Pubblicato su “il manifesto“
MESSINA – “Diciamo che si sono allargati”. Quando il presidente dell’ANAS Piero Ciucci venne nella città dello Stretto per presentare il progetto del Ponte commentò così la lunghissima lista di “opere compensative” presentata dai politici locali. Era il febbraio 2010. L’incontro si tenne in un “palacultura” inaugurato dopo 35 anni di lavori. Il disagio del megacantiere andava compensato col raddoppio della tangenziale e con nuovi svincoli autostradali, persino quello di Giampilieri. Fino alla richiesta che oggi assume un significato particolare: la copertura dei torrenti Papardo e Annunziata, ovvero quei piccoli tratti miracolosamente sfuggiti all’asfalto.
Il 27 settembre del 1998 l’Annunziata straripò uccidendo cinque persone: una intera famiglia più un cingalese trascinato via dal fango. Allora si ascoltò per la prima volta il consueto “mai più” che ogni volta avrebbe accompagnato i funerali delle vittime e le immagini dei corsi d’acqua trasformati in bombe d’acqua. E una delle discariche previste dal progetto del Ponte è posta proprio sopra il torrente Annunziata.
Poche settimane fa una delegazione della Rete No Ponte riusciva a incontrare il vicesindaco superando un doppio sbarramento di polizia e vigili urbani. Gli attivisti volevano semplicemente invitare i politici locali a non firmare l’accordo con la “Stretto di Messina” che avrebbe consegnato il territorio a un progetto di devastazione. Oltre sei milioni di metri cubi sarebbero “conferiti” nei “siti di recupero ambientale”, secondo l’elegante burocratese dei progettisti. Per ambientalisti e tecnici, invece, si tratta di discariche poste nei canali d’impluvio: cioè ulteriori tappi capaci di creare nuove bombe d’acqua. Alcune sono previste a Messina, le altre a Torregrotta e Valdina, esattamente a metà strada tra Barcellona e Saponara, teatro delle alluvioni che hanno fatto tre morti.
“Oggi in una scuola ho visto le classi vuote. Ormai la gente non esce di casa se vede una nuvola nera”, disse un attivista al vicesindaco. “Bisogna avere i dati, le prove”, rispose il lungimirante politico. Dopo qualche settimana il primo cittadino – in seguito all’allerta meteo – ordinava a tutti i presidi della città di trattenere gli alunni fino al termine della pioggia. In molti casi era troppo tardi: i dirigenti scolastici avevano mandato a casa i bambini. Per evitare lo psicodramma del 9 novembre, due giorni fa le scuole sono rimaste chiuse preventivamente.
Ieri il consiglio comunale messinese, per la quinta volta di seguito, si è riunito per discutere l’accordo di programma con la Stretto di Messina. Nelle quattro occasioni precedenti era mancato il numero legale. Il sindaco era stato spesso assente. Ponte e sicurezza del territorio sono questioni cruciali per la città, ma la classe politica le vive con rilassatezza. Gli animi si infiammano solo quando si discute di “opere compensative”, ovvero la modalità con cui un ceto politico di questuanti spera di strappare a Roma le risorse che per via ordinaria non arriveranno mai.
“I cittadini chiedono sicurezza dal rischio idrogeologico. Le frane che hanno causato 37 morti il primo ottobre 2009 rappresentano l’evento più tragico di una sequenza di episodi calamitosi. Sotto accusa è un modello di gestione del territorio”. Subito dopo la tragedia di Giampilieri il movimento No Ponte chiedeva che le risorse per la grande opera fossero spostate alla sicurezza del territorio. Una posizione oggi condivisa da tutti gli schieramenti politici e dalle parti sociali, ma che non ha prodotto risultati tangibili.
Nello Stretto opera già il cosiddetto “monitore ambientale”, la figura prevista dal contratto del Ponte. Dovrebbe studiare “ante operam” il territorio. Un appalto da 29 milioni di euro. La società capofila è la multinazionale EDF, equivalente francese dell’Enel, accusata di aver inquinato la falda acquifera di Melfi, in Basilicata. Gli studi previsti riguardano la lepre italica e i pipistrelli, ma ci dicono pochissimo sulla fragilità del territorio.
Per Giampilieri e Scaletta Zanclea (altro comune vittima del disastro del 2009) sono stati stanziati fondi per 180 milioni. Ma sono inutilizzabili a causa di un’ordinanza sbagliata. Sembra quasi che le sciagure siano preparate con cura, per una sorta di “shock economy” all’italiana. Un copione che due anni fa vedeva Berlusconi sorvolare in elicottero le zone devastate, proporre il suo show a base di battute, promettere agli sfollati una nuova abitazione col frigo pieno. Di solito si concludeva con gli affari della cricca.
A Messina non funzionò, i movimenti e gli abitanti rifiutarono le new town. Ai funerali il cavaliere fu pesantemente contestato. E ci rimase malissimo: “Berlusconi va a Messina, lavora tutta la mattina per rifare le case, va in chiesa e sta tre ore in piedi con la gamba che gli fa male, di fronte alle bare. Abbraccia tutti coloro che deve abbracciare perché hanno perso i cari”, confida a Lavitola in una celebre telefonata intercettata. “Poi dalla chiesa va alla sua macchina e ha quindici giovani da una parte e dall’altra che gli dicono ‘assassino’, ‘buffone’, ‘vergogna’. E non succede niente. O lascio, o facciamo la rivoluzione. Ma la rivoluzione vera”.