REGGIO CALABRIA – «Ho proposto far lavorare la mia impresa gratis nei cantieri della Salerno-Reggio Calabria, hanno declinato l’offerta con un cortese “Abbiamo appena firmato un contratto con un’impresa, ci dispiace ma non possiamo tornare indietro”». Gaetano Saffioti non è mai riuscito a lavorare nei cantieri dell’A3. L’imprenditore di Palmi, che con le sue denunce ha fatto arrestare ‘ndranghetisti dai cognomi pesanti e di casati potenti, ora vive blindato nella sua terra. Ha deciso di restare dove è cominciata la sua battaglia. «Denunciare e andarsene non sarebbe servito a molto – dichiara a Left -. Ho scelto di rimanere e di lottare lavorando onestamente. Credo nelle possibilità di questa terra».
Per realizzare il suo sogno, costruire un metro di A3, sarebbe disposto a lavorare gratis, ma il suo nome crea confusione nell’establishment ‘ndranghetista. «Lo Stato in questo caso ha delle responsabilità, dovrebbe sostenere chi ha denunciato, chi ha scelto di rimanere sul territorio e si fa portatore di un messaggio positivo». Con le sue dichiarazioni sono state avviate importanti indagini, alcune delle quali riguardano la presenza delle ‘ndrine nei cantieri dell’autostrada incompiuta. La ‘ndrangheta è dappertutto, è la padrona della Calabria, ci confida con rabbia e amarezza Saffioti, che chiosa: «Lo Stato esiste solo sulla cartina geografica». Da quando ha denunciato l’hanno isolato. Lavora soprattutto all’estero e nel nord Italia. Pe lui la Calabria e l’A3 sono off limits.
Ha tentato di diventare sub affidatario dei General Contractor. Ma senza successo, le sue offerte sono cadute nel vuoto. «Tempo fa contattai un General Contractor, subito si complimentarono: “Bel parco machine, ottima azienda”. Ma il giorno successivo mi dissero: “Il suo nominativo non va bene”. Così funziona il sistema A3. E i processi in corso, i pentiti, le informative degli investigatori, ne sono una limpida conferma. «Una volta un dipendente di un importante General Contractor, poi coinvolto nell’operazione Arca, di me disse: “Saffioti lo troveranno su un albero di ulivo se torna a passare di qua”». Quel dipendente è stato assolto, e con lui il presidente del Gruppo, tra i colossi delle società di costruzioni italiane.
«Il General Contractor è un po’ come Ponzio Pilato. Sanno ma non sanno. E’ anche vero che i sub appalti non passano tutti sotto la visione del General Contractor, e che le imprese hanno tutte le carte formalmente in regola. Ma tutti sanno benissimo quali ditte possono lavorare e a quali non è consentito». E Saffioti fa parte del secondo gruppo. «Se i grandi nomi delle costruzioni, che sull’A3 lavorano da anni e si accingono a realizzare il Ponte, s’impegnassero, le cose potrebbero cambiare». Come? «Denunciando e respingendo al mittente certe logiche. Per esempio potrebbero coinvolgere gli imprenditori che hanno denunciato. Ma poi vai a vedere tra i sub affidatari chi c’è, e trovi aziende “malate”». Saffioti ci racconta delle numerose aziende sub affidatarie che hanno lavorato nei cantieri dell’A3 e poi sono state estromesse perché ritenute mafiose. «A cosa sono serviti i protocolli di legalità e i proclami della politica e delle associazioni di categoria?» ci chiede Saffioti. La risposta è nella relazione della DNA del 2008. «Circa il 40% delle ditte affidatarie di lavori in subcontratto sono state destinatarie di informazioni negative da parte della Prefettura».
Il meccanismo di penetrazione segue diversi stadi. Il primo approccio delle ‘ndrine si concretizza con la richiesta della tassa ambientale del 2-3 per cento. «Si passa così all’imposizione delle forniture, della manodopera, dei subappalti. Se ho bisogno di calcestruzzo, mi dicono: “Lo devi prendere da tizio, amico nostro”, che a sua volta dovrà rifornirsi da un altro amico delle ‘ndrine, e trasportare il materiale con i camion di altre ditte orbitanti attorno alle cosche». E’ una filiera malata e controllata che crea costi aggiuntivi, a scapito della qualità. Ne è convinto Saffioti. «Invece che metterci 200 chili di cemento, ce ne metteranno 190, invece che smaltire onestamente i rifiuti si cercheranno vie più economiche per recuperare la “spesa ambientale” dovuta ai boss. A rimetterci è ancora una volta la collettività, costretta ad accettare opere di qualità pessima».
Storture della filiera che riguardano anche i lavoratori delle ditte subappaltatrici, costretti a tassare la loro paga giornaliera. «Ho incontrato operai chiamati dalla ‘ndrangheta costretti a pagare una tassa sulla paga giornaliera, ai tempi era di 5 mila lire. Una prassi che avviene ancora oggi». Saffioti è diventato un punto di riferimento per gli imprenditori che vogliono liberarsi, ma per molti è una spina nel fianco. Rappresenta l’alternativa possibile. «Due imprese con cui all’estero lavoriamo insieme, in Calabria preferiscono non avermi come partner». Il controllo è totale, asfissiante. «E’ risaputo che la ‘ndrangheta – conclude – va a trovare l’impresa che arriva per lavorare sull’A3. Accade anche il contrario».