LAMPEDUSA (AG) – Per frenare l’arrivo di tunisini a Lampedusa il governo italiano attua da mesi operazioni di respingimento in mare, violando i diritti umani e le convenzioni internazionali. Il respingimento collettivo di 104 migranti avvenuto una settimana fa non è un caso isolato. Lo rivelano, dopo quell’episodio, fonti che partecipano alle operazioni di soccorso in mare e che chiedono di restare anonime. I respingimenti fanno parte degli accordi italo–tunisini e finora non erano stati svelati all’opinione pubblica.
Le unità navali della marina avvistano le barche di migranti che si dirigono a Lampedusa da ovest, seguendo la “rotta tunisina”. Le imbarcazioni sono chiamate anche “target” in gergo militare. Avvistato il target, l’unità della marina militare italiana avvisa il comando della guardia di finanza che è preposta alla difesa delle frontiere e al controllo dell’immigrazione irregolare. A quel punto si coordinano tra loro per sorvegliare le imbarcazioni cariche di migranti, verificandone la rotta, la velocità e le condizioni di navigazione. Quando si ritiene che la barca sia partita dalla Tunisia, viene raggiunta dalle motovedette o dall’unità della marina militare. I migranti vengono imbarcati sulla nave italiana e poi trasbordati di nuovo su una motovedetta tunisina. “E’ già successo perché rientra negli accordi bilaterali” spiegano le nostre fonti.
L’identificazione in mare è sommaria. L’elemento fondamentale è la rotta a ovest di Lampedusa, l’altro aspetto su cui si basa il respingimento sono i tratti somatici. Dalla carnagione dei migranti, i militari intuiscono a occhio se sono arabi, somali o subsahariani. Un’identificazione collettiva che non permette di valutare se sulla barca ci sono potenziali richiedenti asilo, visto che la domanda di protezione internazionale avviene su base individuale e riguarda la storia personale di chi fa richiesta. Come dimostrerebbe il fatto che uno dei migranti respinti il 21 agosto, arrivato a Lampedusa dopo essersi gettato in mare e ferito a una caviglia per evitare il rimpatrio, avrebbe dichiarato di essere un Saharawi, quindi un potenziale richiedente asilo. L’identificazione veloce fatta in mezzo al Mediterraneo stride anche con il decreto del governo approvato il 2 agosto dal Parlamento, secondo cui possono servire fino a 18 mesi per identificare un immigrato recluso in un Cie.
Non è la prima volta che l’Italia respinge in mare dei migranti. Nel 2009 questo tipo di operazioni, frutto del patto con l’allora alleato Gheddafi, suscitarono reazioni internazionali di condanna. A Strasburgo, l’Italia è sotto processo alla Corte europea dei diritti dell’uomo, dopo la denuncia di 13 somali e 11 eritrei respinti in Libia il 6 maggio del 2009. Dopo l’ultima udienza del 22 giugno scorso si attende la sentenza. La differenza è che ora i respingimenti sono “fantasma” e si fanno in silenzio.
Dal primo al 21 agosto, data del primo respingimento di cui si è avuta notizia, sono sbarcate a Lampedusa 4.637 persone provenienti dalla guerra in Libia e 497 dalla Tunisia. Ma queste ultime avrebbero potuto essere molte di più, se non fossero state intercettate in mare e consegnate alle motovedette tunisine. Nel Mediterraneo, a largo di Lampedusa, dove migliaia di vite umane sono state salvate quest’anno dai soccorritori della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza, un numero imprecisato di altri migranti, provenienti dalla rotta tunisina, non ha neppure visto le coste dell’Europa perché è stato bloccato prima.
Il tratto di mare fra Lampedusa, Malta e il nord Africa è sorvegliato palmo a palmo. I finanzieri hanno schierati tre pattugliatori, tre guardia coste e un’unità veloce. Ognuna copre una fascia oraria e un raggio d’azione tra le 18 e le 24 ore di navigazione. Gli elicotteri della guardia di finanza e della guardia costiera si alternano nelle missioni aeree quotidiane. In prossimità delle acque tunisine pattugliano un aereo Atlantic e due navi della Marina militare. I comunicati ufficiali dello Stato maggiore della Difesa parlano di semplice “sorveglianza per l’emergenza immigrazione in applicazione dell’intesa italo-tunisina” ma in realtà la procedura collaudata in questi mesi va ben oltre.
Diverso il caso delle operazioni di soccorso, coordinate dalla Capitaneria di Porto, chiamate Sar “Save and Rescue”. Se la barca è in difficoltà, finanzieri e uomini della guardia costiera intervengono per salvare i migranti dal naufragio e li trasferiscono al molo Favaloro di Lampedusa per essere assistiti dal personale sanitario. Ma il 21 agosto, anche un intervento Sar si è trasformato in un respingimento. L’ordine è arrivato direttamente dal ministero dell’Interno che decide caso per caso se i migranti devono essere respinti.