Richiedenti asilo

Tornano in Italia i rifugiati palestinesi fuggiti da Riace

Raffaella Cosentino
  Un caso che ha fatto scalpore in Europa e in Medio Oriente. I palestinesi hanno accusato l’Italia di averli messi in una situazione di pericolo, sotto la minaccia della mafia. Adesso un primo gruppo torna in Italia. Il cadavere di uno di loro era stato trovato impiccato a un albero di ulivo, in avanzato stato di decomposizione. Anche Hamas aveva preso posizione sulla vicenda.
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ROMA – Tornano in Italia i primi 47 palestinesi che facevano parte del gruppo di 150 rifugiati scappati in Svezia dal progetto di reinsediamento di Riace e Caulonia. Un caso che ha fatto scalpore in Europa e la cui eco è giunta fino in Medio Oriente. I palestinesi hanno accusato l’Italia di averli messi in una situazione di pericolo, sotto la minaccia della mafia. O, meglio, della ‘ndrangheta della Locride.

Sono fuggiti in massa in Svezia tra maggio e giugno del 2011, dopo che il cadavere di uno di loro è stato trovato impiccato a un albero di ulivo, in avanzato stato di decomposizione. Il 17 maggio scorso, il corpo di Hassan Shibaki, 48 anni, è stato rinvenuto molto lontano da Riace, in un uliveto in località Matoto a Soverato Superiore, addirittura in un’altra provincia, quella di Catanzaro.

Hassan era stato strangolato dal laccio del suo giubbotto circa una settimana prima dell’effettivo ritrovamento, nessuno l’aveva mai visto in quella zona della Calabria. Aveva 300 euro in tasca. In quel periodo, come molti altri palestinesi, stava cercando di mettere insieme i soldi per il viaggio in Svezia, secondo quanto raccontato ai giornalisti dagli altri rifugiati. Nessuno sa se l’uomo si è tolto la vita o se è stato ucciso, in una zona della Calabria in cui proprio tra il 2008 e il 2011 si è sviluppata una feroce faida di ‘ndrangheta con decine di omicidi anche in pieno giorno.

Difficilmente si arriverà a scoprire la verità sul caso, se Hassan fosse un testimone scomodo che qualcuno voleva eliminare o se abbia deciso di farla finita per lo sconforto. Di sicuro per i palestinesi non si tratta di un suicidio. Così sono partiti in massa e hanno cercato di creare un precedente al regolamento di Dublino, chiedendo di non essere rispediti in Italia dalla Svezia. Ma le autorità svedesi e italiane negano questa possibilità in base agli accordi internazionali, dunque a scaglioni i palestinesi dovranno rientrare tutti nel nostro paese. Nell’area Schengen un rifugiato non può circolare per più di tre mesi e i termini sono scaduti.

Le accuse dei palestinesi, uscite anche sul quotidiano libanese Daily Star, hanno portato perfino Hamas a prendere posizione. Da Gaza, il dipartimento per i rifugiati palestinesi ha chiesto all’Unhcr di intervenire per salvarli “dopo le notizie che li mostrano sotto attacco e sequestro da parte della mafia italiana”. Alcuni dei rifugiati palestinesi che hanno vissuto a Riace tra la fine del 2009 e maggio del 2011, hanno raccontato ai giornalisti di aver sentito spari vicino casa e di aver visto l’incendio doloso di una macchina. Il gruppo di 180 rifugiati provenienti dal campo siriano di Al Tanf faceva parte di un reinsediamento (resettlement) dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) finanziato dal ministero dell’Interno. Il progetto sarebbe dovuto durare due anni, da dicembre 2009 a fine 2011, ma di fatto a Riace si è chiuso a giugno per la partenza di tutti i beneficiari, a Caulonia invece sono rimaste una trentina di persone.

Nel corso dei due anni, il gruppo aveva più volte protestato con le autorità, ricevendo la visita di rappresentanti del Viminale e dell’Unhcr. Lamentavano una scarsa professionalità degli operatori del programma e di non avere la possibilità di fare formazione professionale. Erano in contatto telefonico con amici e familiari che l’Unhcr aveva trasferito in Svezia e sapevano che in quel paese le condizioni di integrazione dei rifugiati sono migliori.

Ritrovandosi in un piccolo comune del sud Italia, con gli stessi calabresi che emigrano in massa perché non c’è lavoro, la preoccupazione dei palestinesi è stata subito quella di capire cosa sarebbe accaduto al termine del progetto di due anni. Sentivano di non avere possibilità di trovare lavoro in una zona economicamente depressa della Calabria e chiedevano garanzie per la casa, il lavoro e anche la pensione di anzianità al termine dei due anni del resettlement. Garanzie che in Italia non esistono.

Il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, che aveva accolto con gioia insieme alla popolazione l’arrivo delle famiglie palestinesi con tanti bambini grazie ai quali le scuole non avrebbero chiuso, spiega: “Dal primo minuto le rivendicazioni sono state pesantissime, nonostante il progetto prevedesse cifre più alte del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) normale, con 35 euro pro capite al giorno e 200 euro al mese a persona come pocket money”. Per il sindaco il problema dei palestinesi non era la ‘ndrangheta. “Vogliono l’assistenza a vita e stanno creando un caso, in realtà sono iracheni, figli della Nakba, privilegiati con Saddam Hussein e finiti nel campo di Al Tanf dopo la sua caduta”.

Anche secondo Daniela Di Capua, direttore del servizio centrale Sprar, prima dei palestinesi non è mai arrivata una segnalazione su aggressioni mafiose da parte dei rifugiati che vivono a Riace: “Non abbiamo precedenti di situazioni del genere, nessuna minaccia o pericolo per le persone in un comune dove sentirsi parte della comunità non è mai stato un problema, il problema è l’inserimento lavorativo, soprattutto con grandi numeri su territori così piccoli, infatti i posti ordinari dello Sprar a Riace sono solo 15”. In via eccezionale, i palestinesi di ritorno saranno ospitati fino a fine anno in altri progetti Sprar sparsi per l’Italia. I primi tornano in Calabria, vanno in provincia di Cosenza.

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