Memoria. Cosa succede alle donne neocomunitarie?

Rosarno e dintorni. Cornelia e le donne dell’Est

Antonello Mangano
  La situazione dei lavoratori e delle lavoratrici provenienti dall’Est Europa è diventata migliore rispetto a quella degli africani da quando sono neocomunitari. Ma di loro non si occupa nessuno. La violenza nel lavoro domestico e in famiglia è un fatto tanto generalizzato quanto nascosto. E l’unica indagine su ‘ndrangheta e traffico di immigrati riguarda proprio i rumeni.
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Rosarno (RC) – Gli spari che riecheggiano l`ultima notte dell`anno tra le vie della città possono anche non indicare la gioia per l’anno nuovo. Cornelia Doana, rumena, è una delle vittime del capodanno rosarnese. Aveva solo 17 anni, è stata uccisa il 31 dicembre 2007 da una calibro 7,65 con la matricola abrasa. Per l’omicidio si sono costituiti due fratelli, complici dell’ex convivente della ragazza. 

Ammazzata per un motivo d’altri tempi: avere osato lasciare un uomo violento e inaffidabile. Cornelia era arrivata in Calabria con la famiglia; padre bracciante agricolo, madre casalinga. Dalla relazione con un giovane del posto nasce una bambina, appena due mesi prima del delitto. Cornelia, però, decide di troncare la relazione. La reazione si manifesta in quaranta scariche di pallettoni contro la casa dei suoceri, tra il frastuono dei botti e l’euforia dei festeggiamenti. Dopo, altri colpi di pistola, due ferite mortali al torace, l’inutile corsa fino all’ospedale di Polistena.

Il 2 aprile 2008, un quarantaduenne originario di Cutro, nei pressi di Crotone, gestore di fatto di un locale notturno reggino, ha sparato mosso dalla rabbia per essere stato affrontato da tre albanesi ubriachi che non volevano andarsene al momento della chiusura. Lulzim Hoxhaj, 22 anni, rimane ucciso. Il 7 ottobre 2008 Olesia Ciobanu, moldava, 30 anni è uccisa con due coltellate alla gola e gettata in mare. Sarà ritrovata su una spiaggia di Bovalino, sulla costa jonica reggina. Era arrivata in Italia da appena un mese.

Qualche giorno dopo, un pensionato di 88 anni uccide la sua badante, Eluta Ilaf, rumena, 44 anni, con un colpo di fucile. Misterioso il movente: secondo l’anziano, stava semplicemente pulendo l’arma. E’ stato lui stesso a chiamare i carabinieri, che arrivano in un anonimo appartamento e ritrovano la donna in una pozza di sangue

Il cadavere carbonizzato

Il cadavere carbonizzato di una donna rumena è stato ritrovato – il 14 settembre 2008 – in una Fiat Brava nelle campagne di San Gregorio d’Ippona, nel vibonese. L’operazione di recupero dell’auto bruciata è stata particolarmente complessa. La vettura, infatti, si trovava in un torrente ingrossato a causa di forti piogge. Del cadavere all’interno della vettura rimaneva soltanto il tronco. Solo il test del DNA permetteva di risalire a una romena di 31 anni, residente a Vibo Valentia e madre di un bambino di otto anni. E’ stata uccisa con due colpi di pistola alla testa prima di essere bruciata. Il 6 gennaio del 2007, Ovidiu Candrea, rumeno di 30 anni, è al lavoro tra i campi di broccoli nei pressi di Tropea. Uno o più sconosciuti gli sparano contro una decina di colpi di pistola: ha pagato solo di essere alle dipendenze dell’altro ucciso, il vero destinatario dei proiettili.

La sera dell’8 febbraio 2009 a Staiti, un piccolo paese della locride, una telefonata anonima forniva ai carabinieri le indicazioni per ritrovare i corpi senza vita di Giuseppe Toscano, di 70 anni, pensionato e di Micaela Topala, 36 anni, cittadina romena. Il cadavere della donna è stato trovato all’interno di un casolare mentre quello del pensionato era in una automobile con lo sportello aperto, entrambi uccisi da colpi d’arma da fuoco.

Misteriosa la dinamica, sconosciuto il movente: non si sa neppure se si sia trattato di un agguato o ancora di un omicidio-suicidio. Il 27 aprile 2009, a Chiaravalle, nel catanzarese, trova la morte Inna Abramovia, 35 anni. E’ appena mattina, siamo di fronte ad un asilo. Un’automobile si affianca ad un’altra, un uomo esplode numerosi colpi di fucile che provocano due morti: un pregiudicato di 48 anni deceduto in ospedale dopo una breve agonia ed appunto la sua compagna ucraina. Avevano appena accompagnato il figlio a scuola, le fucilate avrebbero potuto provocare una strage di bambini innocenti.

Traffico di essere umani

San Gregorio d’Ippona è un piccolissimo paese nel cuore della Calabria, due passi dalla Piana di Gioia Tauro e dagli aranceti di Rosarno. Solette catramate, scheletri di palazzi a tre piani e intonaci mai terminati, territorio diviso tra i clan, confederati dal carisma dei Mancuso, potente clan specializzato nell’import di cocaina dalla Colombia ed abile a crearsi una galassia di cosche confederate nei paesini del circondario. A San Gregorio ci sono i Fiaré. L’occasione la offre un basista rumeno che fa la spola tra Como e la Calabria: entra in contatto con Rosario, il boss, ha già capito che se lui non è d’accordo non può fare nulla.

Il sistema funziona fino al 2005, quando scatta l’operazione “Rima”. Le volanti della Polizia arrivano di notte, invadono il paesino, prendono una trentina di persone: capo, luogotenenti e soldati. Sono ricercati anche i politici, ex sindaco e vicesindaco, i quali – secondo la Procura – nei 12 anni della loro giunta avrebbero consegnato il municipio ai mafiosi. Nel 1997 la loro lista fu l’unica a presentarsi. Giunti in Italia, gli uomini venivano avviati al lavoro irregolare nell’agricoltura, con compensi irrisori, le donne all’impiego domestico oppure alla prostituzione. Nel corso degli anni oltre mille persone sono state introdotte in Italia: un percorso via terra pagato un biglietto salatissimo. Ogni settimana ne arrivavano una trentina. Erano attirati con falsi annunci di lavoro in Italia, dalla cameriera alla segretaria.

Il caso delle donne dell’Est uccise in Calabria è stato completamente ignorato dai media. Non tutti gli omicidi sono riconducibili a una unica matrice, ma non sono neppure frutto del caso. “Era un uomo d’altri tempi”, dissero i vicini di casa del novantenne che uccise Eluta Ilaf con una fucilata. Si riferivano ai modi gentili, ai saldi principi, a concetti come onore e rispetto. Si riferivano senza saperlo a quegli uomini di un passato mai tramontato del tutto, capaci di cedere sistematicamente il passo alle donne, ma non di tollerarne un rifiuto. Incapaci di pensare alla donna come qualcosa di diverso da una proprietà, un “bene disponibile”, in particolare se si tratta di una domestica straniera.

Ricordo di Ciccio Svelo

La prima volta che qualcuno mi parlò della drammatica situazione di Rosarno fu in un vagone scassato di un treno regionale che attraversava la Calabria. Ciccio Svelo mi disse: “Lì succede qualcosa di terribile, quelle che soffrono di più sono le donne bulgare”. Svelo, attivista e avvocato che aveva preso le difese di alcuni immigrati africani, mi spiegò che venivano attirate con falsi annunci e poi sfruttate in tutti i modi.

“L`anno prossimo la situazione migliorerà”, aggiunse. “Bulgaria e Romania entreranno nell`Unione europea e queste donne e questi uomini avranno i documenti”. Fu proprio così. Le loro condizioni oggi sono gravi, ma sicuramente non paragonabili a quelle dei migranti che possono essere ricattati col permesso di soggiorno. Oggi Ciccio ci ha lasciati, ma le sue battaglie sono ancora in piedi.

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