ROMA – Stanchi di essere sfruttati nei campi per pochi euro al giorno, ricattati dai caporali per il permesso di soggiorno, costretti a vivere in casolari diroccati, duecento braccianti africani hanno lasciato i campi a Rosarno e sono arrivati a Roma. Due i presidi nella capitale, il primo davanti al ministero dell`Agricoltura e il secondo in piazza Esquilino, vicino al ministero dell`Interno. La loro rivolta di due anni fa contro la `ndrangheta e il caporalato ha portato dei cambiamenti per i rosarnesi, che allora vivevano in un comune commissariato per mafia e oggi hanno un sindaco, Elisabetta Tripodi, sotto scorta per le sua azioni contro le cosche. Ma per i 1500 lavoratori africani impiegati negli agrumeti della Piana di Gioia Tauro le condizioni di vita non sono migliorate.
“No al lavoro nero, allo sfruttamento, alla schiavitù”, “il sudore è lo stesso anche se il colore della pelle è diverso” e “il vostro made in Italy è macchiato del nostro sangue” sono gli striscioni che hanno srotolato. “Signor ministro, esci a guardarci in faccia – urla dal megafono M. ivoriano – siamo quelli che lavorano a Foggia, Rosarno e Brindisi, è lì che dovete andare a lavorare”. Un ragazzo senegalese, Lamine, racconta: “La vita è difficile perché dobbiamo accettare 20 euro al giorno, pagare il trasporto e il capo italiano non ci rispetta”. Diallo è un lavoratore della Guinea, da tanti anni in Italia. “Se ci mandano i container non ci aiutano, non ha senso dopo che ci hanno tolto i documenti, con il permesso di soggiorno possiamo affittare una casa e avere un lavoro in regola – dice -. Scrivi anche il mio nome, non ho paura: se vado in galera per un reato è un male, ma se vado in galera per una cosa giusta, per me è un bene”. Diallo ha in tasca anche una qualifica per fare le bolle di spedizione delle arance. “Tanti agricoltori sono analfabeti e così posso aiutarli”, spiega.
In piazza con i lavoratori subsahariani anche le associazioni Africalabria ed Equosud che hanno lanciato “Sos Rosarno” una vendita di arance e olio solidali mediante i gruppi di acquisto. Grazie alla campagna, che il 18 gennaio sarà a Budrio (Bo), quattro lavoratori africani hanno ottenuto un lavoro in regola e una paga equa di 40 euro al giorno. Ibrahim e Boubaker, due di loro, erano in piazza con gli altri per protestare contro il circuito di sfruttamento, favorito dalla legge sull`immigrazione che lega il diritto alla permanenza sul territorio nazionale al possesso di un contratto di lavoro. Quest`anno sono molti gli africani con accento del nord in provincia di Reggio Calabria. Lavoravano a Cuneo, Treviso, Brescia e hanno perso l`occupazione con la crisi, costretti a riciclarsi in agricoltura.
“Pensiamo che oggi si debba arrivare a una modifica dell`articolo 18 del Testo unico sull`Immigrazione per chi denuncia lo sfruttamento e la criminalità – spiega l`avvocato Arturo Salerni, dell`associazione `Progetto Dirittì che appoggia la battaglia dei braccianti stranieri – la regolarizzazione per grave sfruttamento favorisce l`emersione e una sanatoria porterebbe a un recupero contributivo e fiscale”. Soldi che entrano nelle casse dello Stato al posto dei costi esorbitanti spesi per i rimpatri attraverso la reclusione dei migranti senza permesso di soggiorno nei Centri di identificazione e di espulsione. Un sistema inefficace, visto che è molto difficile ottenere il rimpatrio nei paesi subsahariani. “Non si può pensare di lasciare la gente nell`irregolarità e nella disperazione, bisogna adeguare la legge” dice Salerni.