LAMPEDUSA (AG) – I lampedusani che nei mesi scorsi hanno accolto i profughi fornendo cibo e vestiario temono l’immigrazione sulle loro coste come il flagello che ha portato via i turisti da giugno a settembre. Solitamente – dicono – si registra per tre mesi il tutto esaurito e con i guadagni si vive per il resto dell’anno. Secondo l’opinione comune ne sono responsabili i giornalisti e la televisione con le continue immagini degli sbarchi che hanno raccontato un’isola invasa di migranti stranieri e poveri.
Niente di più lontano dalla realtà vissuta dai turisti, molti lombardi e veneti, che hanno affollato l’isola nelle tre settimane clou di agosto, godendosi le spiagge, il sole e il buon cibo. Il 21 agosto nessuno di loro si è accorto che era avvenuto un respingimento in mare. E se la crisi del turismo è legata anche a quella economica e ai prezzi molto elevati dei pochi voli da Roma e Milano (circa 400 euro a persona per un biglietto di andata e ritorno), a ferragosto comunque i tavolini dei locali in centro erano tutti pieni. Nel frattempo erano arrivate quasi tremila persone con il picco degli sbarchi del 13 e del 14 agosto, ma nessuno le ha viste.
Per come è congegnata la ‘macchina degli sbarchi’ è impossibile entrare in contatto anche con un solo migrante. Se a questo si aggiunge che i centri di Contrada Imbriacola e dell’ex base Loran sono off limits per i giornalisti in base alla circolare 1305 del ministero dell’Interno, reperire informazioni sulla gestione dei flussi migratori diventa un’impresa. Il divieto di accesso alla stampa impedisce ai giornalisti di vedere e verificare in prima persona ciò che accade.
La diretta conseguenza è che le uniche fonti a disposizione sono le associazioni umanitarie che operano sul campo, al momento degli sbarchi e dentro i centri. Tuttavia, gli operatori non rilasciano dichiarazioni se non sono autorizzati dagli uffici stampa delle loro organizzazioni e dalle sedi centrali di Roma e Milano. Non c’è modo di sfuggire al flusso di informazioni da ‘news management’, indirizzato dall’alto. Le uniche informazioni disponibili sono quelle sull’orario, il numero e la provenienza degli arrivi e delle partenze dall’isola.
Dal momento dello sbarco al molo Favaloro fino all’imbarco su grandi navi Grimaldi o Moby verso centri di accoglienza o di detenzione nel resto d`Italia, c’è solo un attimo in cui è possibile vedere i migranti: all’arrivo, quando stipati sugli autobus del consorzio Lampedusa Accoglienza vengono trasferiti con un cordone militare o di carabinieri e finanzieri fino ai Cpsa (Centro di primo soccorso e assistenza) di Contrada Imbriacola e dell`ex base Loran. Il primo è nascosto in una depressione tra le colline brulle e sorvegliato anche con un check point militare che blocca l`accesso a duecento metri dal cancello, rendendo invisibile perfino l`ingresso.
E’ possibile arrivarci dall’alto, seguendo una stradina sterrata tra le case, dove a un certo punto si vede la struttura proprio sotto i propri piedi. Alcuni colleghi hanno tentato le riprese con le telecamere e assicurano che in cinque minuti sono stati bloccati dai militari di guardia al centro, arrampicatisi fino a lì. Al molo Favaloro i militari chiudono un occhio e fanno finta di non vedere fotografi e cameraman che si arrampicano s un muretto accanto al cancello con il divieto d’accesso per rubare qualche immagine degli sbarchi.
L’effetto visivo più forte è quello che si ha ai piedi della collina su cui sorge l’ex base Loran. In una delle località più sperdute a un estremo lembo dell’isola, vengono reclusi i minori in attesa del trasferimento nelle comunità di accoglienza. Molti sono sedicenni e diciassettenni, ma spesso ci sono anche ragazzi più piccoli, di dodici anni. Mangiano e dormono, vedono solo filo spinato all’orizzonte e un cimitero di barche che sono state trasportate lassù in cima.
Quando si arriva a Lampedusa salta subito agli occhi che è un luogo blindato, con una sproporzione evidente di militari, finanzieri, poliziotti e carabinieri rispetto alle dimensioni dell’isola. Camionette e mezzi blindati si trovano ovunque e spesso organizzano dei posti di blocco momentanei agli incroci. Ma al turista che va in cerca di calette paradisiache e che in paese si sente tranquillo, dopo un po’ lo schieramento di uomini e forze sembra confondersi con il paesaggio. Ci si abitua al via vai di militari che non ha eguali in Italia e forse in Europa. Sull’isola fortezza turistica non è previsto sapere quale sia lo status giuridico dei migranti reclusi nei Cpsa. Tecnicamente non sono carceri, né Centri di identificazione e di espulsione, ma all’interno le forze di polizia attuano un fotosegnalamento e prendono le impronte digitali. Così riescono a sapere che alcuni tunisini si sono imbarcati più volte negli ultimi mesi per raggiungere l’Europa, sono stati rimpatriati e poi ci hanno riprovato, come ci dice un poliziotto davanti al centro di contrada Imbriacola. Intervistiamo il direttore del Cpsa, Federico Miragliotta, al check point. Oltre non possiamo andare.
“Ci sono padiglioni separati, uno con le donne, uno con i nuclei familiari e uno con gli uomini – dice – gli operatori del consorzio Lampedusa Accoglienza sono 160 e ruotano a turnazione, prendiamo circa 33 euro al giorno a migrante”. Il Cpsa è un luogo di transito verso altre destinazioni. “Non è uno stato di detenzione – spiega Miragliotta – è un punto di partenza verso gli altri centri, avviene una pre-identificazione. Se fossero liberi di muoversi, i trasferimenti sarebbero più lenti e le movimentazioni a mezzo nave più difficoltose”. Nel centro sono trattenute anche le famiglie con bimbi in fasce, mentre i minori non accompagnati vanno alla Loran, dove, secondo il gestore del centro, rimangono al massimo 20 giorni.