Nostalgia canaglia. Qualche fiocco di neve e si finisce per rimpiangere persino Guido Bertolaso. Proprio lui, l’ex capo della Protezione civile, sommerso dallo scandalo della cricca dopo aver gestito per due anni i miracoli del “governo del fare”: la ricostruzione mai avvenuta a l’Aquila e la falsa soluzione dell’emergenza spazzatura a Napoli. Gianni Alemanno, nascosto dietro il suo tour de force polemico, la mette così: «Con Bertolaso non sarebbe successo». Anche il suo avversario Franco Gabrielli, ex capo dei servizi segreti, poi prefetto dell’Aquila terremotata, ora capo della Protezione civile, ammette: «Siamo un tir col motore di una cinquecento».
Audio: Radio Radicale. Di chi è la responsabilità per la cattiva gestione dell’emergenza neve a Roma? Ed è vero che la Protezione Civile è stata impossibilitata a operare da Tremonti? Ne parliamo con Manuele Bonaccorsi, giornalista di Left e autore di “Potere assoluto. La protezione civile nell’epoca Bertolaso”
Tutta colpa di un articoletto del decreto Milleproroghe del 2010 col quale Giulio Tremonti, nemico giurato di Superguido, metteva le briglie alle ordinanze di Protezione civile, fino a quel momento usate per ogni occasione utile o inutile, imponendo il controllo del ministero dell’Economia e della Corte dei conti. Il premier Monti, che è un’economista e sull’argomento non ha alcuna competenza, ci casca in pieno: «Toglieremo i freni burocratici e autorizzativi alla Protezione civile». E si finisce, dunque, ad avere nostalgia per l’eroe – o il santo, come lo chiamò Gianni Letta – Guido Bertolaso. Dimenticando le sue amicizie poco selezionate (Balducci, Anemone e gli altri della cricca), i massaggi offerti dalle imprese cui assegnava gli appalti secretati, le tre indagini della magistratura sull’emergenza rifiuti in Campania, le risate di Piscicelli dopo il sisma dell’Abruzzo, le new town provvisorie costate il doppio della ricostruzione definitiva.
E specialmente i 18 miliardi di euro spesi dal 2000 al 2010, in deroga a leggi, regolamenti, disposizione ambientali, norme sulla pubblicità degli atti, misure di sicurezza sul lavoro. Soldi spesi dopo, a catastrofe avvenuta. O a catastrofe creata, come nel caso dell’emergenza rifiuti in Campania, 17 anni e oltre 3 miliardi di euro. Oppure gettati nel calderone propagandistico clientelare dei grandi eventi: beatificazioni di santi, regate veliche, mondiali di nuoto. La deroga fa l’uomo ladro. E succede così che nelle leggi sospese per l’emergenza si infili la mafia (Vuitton Cup di Trapani, 2004), la cricca (G8 della Maddalena, 2008), gli sciacalli (l’Aquila, 2009).
Davvero si può rimpiangere Guido Bertolaso? Cosa sarebbe accaduto se giovedì 2 febbraio, alla riunione del Comitato operativo sull’emergenza neve, invece del prefetto Gabrielli, spogliato di ogni potere, ci fosse stato Guido Bertolaso nel pieno del suo splendore, dotato di un bancomat illimitato e incontrollato per la casse pubbliche, e del potere di sospendere ogni legge? Difficile credere che Bertolaso avrebbe impedito alla neve di cadere con la sola imposizione delle mani. Sarebbe andata esattamente nella stessa maniera. Solo che Alemanno si sarebbe ben guardato dall’attaccare l’uomo più potente del governo dopo Berlusconi. E Bertolaso l’avremmo visto con la sua divisa da supereroe tra le strade di Roma, a dare ordini davanti alle telecamere. Molti media, poca sostanza.
L’autorità di Protezione civile, per gli eventi “calamitosi” meno gravi – come lo sono15 centimetri di neve – è sempre il sindaco. Il quale può chiedere aiuto – tecnicamente si dice sussidiarietà – alla Regione o al governo. Ma solo se lo ritiene opportuno. E Alemanno, non capendo il significato delle previsioni del tempo, a quel comitato operativo disse: facciamo da soli, abbiamo 160 spalatori e qualche tonnellata di sale. Cosa avrebbe fatto Bertolaso, allora, al posto di Gabrielli? Avrebbe dichiarato l’emergenza neve a Roma, venerdì sera, a nevicata avvenuta e Grande raccordo anulare già bloccato. Poi, la settimana seguente, avrebbe stanziato qualche milione di euro da consegnare al sindaco Alemanno.
È già avvenuto con l’emergenza Tevere nel 2008, quando si temeva che il fiume esondasse: 15 milioni di euro consegnati dal governo al Comune, quando il pericolo era ormai scampato. Il problema è sempre lo stesso: si arriva dopo, a catastrofe avvenuta. La Protezione civile, secondo la legge, dovrebbe fare altro: previsione e prevenzione. Conoscere i rischi e mettere in sicurezza il territorio, prima che l’emergenza arrivi. Ci si prepara in tempo di pace, per agire in tempo di guerra. Quando piove o nevica, o la terra trema, tutti dovrebbero essere pronti ad agire: dall’ultimo volontario nel comune di montagna al capo di Stato maggiore dell’esercito, passando per le strutture operative nelle aziende dei servizi pubblici (Telecom, Enel, Trenitalia). Ognuno dovrebbe avere il suo piano, preciso, dettagliato, da tradurre in pratica al momento giusto. La Protezione civile, secondo la legge, non è un esercito, non è una struttura del governo. È un sistema, basato sull’autoprotezione. Cioè il cittadino che protegge se stesso.
Ed è coordinamento. Il compito di Franco Gabrielli, secondo le legge, dovrebbe essere quello di controllare che tutti siano pronti all’emergenza, fornire le previsioni dei tecnici e coordinare il lavoro delle diverse strutture. Per far ciò serve un potere di spesa illimitato? Servono le deroghe alle leggi? Invece, si scopre che il Comune di Roma non aveva aggiornato il suo piano neve, redatto nel 2005, quando il sindaco era Walter Veltroni e a capo dell’ufficio extradipartimentale della Protezione civile c’era Patrizia Cologgi, una delle massime esperte italiane di protezione civile. Gianni Alemanno ha chiuso il suo ufficio, subordinandolo al dipartimento Ambiente, e ha messo a capo della struttura un ex poliziotto, molto vicino alla destra sociale, tal Tommaso Profeta. Secondo Athos de Luca, rappresentante del Pd in commissione ambiente del Campidoglio, «dopo il 1985 fu pre disposto un “Piano neve Ama” che si avvaleva della rete efficiente di uomini e di mezzi dell’azienda presenti sul territorio e in grado di far scattare un intervento capillare ed efficace 24 ore su 24, con la reperibilità dei dirigenti e le scorte di sale in 60 depositi presenti in tutti i municipi che facevano capo alle strutture di Ama.
Questo piano era in grado di mettere a disposizione fino a 2mila uomini per spargere il sale, spalare la neve sia manualmente che con un centinaio di pale meccaniche realizzate con l’uso di lame apposite da abbinare ai mezzi di Ama». Tutto cancellato da Gianni Alemanno. Così bastano pochi fiocchi di neve per mettere in tilt una capitale da 3 milioni di abitanti, che ogni giorno accoglie 6 milioni di persone. Si può fare diversamente? Certo. «Abbiamo distribuito oltre 800 tonnellate di sale e altre mille le abbiamo appena acquistate. Diamo supporto ai Comuni in difficoltà, offrendo loro i nostri mezzi e una comunicazione costante, a partire da quanto previsto nel Piano neve, che abbiamo aggiornato l’anno scorso», ci spiega Ezio Paluzzi, assessore provinciale alla Protezione civile, che incontriamo martedì, quando la prima emergenza si è quasi risolta, e ci si prepara alla seconda ondata di gelo.
Anche lui era presente alla riunione del Comitato operativo del 2 febbraio, nella quale il sindaco Alemanno ha detto chiaramente: ci pensiamo da soli. «Era evidente a tutti il pericolo a cui andavamo incontro». Paluzzi vuole evitare le polemiche: «Se ne parlerà quando sarà tutto a posto. Però non si può negare che la reazione all’emergenza da parte delle aziende pubbliche, da Trenitalia a Cotral passando per Enel, è stata gravemente deficitaria». La differenza tra una buona protezione civile e una cattiva, insomma, non passa dallo slogan «più soldi e potere». Ridare alla Protezione civile i poteri che aveva Bertolaso non avrebbe cambiato di una virgola la commedia dell’incapacità vista a Roma all’inizio di febbraio.
«Viene da chiedersi che cosa c’entri il Milleproroghe con l’incapacità dimostrata da parte di alcune amministrazioni ed enti di fronteggiare le nevicate e il freddo di questi giorni. Se le ferrovie italiane decidono di fare partire i treni quando non ci sono le condizioni; se alcuni sindaci vengono meno ai compiti di legge in materia di protezione civile, se alcune Regioni brillano per assenza nei momenti di necessità; se accade tutto questo, è perché le ordinanze di Protezione civile sono soggette al parere del ministero dell’Economia?», si chiedono dalla Consulta nazionale protezione civile della Cgil.
La modifica che andrebbe fatta alla legge 10, quella che ha imbrigliato i superpoteri di Bertolaso, sarebbe un’altra piuttosto. La legge prevede che in caso di spese legate alle emergenze, queste siano ripagate dagli stessi cittadini colpiti, con l’aumento delle aliquote locali e delle accise sulla benzina. L’hanno chiamata “tassa sulle emergenze”, ed è una misura che vìola qualsiasi principio di solidarietà. Cancellarla sarebbe un bene. Ma togliere i lacci alla Protezione civile, per farla tornare simile ai tempi di Bertolaso, non risolverebbe nessun vero problema. Come non risolverebbe nulla ridare i poteri di protezione civile ai prefetti, come ipotizzato da Alemanno (e mai smentito dall’attuale inquilina del Viminale Annamaria Cancellieri).
La Protezione civile era compito dei prefetti fino al terremoto dell’Irpinia del 1980, e si decise di cambiare strada proprio dopo quella catastrofe. Tornare all’Irpinia o tornare alla cricca, non sembra un’ottima idea. Il governo dei tagli, invece, potrebbe fare dell’altro: rifinanziare il fondo ordinario di protezione civile, dare risorse ai comuni per la protezione dai rischi, dare avvio alla grande opera pubblica della messa in sicurezza del territorio. Altrimenti, Gabrielli o Bertolaso, ogni nevicata, acquazzone, scossa di terremoto, continuerà a farci gridare allo scandalo. Un minuto dopo, quando il danno è fatto.