Lampedusa. Le esigenze di Maroni diventano ragione di Stato sulla pelle dei migranti

Con una telefonata dal Viminale il soccorso in mare diventa respingimento

Raffaella Cosentino
  Lo scorso 21 agosto una motovedetta della Finanza arriva dentro il porto di Lampedusa con a bordo i migranti e poi torna indietro senza sbarcarli. All’ultimo minuto le disposizioni del Viminale hanno spiazzato gli uomini che fanno i salvataggi. Cinque minuti di ritardo hanno deciso il destino di decine di migranti. Le decisioni sono politiche e vengono prese caso per caso.
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LAMPEDUSA (AG) – Una telefonata arrivata con 5 minuti di ritardo può cambiare il destino di centinaia di persone. Un ordine del ministero dell’Interno ha deciso all’ultimo momento di trasformare un’azione di salvataggio in un respingimento. È quello che è successo al molo Favaloro di Lampedusa il 21 agosto scorso, quando nel pomeriggio, intorno alle 17.30, si attendevano un centinaio di migranti in arrivo dalla Tunisia (la vicenda era stata segnalata dall’Arci in un comunicato).

Da diverse ore era stata allertata tutta la macchina dei soccorsi per gli sbarchi, che comprende la Croce Rossa, Medici senza frontiere, l’Inmp, un’autoambulanza della asl, il Cisom (Corpo italiano di soccorso dell’ordine di Malta), oltre a un autobus del consorzio Lampedusa Accoglienza che gestisce i due centri Cpsa sull’isola.  Intorno alle 18, una motovedetta con a bordo una cinquantina di migranti maghrebini, fa il suo ingresso in porto a velocità più elevata del solito ma invece di sbarcarli, gira la prua in direzione opposta e si allontana di nuovo in mare aperto. Alla scena assistono tutti gli operatori sul molo, ai quali viene anche impedito di avvicinarsi da un cordone di poliziotti. Ma la manovra è osservata dall’alto da diversi testimoni che si trovavano su un punto panoramico del centro abitato, esattamente davanti al molo. Ci sono le prove: le foto scattate dal fotografo freelance Michele Lapini e un lungo piano sequenza girato da una una troupe di Sky che ritraggono la strana manovra della motovedetta dei finanzieri.

Dall’alto, i testimoni vedono la motovedetta grigia uscire dal porto e avvicinarsi a un’altra della guardia costiera rimasta a circa un miglio di distanza dal molo. Venti minuti dopo, ritorna un motoscafo della guardia costiera con a bordo soltanto sette persone bisognose di cure mediche. Sono 4 uomini di cui uno in carrozzella e uno in barella, due donne e un minore, sbarcati e trasferiti al centro di contrada Imbriacola. Poche ore dopo si apprende dall’agenzia Ansa che gli altri 104 migranti sono stati respinti e consegnati dalla Nave Borsini della Marina militare a una motovedetta tunisina. 

Il 21 agosto, i respingimenti in mare – che da una fonte interna alle operazioni in mare abbiamo appreso essere consueti quando le imbarcazioni e i presunti tunisini a bordo sono in buone condizioni – sono stati spinti oltre il limite. Un’operazione di soccorso in mare per salvare vite umane si è trasformata in un’azione militare di rimpatrio collettivo sulla base di un’identificazione sommaria e in violazione delle norme del diritto internazionale. Gli uomini della finanza e della capitaneria di porto non ne parlano volentieri. In mare c’è la legge dell’aiuto reciproco, il soccorso di vite umane  è sacrosanto e loro ne sono garanti. Temono che il respingimento effettuato assieme al salvataggio possa infangare le tante azioni coraggiose in cui hanno rischiato la vita per trarre in salvo profughi, donne e bambini, come con la catena umana in occasione del naufragio dell’8 maggio.

Cosa è successo quindi a largo di Lampedusa, a circa 40 miglia dalla costa, in acque internazionali, una settimana fa? La barca con 111 tunisini era in avaria, imbarcava acqua. Un velivolo della guardia costiera l’ha avvistata con le persone che buttavano fuori l’acqua con i secchi. A quel punto è stato lanciato dalla Capitaneria di Porto un “evento Sar (Save and Rescue)”, interessando tutte le unità in zona. Una motovedetta della guardia di finanza era la più vicina all’imbarcazione e si è recata sul posto, seguita da una della guardia costiera. I migranti sono stati trasbordati a braccia, 55 su ognuna delle due  motovedette italiane. La gestione dell’operazione, essendo un soccorso, era in mano alla capitaneria di porto. È lì che è arrivato in extremis l’ordine del ministero: sbarcare solo chi necessitava di cure mediche e respingere gli altri in buone condizioni di salute.

“C’era l’unità della marina militare in zona che ha scortato questa sorta di convoglio – riferisce la nostra fonte – c’erano persone  che si sono sentite male, dopo essere state sotto il sole per tanto tempo e hanno avuto dei mancamenti e c’era una persona in carrozzella. Questi migranti sono stati sbarcati, medico e infermiere del Cisom che erano a bordo ci hanno confermato le normali condizioni di salute degli altri occupanti. Loro sono stati rimpatriati in mare con l’unità navale italiana e poi consegnati alla motovedetta tunisina”. La nostra fonte assicura anche che “Non c’è stata nessuna divisione, nessun respingimento violento e sono state salvaguardate le persone che in quel momento avevano evidenti necessità mediche”.
 
Tuttavia, un altro episodio lascia pensare che i migranti si siano opposti quando hanno capito che invece di arrivare in Italia sarebbero stati portati indietro. Al momento del trasbordo in alto mare tra la nave Borsini e la motovedetta tunisina, avvenuto intorno all’una di notte, un uomo ha tentato un gesto disperato e pur di non tornare a Tunisi ha rischiato la vita, lanciandosi in mare e fratturandosi una caviglia. È stato soccorso dal personale della Borsini, che in seguito si è avvicinata a Lampedusa e l’ha consegnato a un mezzo della guardia costiera, la quale a sua volta l’ha sbarcato sull’isola intorno alle cinque del mattino. Il migrante è stato curato al poliambulatorio dell’isola e poi trasferito il giorno stesso in un ospedale di Palermo. L’uomo, K. G., in francese ha raccontato a un’operatrice di essere un saharawi. Dunque un potenziale richiedente asilo.

Ma è stata soprattutto la strana manovra della motovedetta della guardia di finanza a insospettire tutti e a lasciare intendere che era in corso un respingimento. Un errore dovuto a comunicazioni poco chiare, arrivate in ritardo, con un ordine dal Viminale che all’ultimo minuto ha cambiato le procedure. Quello infatti era un evento Sar e quindi per tutte le unità impegnate l’esito doveva essere l’arrivo in porto a Lampedusa dei migranti soccorsi. Da Roma, l’ufficio stampa della Guardia di Finanza conferma il respingimento ma smentisce la manovra al porto. Secondo le relazioni ufficiali la motovedetta non è mai arrivata nei pressi del molo Favaloro. “Non ci risulta nel modo più assoluto che si siano avvicinati e poi andati via – afferma il colonnello Pisanelli – Ma se anche fosse, qual è il problema? Facciamo il nostro dovere. Noi eseguiamo gli ordini, le decisioni sono politiche”.

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