LAMPEDUSA (AG) – L’Italia è stata già processata per i respingimenti in mare del 2009 verso la Libia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e si attende la sentenza del caso di 24 profughi somali ed eritrei difesi dagli avvocati Andrea Saccucci e Anton Giulio Lana dell’omonimo studio legale e dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani. In quel caso le modalità erano diverse da quelle riscontrate dalla nostra inchiesta sui respingimenti dei tunisini.
Dalla Libia, paese che non riconosce i diritti dei rifugiati, somali ed eritrei rischiavano di essere rispediti in patria e di subire persecuzioni e violenze a causa di dittature e guerre civili. Furono riportati al porto di Tripoli con la forza direttamente dalle unità navali italiane. Le modalità e i paesi coinvolti oggi sono diversi, ma la violazione dei diritti esiste anche in questo caso.
“Ci sono profili di potenziale contrasto con la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo – spiega l’avvocato Saccucci – se c’è stato il trasbordo dalla nave italiana è la stessa cosa. Da un punto di vista giuridico c’è una differenza notevole se sono le motovedette tunisine a svolgere l’operazione o se i migranti li prendiamo noi e poi li diamo a qualcun altro.
Quello che viene impedito operando in questo modo è il diritto a chiedere la protezione internazionale, loro non hanno la possibilità di formulare una domanda di protezione sulla nave. Non ne hanno i requisiti? Non siamo noi a doverlo stabilire, c’è un’autorità competente e una procedura che deve mettersi in moto. Ma con il respingimento collettivo in mare viene impedito alle persone di avvalersi di una procedura adeguata per accertare se vi siano o meno le condizioni per avere l’asilo”.