ROSARNO (Rc) – ‘U pirata, u testuni, u pacciu, u babbu, u ballerinu. Ecco i soprannomi degli esponenti della ‘ndrina Pesce, spesso ereditati di padre in figlio. Sono rispettivamente Rocco, Francesco (che eredita il nomignolo dal padre Antonino), Vincenzo, Salvatore e infine Marcello. I Pesce sono una delle dinastie mafiose di maggior rilievo del panorama mafioso calabrese. Con i cartelli messicani e colombiani si occupano di traffico internazionale di cocaina, agevolavano ditte cinesi per far arrivare merce contraffatta nel porto di Gioia Tauro, hanno provato a clonare il modello criminale calabrese fondando in Basilicata il clan dei “Basilischi”.
A Rosarno controllavano tutto, dalle pompe di benzina alla locale squadra di calcio (poi divenuta “Cittanova Interpiana”). Un territorio relativamente ricco – grazie all’agricoltura – è stato lentamente e inesorabilmente prosciugato. “L’imperio mafioso parte dalle campagne e arriva nei mercati”, denuncia da anni Giuseppe Lavorato in totale solitudine. “Negli anni `70 la ‘ndrangheta ha allontanato dai nostri paesi i commercianti che pagavano il prodotto ad un prezzo remunerativo, per rimanere sola acquirente ed imporre il proprio basso prezzo”.
Dopo l’operazione “All Clean” la denuncia dell’ex sindaco ha trovato una conferma inequivocabile. Alcune delle aziende sequestrate, infatti, permettono di ricostruire la filiera delle arance nel rosarnese: una cooperativa per la raccolta e la commercializzazione (San Giuseppe), numerose ditte di trasporti (La Rosarnese, MDS, RGS, Rachele Trasporti, Meridional Trasporti), due di imballaggio in plastica (SudPlastik) e in cartone (CMC). Naturalmente, prima di procedere alla confisca, la magistratura dovrà accertare l`effettiva disponibilità delle aziende alla `ndrina. In più c`è una catena di supermercati (Sisa), che non è stata sottoposta a sequestro, ma – nel corso di una intercettazione – è lo stesso Antonino Pesce a spiegarne la genesi al figlio Francesco: “L`ho creata io, 30 anni fa”. Difficile in questi anni non conferire gli agrumi, ordinare cassette, vendere il prodotto a ditte che non fossero nell’orbita dei Pesce.
I mafiosi si arricchivano, i piccoli produttori diventavano sempre più poveri e gli africani dormivano d’inverno in fabbriche abbandonate col tetto sfondato. Poi il 12 dicembre del 2008 un rapinatore ferisce due ivoriani. Poche ore dopo gli africani danno vita alla prima rivolta pacifica e vanno dai carabinieri a descrivere l’uomo. Sarà arrestato dopo poche ore. Molti dicono che è un balordo. Nell’aprile del 2011 verrà rinviato a giudizio insieme agli affiliati del clan Pesce.