Il surreale processo ai tunisini

Lampedusa, salvare dal naufragio non è reato. Finalmente la sentenza di Palermo

Cinzia Gubbini
  Salvare 44 persone che stanno per annegare non è reato. Dovrebbe essere un`ovvietà. Non lo è nell`Italia incattivita dal dominio leghista. Solo oggi - dopo anni di agonia giudiziaria - il Tribunale di Palermo ha assolto Aubdelkarim Bayoudh e Abdelasset Zenzeri, capitani dei pescherecci sequestrati. Ma avevano subito 40 giorni di carcere e un danno economico incalcolabile
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Assolti perché il fatto non costituisce reato. La sentenza di appello rende giustizia ai pescatori tunisini condannati in primo grado per resistenza a pubblico ufficiale. Nel 2007 salvarono la vita a 44 persone, trovate in mare in difficoltà su una carretta che imbarcava acqua. Li presero a bordo e si diressero verso l`Italia. La Capitaneria di porto gli impose di non fare ingresso in Italia: il loro “carico” non era gradito. Loro disubbidirono. I capitani dei due pescherecci coinvolti nella vicenda si fecero 40 giorni di carcere, 20 il loro equipaggio. Le navi sequestrate per tre anni e mezzo. Le loro famiglie rovinate. Ora, un po` di giustizia.

 Si respira tutta la soddisfazione e la gioia dopo una grande fatica ad Agrigento. E ve ne è ragione: Aubdelkarim Bayoudh e Abdelasset Zenzeri, i capitani dei due pescherecci, in primo grado avevano ricevuto una condanna a 2 anni e 6 mesi. Caduto il capo di imputazione di “favoreggiamento dell`immigrazione clandestina a fini di lucro”, era comunque rimasto in piedi quello di “resistenza a nave da guerra e a pubblico ufficiale”.

Sentenza contraddittoria: se non erano “scafisti” – cosa di cui venivano accusati dal pm di Agrigento Fornier,  e sospettati dalla Capitaneria di Porto e dalla Marina militare – e se pensavano di trovarsi in una situazione di difficoltà, perché mai avrebbero dovuto tornare in Tunisia, come pretendeva l`Italia? In quanto al fatto che si trovassero in una situazione di difficoltà, basti raccontare come stavano andando quell`8 agosto le cose a 32 miglia da Lampedusa: il mare era forza 9, e sul gommone che imbarcava acqua c`erano due donne incinte e due bambini, di cui uno disabile. Che infatti, una volta attraccati i pescherecci a Lampedusa, furono subito traferiti in elisoccorso a Palermo.

 Evidentemente, però, per il giudice di primo grado i due capitani non erano scafisti, ma tutto sommato si trovavano in una situazione gestibile. Quindi avrebbero dovuto cambiare rotta e dirigersi verso la Tunisia, come se i pescatori fossero a conoscenza – e la dovessero rispettare epr forza – della politica europea sull`immigrazione.

Perché, alla fin fine, Zenzeri e Bayoudh sono stati le “vittime sacrificali” di un gioco politico molto ampio, e portato avanti con molto poco scrupolo: l`Italia voleva portare a casa una sentenza che indebolisse un po` quel principio finora intoccabile che è la proprità assoluta del salvataggio delle vite umane in mare rispetto a qualsiasi altra considerazione. E` stato, quel processo, la prova generale dei respingimenti in mare che, poi, sono stati realizzati senza tante sottogiliezze dal ministro dell`Interno legjista Roberto Maroni.

A combattere contro tutto questo, e ad avere ancora una volta ragione, grazie alla costanza e alla ricerca di giustizia, i tanti attivisti siciliani che hanno sostenuto i pescatori – a cominciare da Borderline Sicilia e dal progetto siciliamigranti.blogspot.com – e gli avvocati Leonardo Marino e Giacomo La Russa. “Il Tribunale finalmente ha riconosciuto l`innocenza di queste persone – dice Marino – aspettiamo di conoscere i particolari del dispositivo, con le motivazioni che usciranno tra 90 giorni. Ma evidentemente è stata presa in considerazione la nostra tesi, quello che sosteniamo da tanti anni: nella mente dei pescatori c`era solo una cosa, la volontà di porre fine a uno stato di necessità, perché quelle persone stavano rischiando la vita”. E salvarle, la giurisprudenza lo sottolinea di nuovo, non è reato.

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