Il tempio Sikh di Locri è un pezzo di Punjab in Calabria, arredato con colori sgargianti dentro un edificio senza intonaco, a due passi da una discarica abusiva. Ogni domenica è il punto di ritrovo dei circa trecento punjabi della locride. Sono raccoglitori di olive in autunno, manovali, operai nelle serre. Da Platì a San Luca, lavorano nei paesi che sono dominati dai più potenti clan della `ndrangheta.
Nel 2010, due di loro hanno denunciato di essere stati vittime di aggressioni razziste da parte di una banda di giovani calabresi e hanno fatto arrestare un ragazzo minorenne appartenente a una famiglia mafiosa. Poi, come segno di riconoscenza e di pace verso la città, i giovani aggrediti hanno ristrutturato gratuitamente la cappella del cimitero.
Nel video denunciano i ritardi con i permessi di soggiorno e lo sfruttamento nei campi. Ma raccontano anche le usanze dei Sikh, con l`aiuto di Neetu, una giovane 22enne che ha studiato in Calabria e che somiglia tanto alle sue coetanee calabresi.
Riprese e montaggio di Massimiliano Ferraina
Dopo i raid razzisti, i Sikh rifanno gratis la cappella del cimitero
LOCRI (Rc) – “Vogliamo la pace con tutti, non vogliamo fare come a Rosarno”. Per ristabilire l’armonia con la popolazione locale, tre giovani indiani vittime di aggressioni razziste si sono offerti di ristrutturare gratuitamente la cappella del cimitero di Locri. “L’abbiamo ripulita come fosse stata la nostra chiesa, era tutta sporca”, raccontano. L’episodio risale all`agosto 2010. Il cimitero era lasciato “in stato di abbandono”, che la chiesa è stata ristrutturata grazie al contributo degli indiani “in segno di gratitudine alla città”. Il merito è dei tre ragazzi che coraggiosamente hanno denunciato e fatto arrestare un minore appartenente a una famiglia legata alla ‘ndrangheta. Il giovane italiano è accusato di averli aggrediti con un coltello e rapinati, con l’aggravante dell’odio etnico, secondo le motivazioni del Gip contenute nel provvedimento di arresto.
All’alba del 2 maggio 2010, nel giro di poche ore, tre indiani sono stati aggrediti in tre diversi attacchi razzisti. Due di loro, di cui manteniamo l’anonimato per ragioni di sicurezza, ci hanno raccontato l’accaduto. Sono due braccianti di 28 e 31 anni. “Ero al telefono con mia madre in India, nella zona dei giardini vicino alla stazione, intorno alle 5.40 del mattino – dice il più giovane – quando mi hanno avvicinato tre persone in una Lancia bianca perché volevano il telefono e poi mi hanno chiesto anche i soldi. Uno di loro è uscito dalla macchina e mi ha accoltellato, colpendomi al braccio destro, dietro la nuca sul collo e sotto l’occhio destro”.
Il ventottenne indiano ha ancora le cicatrici dei tagli sul corpo. “Correvo sanguinante gridando aiuto, ma la strada era deserta e nessuno è uscito da casa – continua – mi hanno raggiunto e picchiato a calci e pugni. Non ho capito più nulla, non avevo soldi, mi hanno portato via solo un telefonino da venti euro”. Finito il blitz razzista, il commando si è spostato in un’altra zona della città per colpire di nuovo. “Erano le sei del mattino, camminavo vicino via Matteotti – racconta l’altro bracciante del Punjab – ho visto una macchina con 3 giovani, uno guidava e gli altri due mi hanno fermato e inseguito perché cercavano il telefono. Ho risposto che non l’avevo e allora mi hanno messo le mani addosso”.
A questo punto il ragazzo è riuscito a fuggire ma i due lo hanno inseguito. “Mentre correvo ho chiamato i carabinieri e gli ho chiesto aiuto – continua – mi hanno chiesto se avessi bisogno di un’ambulanza e ho detto: no, solo di aiuto, sono indiano e due italiani mi stanno picchiando”. Incredibile la risposta dall’altra parte del telefono. “Mi hanno detto solo: vieni alle 8.30 in caserma a fare la denuncia”. Grazie alle testimonianze degli aggrediti, il 6 agosto scorso, è arrivato l’arresto di uno dei componenti del commando con l’accusa di rapine pluriaggravate per le lesioni riportate dalla vittima. Il Gip del Tribunale dei minori ha riconosciuto le finalità discriminatorie e l’odio etnico dell’azione criminale. Gli indiani avevano già collaborato con le forze dell’ordine durante l’operazione ‘Lacks’ contro un’associazione per delinquere finalizzata all’ingresso irregolare di cittadini indiani nel nostro paese.
A Locri, nessuno ha chiesto scusa alla comunità Sikh a nome della città, né, a parte la nota del locale PD, le istituzioni o i cittadini hanno ringraziato i lavoratori stranieri per aver rimesso a nuovo la cappella gratuitamente, lavorando per nove giorni ad agosto, nei fine settimana, dopo aver passato cinque giorni a spaccarsi la schiena nei campi per dodici ore al giorno. “Nella cappella c’era umidità, abbiamo rifatto il muro con cemento e calce e l’abbiamo ridipinta, abbiamo anche aggiustato una tomba di 110 anni fa, la più vecchia di Locri, in cui è sepolta una bambina”, dicono i ragazzi stranieri. E lamentano: “Per noi è un problema quando ci rivolgiamo agli ospedali o ai carabinieri, ci trattano come persone non importanti, ma noi siamo Sikh e non abbiamo paura di niente, solo di Dio”.