CIE. Non avere lavoro è reato

Varese, tunisino segnalato e deportato. La colpa: era disoccupato

Antonello Mangano
  Lo hanno segnalato. Karim aveva un lavoro e un reddito. Ma a Varese nessuno gli ha fatto un contratto. E` finito nei Cie di Bari e Modena. Nel sud hanno riconosciuto che essere formalmente disoccupati oggi è normale, al nord hanno deciso di espellerlo. Era in Italia dal 1989. La compagna, lombarda, è andato a trovarlo a Tunisi. "E` disperato", dice. "Lì non c`è lavoro. Dovremo aspettare tre anni per vivere di nuovo insieme".
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 “Si è trattenuto senza giustificato motivo in Italia”. Con questa secca frase in coda a un foglio la Questura di Varese interrompeva 23 anni di vita italiana. Karim adesso si trova in un paese che non è più il suo.

“Qualcuno lo ha segnalato”, ci racconta in lacrime la compagna. Lei è di Varese, dall’estate li hanno separati. “Lavorava come muratore, ma da qualche tempo nessuno lo metteva in regola. I suoi lavoretti continuava a farli. Aveva un reddito ma non un contratto”.

Dove la Lega domina

Nel paesino di Sesto Calende, zone dove la Lega domina, un arabo ben vestito fermo di mattina al bar non passa inosservato. Nel corso di un controllo per un certificato di residenza la polizia locale lo sorprende senza documenti in casa del cugino. Arriva il decreto di espulsione e quindi la reclusione nel CIE di Bari. Dall’estremo nord al sud, perché ti portano nel centro dove ci sono posti liberi. In Puglia il giudice di pace non convalida il fermo e annota: non ha rinnovato il permesso di soggiorno “a causa della crisi economica e conseguente riduzione dei posti di lavoro nella zona in cui risiedeva”.

Karim torna in Lombardia. Gli dicono di presentarsi in Questura. Lui non ha nulla da nascondere, ma dopo una nuova verifica viene nuovamente inviato al CIE. Questa volta è quello di Modena. Arriva l’espulsione: in nave da Genova a Tunisi. “Il giudice ha deciso che potrà provare a rientrare tra almeno tre anni” conclude la compagna. “E’ abbattuto, nella sua città non c’è lavoro”.

Chi c’è dentro i CIE?

A Karim la Questura ha consegnato un decreto di espulsione che prevede l’accompagnamento alla frontiera. Di solito è quello che accade ai migranti sorpresi senza permesso di soggiorno. Spesso si tratta di persone che hanno perso il lavoro e sono condannati ad essere “invisibili” (dopo un decreto di espulsione è praticamente impossibile riemergere nella legalità). Si finisce nel CIE quando non è possibile identificare con certezza lo straniero, tipicamente perché non possiede un documento valido per l’espatrio.  

“C’è di tutto nei centri”, spiega il deputato PD Andrea Sarubbi. “La badante moldava senza passaporto che è stata spedita dentro da un prefetto di terra leghista, mentre magari a Roma, non considerandola un pericolo sociale, avrebbero chiuso un occhio. C’è la lavoratrice cinese che il console si rifiuta di riconoscere, con il pretesto di non sapere da quale parte della Cina provenga. C’è il delinquente abituale tunisino che nessuno si è preso la briga di identificare una volta per tutte e di rimandare a casa. E quindi finisce al CIE appena lo trovano per strada senza documenti, per poi riuscirne e ricominciare tutto da capo”. La vita nei centri è scandita da atti di autolesionismo, rivolte e tentativi di fuga. Nel novembre del 2011, agli “ospiti” di Ponte Geleria furono tolte le scarpe. Con le ciabatte non si scavalcano tre file di sbarre.

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