Pubblicato su “il manifesto”
LAMPEDUSA (AG) – “In asperitate maris pro humanitate”. E’ il motto della Capitaneria di Porto, un pugno di uomini che con i colleghi della Guardia di Finanza pattuglia le acque territoriali e trascina i barconi al molo Favarolo. Spesso salvando uomini, donne e bambini da natanti che imbarcano acqua, che hanno finito la nafta, che hanno perso la rotta e vanno alla deriva. Migliaia di persone sottratte al naufragio.
Una lavoro sconosciuto e nascosto dall’idea degli “sbarchi”, sui cui invece è stata costruita la sindrome dell’invasione. In realtà, qui non arriva nessuno da solo. O meglio, sono in pochissimi: tecnicamente si chiamano ‘sbarchi orfani’. E non è un caso che praticamente nessuno giunga a Pantelleria, che è anche più vicina alle coste tunisine. I lampedusani lamentano spesso che quell’isola rimane il “paradiso dei turisti”, mentre la loro è stata scelta come un gigantesco “centro immigrati”.
Lo specchio d’acqua tra Lampedusa, Libia e Tunisia è sorvegliatissimo. Elicotteri e aerei, guardiacoste e unità veloci, pattugliatori e incrociatori. L’attività è senza interruzioni. Guardia Costiera e Finanza fanno a turno, la Marina pattuglia con continuità. Siamo negli uffici della capitaneria, sono le 14. “C’è una unità della Marina Militare in pattugliamento che ha avvistato due target e li tiene sotto controllo”, ci dicono. “Hanno piena navigabilità, non ci sono elementi che ci lasciano presagire delle difficoltà”. Più tardi una delle due unità inizierà a imbarcare acqua. L’intervento italiano arriva quando ci sono segnali di pericolo: la barca che si ferma all’improvviso, segno di motori in avaria. Oppure persone che buttano acqua fuori con i secchi o che hanno perso la rotta e vanno alla deriva.
In questi casi si avvia in automatico la procedura SAR (Search and Rescue). La nave più vicina dà le coordinate e inizia l’intervento. “A prescindere dalla posizione, in mare c’è la legge dell’aiuto reciproco. Quindi anche se l’imbarcazione si trova in acque internazionali o anche se è più vicina alla costa tunisina, noi interveniamo come SAR”. In caso di pericolo viene prima l’umanità, dice il motto. Quando si rischia il naufragio tutte le altre norme vanno in secondo piano. Anche se nasce un conflitto con le “ragioni superiori”, gli ordini che vengono dall’alto o le leggi di Roma. E i conflitti ci sono anche se ovviamente si cerca di tenerli nascosti.
Finché si tratta di anti-immigrazione coordina il comando della Finanza. Se c’è un’operazione di soccorso comanda la Capitaneria. Decidere il quadro di riferimento può essere questione di attimi. Ora siamo ad agosto, col mare piatto. Ma in inverno è tutta un’altra cosa: “E’ questione di ore, puoi avere la fortuna di avere condizioni ottime per cui in un giorno o due arrivi”. Altrimenti rischi di andare alla deriva nel Mediterraneo. Nel nostro caso andrà tutto bene. Lo ‘sbarco’ – cioè l’accompagnamento in porto – ci sarà solo alle 20,30. Ma le telecamere riprenderanno esclusivamente un centinaio di tunisini che scende sul molo.
E non esistono neanche gli scafisti. “Noi siamo in mare principalmente per una questione doganale, di confine. La Guardia di Finanza è sulle coste per tutelare il Paese dai traffici illeciti, dalle sigarette alla droga agli esseri umani”, spiega il maggiore Fabrizio Pisanelli. Ma Lampedusa è un’altra cosa. “E’ un’emergenza umanitaria, è differente rispetto alla Calabria, al Salento, al sud della Sardegna. Qui diamo man forte a chi si occupa di sicurezza in mare”. Anche in acque internazionali.
Lampedusa è un caso a sé anche rispetto ai famosi scafisti. “Essendo così vicina le organizzazioni pensano al trasporto, forniscono l’imbarcazione, spesso danno il GPS, individuano la persona che ha cognizioni marittime tra i migranti, di solito un ex pescatore, e gli dicono: ‘Segui questa rotta e vai’. Perché alla fine sono poche miglia”.