo”. Secondo MSF in conclusione “:Quest’intervento della polizia è parte di una più ampia strategia che ha come bersaglio i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo a Patrasso e in altre zone del Paese. MSF controllerà da vicino la situazione a Patrasso e continuerà a rispondere alle esigenze dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati nel Paese”.

Si attende ormai da anni la decisione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo sul caso Sharifi/Italia, presentato appena pochi mesi prima lo sgombero violento del campo di Patrasso, il 25 marzo 2009 e comunicato dalla CEDU all’Italia il 24 giugno dello stesso anno, per i respingimenti collettivi effettuati dalle autorità italiane verso la Grecia, a partire dal 2008, sui traghetti di ritorno verso Igoumenitsa e Patrasso, dalle frontiere portuali ( Venezia, Ancona, Bari, Brindisi) dell`Adriatico. In questo ultimo ricorso, oltre alla violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 4 (divieto di espulsioni collettive), i ricorrenti denunciavano il rischio di un concreto pericolo per la loro vita (art. 2 della Convenzione) e il rischio di subire torture o maltrattamenti (art. 3 della Convenzione) per il loro respingimento verso la Grecia e da qui verso i loro Paesi di origine. In entrambi i ricorsi si denunciava anche la violazione degli articoli 13 e 34 della Convenzione in quanto i respingimenti erano avvenuti con modalità e termini tali da non consentire l’esercizio del diritto di difesa.

Mentre lo scorso febbraio è finalmente arrivata la sentenza della Corte EDU sul caso Hirsi, per i respingimenti collettivi verso la Libia, nel caso dei ricorso Sharifi/Italia per i respingimenti  collettivi verso Patrasso, con il passare del tempo si rischia che i governi chiamati in causa, al fine di evitare una condanna, possano addurre ancora una volta la “scomparsa” dei ricorrenti, spesso oggetto di espulsioni a catena ( da un paese all’altro) e comunque costretti alla clandestinità in uno stato come la Grecia che incarcera i minori non accompagnati e accoglie una istanza di asilo su duecento.

Sembra ormai che occorra un tempo sempre maggiore alla Corte Europea  per decidere sul merito di un caso, a parte la difficoltà crescente di ottenere misure provvisorie che sospendano l’esecuzione di procedure di respingimento chiaramente illegali. Ad esempio, il caso Hussun/Italia, per i respingimenti collettivi effettuati da Lampedusa con voli diretti in Libia nel marzo del 2005, è stato archiviato nel gennaio del 2010, dopo la scomparsa di tutti i ricorrenti, e per l’unico ancora presente in Italia al momento della decisione di radiazione del ruolo si è sostenuto che comunque sarebbe venuto meno l’interesse al ricorso.

Se a questo dato si somma anche l’ingolfamento della Corte per il gran numero di ricorsi che attendono di essere valutati, e per le continue verifiche che sono richieste dalla stessa Corte agli avvocati sulla ubicazione attuale dei ricorrenti, costretti ad uno stato di clandestinità e dunque facilmente espellibili, e difficilmente tracciabili dagli stessi legali che li rappresentano, la tutela effettiva dei migranti respinti collettivamente o bloccati in acque internazionali,  rimane un obiettivo assai difficile da perseguire anche attraverso i ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo.

In Italia importanti decisioni dei Tribunali amministrativi hanno impedito il respingimento sommario in frontiera di migranti afghani provenienti dalla Grecia, che almeno avevano avuto la possibilità di presentare una domanda di protezione internazionale e rischiavano di essere ricondotti in Grecia per decisione dell’Unità Dublino del Ministero dell’interno, che intendeva così applicare il Regolamento Dublino senza riconoscere nel caso delle riammissioni in Grecia, quella clausola umanitaria ( o di sovranità) che avrebbe consentito la permanenza in Italia del richiedente asilo, e in questo stesso paese l’esame della sua richiesta. Ma tanti altri potenziali richiedenti asilo sono stati respinti sommariamente in Grecia dai porti di Venezia e di Ancona, fino a pochi giorni fa. I Tribunali amministrativi tedeschi considerano ormai l’Italia come un paese “non sicuro” per i richiedenti asilo e sospendono regolarmente le procedure di riammissione nel nostro paese previste dal Regolamento Dublino per quei richiedenti asilo che vi sono transitati.

Gli accordi bilaterali di riammissione, e in tempi più recenti di respingimento, anche tra paesi dell’Unione Europea come Italia e Grecia, sono rimasti quindi gli strumenti principali che hanno consentito un’espansione illimitata del trattenimento amministrativo e dell`accompagnamento forzato in frontiera, senza quelle garanzie, quantomeno sul piano procedurale, che le nuove regole comunitarie ed i principi costituzionali, come gli articoli 10, 13 e 24, avrebbero imposto. Quegli accordi oggi andrebbero rivisti, e riformulati nel rispetto della successiva normativa comunitaria, in materia di protezione internazionale e di controlli di frontiera, che non possono certo derogare.

Spetta ai giudici nazionali ed internazionali un intervento sui casi singoli più eclatanti che, se non fossero sanzionati più tempestivamente, potrebbero legittimare le prassi amministrative di respingimento collettivo alle frontiere marittime dell’Adriatico che proseguono ancora oggi. Ma dovrebbero essere anche le istituzioni comunitarie e i governi nazionali ad imporre alle forze di polizia presenti nei porti di frontiera il pieno rispetto delle Direttive sulle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, del Regolamento Dublino n.343 del 2003 e del Regolamento Schengen n. 562 del 2006 ( Codice frontiere Schengen), che vietano i respingimenti sommari in frontiera e riconoscono a tutti, anche a coloro che non manifestano la volontà di chiedere asilo, precise garanzie procedurali.

Su questo fronte, da troppo tempo trascurato, movimenti ed organizzazioni umanitarie dovrebbero spendere il loro impegno con azioni coordinate e concludenti, non solo denunciando quegli abusi che si continuano a verificare, ma costruendo un movimento che imponga ai governi nazionali, alle istituzioni internazionali ed alla magistratura italiana interventi di controllo più solleciti sulla discrezionalità della polizia di frontiera.

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