ROMA – Cie di Ponte Galeria, 120 «ospiti» maghrebini hanno dato vita a uno sciopero della fame per denunciare la morte, per suicidio, di un ex recluso del centro, un egiziano di 30 anni, Abdou Said. Lo ha reso noto il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. La protesta è stata organizzata per denunciare le circostanze che hanno portato il cittadino egiziano a togliersi la vita. La vittima, l’egiziano Abdou Said, era giunto in Italia, a Lampedusa, lo scorso luglio e da qui era stato trasferito al Cie di Ponte Galeria. A settembre l’uomo aveva tentato, con molti altri, la fuga dal centro per l`identificazione e l`espulsione, ma era stato ripreso quasi immediatamente dalla forze dell’ordine.
LIBERATO A FINE FEBBRAIO – «Secondo gli ospiti del Cie – spiegano all’ufficio del Garante sulla base delle dichiarazioni di chi sta protestando – , l’egiziano sarebbe stato riportato al centro con evidenti segni di percosse sul corpo e, dopo questo episodio, avrebbe progressivamente perso il controllo fino a dover essere curato, per mesi, con psicofarmaci. Uscito dal Cie a fine febbraio con il decreto di espulsione, Abdou Said, ha trovato alloggio a Roma, nell’abitazione di un amico. Il 9 marzo scorso l’uomo si è prima ferito con una lametta, quindi si è tolto la vita gettandosi da una finestra». Segno della disperazione cui lo avevano portato, accusano ora gli ex compagni del Cie.
LE FUGHE DI MASSA – Il Cie dunque di nuovo in fibrillazione, come durante le numerose fughe dello scorso autunno, compresa quella a cui aveva preso parte l’egiziano ora suicida. In un mese, a settembre si erano verificate, ben quattro fughe di massa. Molti dei fuggitivi erano approdati a Lampedusa nei mesi precedenti, soccorsi dalla Guardia costiera mentre erano in fin di vita, privi di acqua e cibo, sul punto di affondare nelle carrette del mare o di morire per asfissia stipati sotto coperta, respirando i letali fumi dei motori diesel.
Questo il quadro dipinto allora nelle nostre cronache, con nigeriani e senegalesi che avevano attraversato il Sahara, tunisini ed egiziani che si erano imbarcati a Tripoli, incendiata dalla guerra civile. E che una volta sbarcati in Italia, per conoscere il loro destino non avevano voluto aspettare i 18 mesi di attesa – in condizioni simili a quelle della detenzione – al Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria, tra Fiumicino e la Magliana. E alla prima occasione avevano cercato di guadagnarsi la libertà.
LA SALMA ALL`UMBERTO I – Una situazione fuori controllo che aveva spinto allora il Garante a chiedere l’intervento urgente del Prefetto. E ora? Quando ieri la notizia della morte di Abdou Said è arrivata all’interno del Centro, immediatamente è scattata la protesta. Attualmente la salma è custodita all’obitorio del Policlinico Umberto I perché in Italia non vi sono parenti in grado di identificarlo.
IL FRATELLO RECLUSO – L’unico congiunto in grado di farlo è un fratello anch’egli ospitato nel Cie di Ponte Galeria che solo venerdì mattina è uscito dal Centro. «Ormai da mesi denunciamo le precarie condizioni di vita all’interno del CIE di Ponte Galeria – ha detto il Garante dei Detenuti Angiolo Marroni -. Una situazione estremamente complessa e precaria dove basta poco per scatenare la miccia della protesta e della contestazione. In questo quadro, giudico grave e inquietante la vicenda denunciata in queste ore dagli ospiti del Centro. Una situazione sulla quale invito le autorità a fare immediata chiarezza, per rispetto della memoria della persona deceduta, è dell’onorabilità di quanti lavorano con coscienza e dedizione per garantire la sicurezza e condizioni di vita più umane nel Cie di Ponte Galeria».
PORTE CHIUSE AI GIORNALISTI – Intanto nei Cie continuano ad essere negati gli accessi alla stampa. Mentre al Cie gli inviati di Corriere.it hanno potuto visitare il centro solo in alcune parti e «scortatati», l’ultimo esempio di dieniego arriva da Milano. A denunciarlo l’Arci. «Nonostante il via libera del ministro Cancellieri – protesta l’associazione – la prefettura di Milano ci ha appena negato l’accesso al centro di via Corelli». «Sapevamo da tempo che il Cie di via Corelli è una struttura detentiva – prosegue la nota dell’Arci -, per chi non ha commesso nessun reato, poco propensa a farsi visitare e controllare. Sapevamo da tempo che la struttura produce quotidianamente tentativi di suicidi, disperazione e rivolte, oltre a ledere e violare ripetutamente il diritto di difesa e calpestare la dignità delle persone. Ma la risposta della Prefettura del 14 marzo scorso ci rende allibiti».
«A seguito di disordini avvenuti di recente – questa la risposta della Prefettura -, la struttura presenta alcune parti inagibili, che hanno reso necessario l’avvio di lavori di sistemazione per i danni causati nella circostanza. Il Ministero dell’Interno, interessato al riguardo da questa Prefettura, ha perciò espresso parere che, per prevenire il ripetersi di nuovi episodi, per il momento non possa essere consentito l’ingresso nella struttura ad estranei». Giornalisti inclusi.