Rosarno (Rc) – Nella lettera indirizzata ai rosarnesi, gli africani scrivono: “Non dovete avere paura di noi”. Per oltre vent`anni, sono stati i migranti a temere gli attacchi, le aggressioni e le pallottole di balordi e delinquenti, ragazzini e criminali col patentino della `ndrangheta. Oggi la paura ha cambiato indirizzo. Hanno paura gli uomini dei clan: di finire in carcere, che sequestrino i loro beni, che gli italiani prendano esempio da quegli stranieri che non conoscono il significato della parola omertà.
Dal 2010, invece, la rivolta di Rosarno è diventata uno spauracchio che si aggira per le città multietniche e per le campagne caratterizzate da sfruttamento estremo. In Italia infatti la raccolta dei pomodori (o delle arance o delle patate) si affronta abitualmente con gli strumenti dell’emergenza umanitaria: container e tendopoli, come in Darfur. Perché non cominciare dalla questione sindacale? La povertà estrema dei braccianti stranieri dipende dai salari bassi e da una filiera malata. Da un sistema economico che si basa sullo sfruttamento portato alle estreme conseguenze, per i migranti come per gli italiani.
Tutto questo non esiste nell’immaginario collettivo. Per i media e dunque per il senso comune, Rosarno è la metafora di una bomba pronta a esplodere ovunque ci siano tensioni tra immigrati e italiani. Per noi è la speranza: anche un luogo estremo e apparentemente senza luce può innescare processi di cambiamento se viene contaminato da mentalità differenti. “Luoghi-mondo che non si incontrano”, li ha definiti Stefano Boeri, architetto del Politecnico di Milano, che ha promosso progetti visionari (e ignorati) per valorizzare le potenzialità della Piana e la presenza dei migranti. Insieme ai suoi studenti provenienti da tutto il mondo è stato l’unico a non considerare Rosarno come un “problema” da risolvere.
La nostra sicurezza
Il ministro della Lega come i giornali progressisti. Tutti, per lunghi anni, hanno raccontato che i migranti mettono in pericolo la nostra sicurezza. Al Sud, come in ogni territorio dominato dalla mafia, è semplicemente ridicolo. Dopo le rivolte, è apparso anche falso. Gli africani hanno reso Rosarno un posto più sicuro. Per gli italiani e per sé stessi. Sono finite le aggressioni razziste, una piaga per vent’anni. La paura ha cambiato indirizzo, appunto. Ma hanno pagato con la persecuzione dello Stato: controlli di “legalità” sui permessi e gli assembramenti e il modello dell’accoglienza recintata. Gli italiani hanno potuto respirare: gli arresti e i processi contro i Pesce-Bellocco, i sequestri di beni, l’elezione di una donna sindaco capace di acquisire al patrimonio comunale l’abitazione della madre del boss, ricevendo in cambio una lettera densa di minacce e insinuazioni.
Nel 2008 un rapinatore sparò contro i raccoglitori che tornavano dai campi. Tutti dissero: è un balordo. Chi altri potrebbe portare via pochi soldi a lavoratori così poveri da camminare in pieno inverno con le ciabatte infradito? E poi “la ‘ndrangheta non fa queste cose”. Quell’uomo – lo dicono gli atti dell’inchiesta “All Inside 2” – nel 2006 era andato all’Hollywood di Milano per uccidere chi aveva osato offendere pubblicamente Francesco Pesce ‘u nanu. E la sua ‘ndrina controllava – fino ai sequestri di “All Clean” – tutta la filiera delle arance: dal conferimento al trasporto su gomma, dalla fornitura di cassette fino ai supermercati. Chi lavorava fuori da quel sistema e riconosceva salari dignitosi doveva nascondersi. Oggi, invece, la rete nazionale dei gruppi di acquisto solidale permette alle aziende che assumono in regola di trovare nuovi sbocchi e valorizzare la dignità del lavoro.
Rosarno è cambiata? Siamo cambiati noi
Dopo la rivolta i giornali si sono chiesti ossessivamente se Rosarno fosse cambiata. Nel frattempo si è “rosarnizzata” l’Italia. Il modello per cui il livello superiore scarica su quello più debole il disagio della crisi è ormai esteso a tutti i settori: dal commercio al turismo, dall’editoria all’edilizia. Nel centri commerciali titolari di franchising costretti a pagare cifre assurde solo per un marchio si rifanno sulle commesse, che non sono più semplici dipendenti ma “associate in partecipazione” e dunque rischiano di pagare le perdite se il negozio va male. Le librerie sono strozzate da grossi editori (che non riconoscono rese ma solo storni sugli acquisti futuri) e si ripagano truffando i piccoli editori. I grandi contractors ottengono appalti pubblici in edilizia col massimo ribasso, e poi subappaltano a piccoli imprenditori costretti a lavorare al minimo. A loro volta si rifanno sui dipendenti mascherati da piccoli imprenditori con partita Iva.
Mentre ci siamo consolati pensando che “fanno i lavori che non facciamo più”, il lavoro migrante è stato il laboratorio dello sfruttamento da applicare a tutti. Al contrario, le lotte dei lavoratori migranti hanno alzato il livello dei diritti di tutti. Sono stati i migranti – da soli – a condurre un percorso di lotta contro le piaghe italiane, mafia e sfruttamento: da Castel Volturno a Rosarno fino allo sciopero di Nardò dell’agosto 2011. Quando incontrammo per la prima volta Giuseppe Lavorato, ex sindaco antimafia di Rosarno, ci disse: “Il nostro Pertini emigrò in Francia e poi divenne Presidente della Repubblica. Forse nelle campagne c’è già un futuro leader”. Poi ascoltai Yvan Sagnet nello spiazzo della Masseria Boncuri, nelle campagne del Salento. Diceva: “Scioperiamo. Tutti ciò che di bello c’è al mondo si è ottenuto con la lotta”. Allora riconobbi alle parole di Lavorato il valore della profezia.
Antonello Mangano, Gli africani salveranno Rosarno. E, probabilmente, anche l`Italia, seconda edizione aggiornata, terrelibere.org, Catania 2012, formati disponibili: libro (euro 8), ePub (euro 4.5), pdf (euro 4.5)