1. La situazione nei centri di identificazione e di espulsione diventa sempre più incandescente, dopo il prolungamento a 18 mesi della detenzione amministrativa e l`abbattimento di tutte le garanzie di difesa, a partire dalle difficoltà frapposte all`ingresso di legali di fiducia, e alla utilizzazione dei mediatori linguistici.
Li chiamano “ospiti”, gli stranieri irregolari soccorsi in mare e ritenuti migranti economici anche quando sono in fuga da zone di guerra o di crisi umanitaria, come l`Egitto, la Tunisia e la Libia, ma per diciotto mesi possono restare a marcire dietro le sbarre, come tutti gli immigrati irregolari rintracciati dalla polizia sul territorio dello stato senza permesso di soggiorno. Per confermare la validità del trattenimento disposto dal Questore basta la “convalida” del giudice di Pace, una convalida che in qualche caso diventa una “convalida collettiva” senza nessuna attenzione alle posizioni individuali delle singole persone, senza consentire alcun diritto di difesa, al di là della presenza spesso silenziosa dell`avvocato d`ufficio.
Una procedura che sembra rimasta l`unico strumento per contrastare la cd. immigrazione clandestina, che si abbatte sui c.d. migranti economici e sui richiedenti asilo denegati o ai quali si vieta di fatto un tempestivo accesso alla procedura, ma che colpisce anche immigrati residenti da anni in Italia, “colpevoli” soltanto di essere stati licenziati dal proprio datore di lavoro. Una procedura generalizzata, costosa ed inefficace, sebbene il ricorso alla detenzione amministrativa sia limitato dall`articolo 13 della Costituzione soltanto a “casi eccezionali di necessità ed urgenza”.
2. E dai CIE non si salva neppure chi presenta la richiesta d`asilo. Come ricordava Guido Savio nel commentare una mancata convalida di un Giudice di pace di Torino, in base alla prassi invalsa presso la Questura di Agrigento i migranti sbarcati a Lampedusa vengono trattenuti nel Centro dell’isola, o trattenuti su navi, o inviati in giro per l’Italia, in condizioni di restrizione della libertà , per svariati giorni o settimane, prima che vengano adottati provvedimenti di espulsione o, più frequentemente,di respingimento. In questi casi i termini della convalida vengono illegittimamente fatti decorrere dalla data di adozione dei provvedimenti, senza computare nei termini i periodi antecedenti. E ciò in violazione degli artt. 14, co. 3 e 4, D. Lgs. 286/98 e 13 Cost. Nel caso dei 22 ristretti al CIE di Torino, a giugno, la questione dei termini è stata assorbita dall’applicazione dell’art. 20 D. Lgs. 25/2008, tuttavia anche in questa occasione la Questura di Agrigento non si è discostata dalla prassi descritta, tant’è vero che il decreto di respingimento e quello di trattenimento sono stati adottati a distanza di 11 giorni dal rintraccio e dal trattenimento di fatto di queste persone che sono state limitate nell’esercizio della loro libertà personale sine titulo dal 6 giugno 2011, fino all’atto della notifica dei provvedimenti avvenuta al CIE di Torino, nella serata del 17 giungo 2011, ove erano state condotte coattivamente. A questa palese violazione delle garanzie fondamentali della persona, si è aggiunta l’altrettanto palese violazione dell’art. 20, D. Lgs. 25/2008 rilevata dal Giudice di pace di Torino, con la conseguenza, rilevantissima, che la durata dell’illegittima violazione della libertà personale è cessata solo nella serata del 20 giugno, quando queste persone sono state dimesse dal CIE di via Brunelleschi, in forza della mancata convalida del loro trattenimento”. Anche in questa occasione è stato evidente come la Questura agrigentina abbia fatto decorrere i termini dal 17 giugno senza considerare che la domanda di protezione era stata anteriormente proposta, ignorando, quindi, il lasso di tempo intercorso tra la data dell’avvenuto rintraccio dei migranti e quella dell’adozione formale degli atti. Una prassi che continua ancora oggi.
3. In base all`art.8 della Direttiva comunitaria 2008/115/CE,“ ove gli Stati membri ricorrano- in ultima istanza- a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure sono proporzionate e non eccedono un uso ragionevole della forza. Le misure coercitive sono attuate conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale in osservanza dei diritti fondamentali ( ad esempio l`art. 13 della Costituzione in materia di garanzie della libertà personale) e nel debito rispetto della dignità e dell`integrità fisica del cittadino di un paese terzo interessato”.
La disposizione contenuta nel decreto Maroni sui rimpatri, (Legge 2 Agosto 2011, n. 129, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 Giugno 2011, n. 89, recante disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari.), che prevede che il trattenimento debba essere disposto in via ordinaria quando si procede all’espulsione con accompagnamento viola la prescrizione che ad esso si faccia ricorso solo nei casi in cui nessun altra misura meno coercitiva sia sufficiente ad assicurare che lo straniero sia espulso.
Occorre ricordare in proposito che l’immediato ricorso al trattenimento è uno dei punti di illegittimità del sistema espulsivo italiano rilevato dalla Corte di Giustizia che al punto 39 della Sentenza del 28 aprile 2011 scrive: “discende dal sedicesimo ‘considerando’ di detta direttiva nonché dal testo del suo art. 15, n. 1, che gli Stati membri devono procedere all’allontanamento mediante le misure meno coercitive possibili. Solo qualora l’esecuzione della decisione di rimpatrio sotto forma di allontanamento rischi, valutata la situazione caso per caso, di essere compromessa dal comportamento dell’interessato, detti Stati possono privare quest’ultimo della libertà ricorrendo al trattenimento”.
Inoltre, la sentenza della Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, del 30 novembre 2009, Kadzoev in causa C-357/09, nel cui punto 70 la Corte aveva precisato che “la possibilità di collocare una persona in stato di trattenimento per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza non può trovare fondamento nella direttiva 2008/115”.
4. In base all`art 14 comma 4. del testo unico sull`immigrazione n.286 del 1009, rimasto immutato anche dopo le modifiche apportate dalla legge 2 agosto 2011 n.129, “l’udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L’interessato è anch’esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l’udienza. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui al sesto e al settimo periodo del comma 8 dell’articolo 13. Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l’osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dall’articolo 13 e dal presente articolo, escluso il requisito della vicinanza del centro di identificazione ed espulsione di cui al comma 1, e sentito l’interessato, se comparso. Il provvedimento cessa di avere ogni effetto qualora non sia osservato il termine per la decisione. La convalida può essere disposta anche in occasione della convalida del decreto di accompagnamento alla frontiera, nonché in sede di esame del ricorso avverso il provvedimento di espulsione.
Secondo l`art. 14 comma 5 dello stesso Testo Unico sull`immigrazione, come modificato da ultimo dalla legge 129 del 3 agosto 2011, la convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni. Qualora l’accertamento dell’identità e della nazionalità, ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni. Anche prima di tale termine, il questore esegue l’espulsione o il respingimento, dandone comunicazione senza ritardo al giudice. Trascorso tale termine, in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell`ottenimento della necessaria documentazione dei Paesi terzi, il questore può chiedere al giudice di pace la proroga del trattenimento per un periodo ulteriore di sessanta giorni. Qualora non sia possibile procedere all`espulsione in quanto, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, persistono le condizioni di cui al periodo precedente, il questore può chiedere al giudice un`ulteriore proroga di sessanta giorni.
In base alle modifiche introdotte dal decreto legge Maroni, convertito adesso nella legge n. 129 del 2011, entrata in vigore il 6 agosto 2011,“qualora non sia stato possibile procedere all`allontanamento, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, a causa della mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell`ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi, il questore puo` chiedere al giudice di pace la proroga del trattenimento, di volta in volta, per periodi non superiori a sessanta giorni, fino ad un termine massimo di ulteriori dodici mesi. Il questore, in ogni caso, può eseguire l`espulsione e il respingimento anche prima della scadenza del termine prorogato, dandone comunicazione senza ritardo al giudice di pace”.
In totale, se un immigrato dovesse restare in un CIE per diciotto mesi, si dovrebbero svolgere ben dieci udienze di convalida, a causa dell`obbligo imposto dalla Direttiva Comunitaria 2008/115/CE di verificare periodicamente i diversi presupposti di una limitazione della libertà personale tanto grave, che in base alla normativa comunitaria rimane finalizzata all`esecuzione effettiva dell`allontanamento forzato, e non può tradursi in una mera sanzione afflittiva.
Il nuovo articolo 14 comma 5 del Testo Unico sull`immigrazione, così come modificato dal recente decreto legge Maroni, adesso convertito in legge, in alcuni centri di detenzione amministrativa, come a Torino e a Lamezia in Calabria, ha consentito intanto il ritorno alle proroghe “cartacee” del trattenimento, senza garantire il rispetto del contraddittorio e dei diritti di difesa degli immigrati trattenuti nei centri. Se prevalesse questa prassi si tratterebbe di una norma che viola la Costituzione, in particolare l`art.111, che nel sancire il principio del contraddittorio nel “giusto processo” è una norma che vale per tutti e non per i cittadini italiani. E dunque, se dovesse diffondersi questa applicazione della legge, ricorrerebbe anche una violazione dell`art. 3 della stessa Costituzione, che afferma il principio di uguaglianza e dell`art. 2 del Testo Unico sull`immigrazione n.286 del 1998 che riconosce anche agli stranieri irregolari i diritti fondamentali della persona, come i diritti di difesa garantiti a tutti dall`art.24 della Costituzione ed al controllo giurisdizionale sulle limitazioni apposte dalla polizia alla libertà personale, sancite dall`art. 13 della stessa Costituzione.
La riformulazione dell`art. 14 comma 5 in materia di tema di proroghe dei trattenimenti, convalide affidate peraltro ad un giudice che, salvo poche eccezioni, è apparso più disponibile a ratificare i provvedimenti attuati da Prefetti e Questori, piuttosto che garantire un accurata analisi delle ragioni di merito e delle difese opposte dagli immigrati, appare costituire una chiara reazione alle posizioni più garantiste assunte nel recente passato anche dalla Corte di Cassazione. L`ennesima violazione del principio democratico di separazione dei poteri dello stato. Una intrusione ulteriore, gravissima, su un orientamento giurisprudenziale che si richiamava direttamente alla Carta Costituzionale ed alle norme comunitarie.
La giurisprudenza di legittimità aveva infatti affermato che “al procedimento giurisdizionale di decisione sulla richiesta di proroga del trattenimento presso un Centro di Permanenza Temporanea dello straniero, già sottoposto a tale misura per il primo segmento temporale previsto dalla legge, devono essere applicate le stesse garanzie del contraddittorio, consistenti nella partecipazione necessaria del difensore e nell`audizione dell`interessato, che sono previste esplicitamente, ai sensi dell`art. 14, quarto comma, del d.lgs. n. 286 del 1998, nel procedimento di convalida della prima frazione temporale del trattenimento, essendo tale applicazione estensiva imposta da un`interpretazione costituzionalmente orientata del successivo comma quinto, relativo all`istituto della proroga, tenuto conto che un`opposta lettura delle norme sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.” (cfr. Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 4544 del 24/02/2010 (Ced Rv. 611905), Est. Macioce, ric. E. contro Ministero dell’Interno; in senso conforme Cass. Civ., Sez. 1, Sentenza n. 13767 del 08/06/2010 (Ced Rv. 613688), Est.: Didone A., ric. R. Y. contro Min. Interno ed altro.
L`art.15 della Direttiva 2008/115/CE stabilisce peraltro che “in ogni caso il trattenimento è riesaminato ad intervalli ragionevoli su richiesta del cittadino di paese terzo o d`ufficio. Nel caso di periodi di trattenimento prolungati il riesame è sottoposto al controllo di un`autorità giudiziaria ( art. 15.3). Quando risulta che non sussiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi, o che non sussistono più il pericolo di fuga, o ostacoli frapposti dal cittadino di paese terzo alla preparazione del rimpatrio, “il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”. Il prolungamento a diciotto mesi è consentito solo “in caso di mancata cooperazione di un cittadino di un paese terzo” o di “ritardi nell`ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi”.
L`art. 16 della Direttiva 2008/115/CE riconosce poi il diritto degli immigrati trattenuti nei CIE “ad entrare in contatto, a tempo debito, con rappresentanti legali, familiari e autorità consolari competenti”, si assiste al tentativo di sottoporre ad autorizzazione amministrativa persino l`attività di difesa degli avvocati di fiducia, come è avvenuto sulla base della circolare del 1 aprile 2011, a firma del ministro Maroni, con la quale si voleva estendere anche agli avvocati il regime autorizzatorio previsto dal diverso articolo 16 comma 4 della Direttiva 2008/115/CE per le associazioni e per le organizzazioni non governative non direttamente convenzionate.
Sono infatti gli avvocati gli unici soggetti che oggi possono fare ricorso ai giudici ed alle giurisdizioni internazionali per fare emergere i contrasti tra la legislazione italiana , le prassi degli uffici immigrazione delle questure, e le norme di rango ordinario, costituzionale e comunitario che presidiano la delicata materia dell`allontanamento forzato degli immigrati irregolari. Un ruolo che dà fastidio a tanti che preferiscono coprire quanto avviene per salvaguardare le convenzioni con il Ministero dell`interno, in base alle quali viene assicurata la cogestione dei centri di identificazione ed espulsione. Un ruolo irrinunciabile che continuerà ad essere svolto malgrado i frequenti tentativi di delegittimazione e di intimidazione.
5. Secondo una relazione della Corte dei Conti di alcuni anni fa, lo Stato spendeva ogni anno oltre 1.350.000 euro per la gestione del Centro di identificazione ed espulsione di Trapani Serraino Vulpitta, affidata alla cooperativa Insieme. Poi ci sono le spese non quantificate dei poliziotti, carabinieri, e anche militari, in servizio 24 ore su 24 all`interno del centro. E quelle dei giudici di pace che devono convalidare il trattenimento di ogni ospite e degli avvocati che vengono assegnati d`ufficio.
Milioni di euro per mantenere aperta una struttura, pericolosa per gli “ospiti” e per gli stessi operatori, dove non si contano gli atti di autolesionismo ed i pestaggi, un centro lager che, tenuto aperto per anni, dopo la tragedia del 1999, costata la vita a sei immigrati, avrebbe dovuto essere chiuso già nel 2007, in base alla Ispezione della Commissione De Mistura, promossa dall`allora ministro dell`interno Amato. E lo stato, condannato per le sue responsabilità nella strage in sede civile, ha dovuto pagare oltre cento mila euro a ciascuno degli immigrati sopravvissuti, a titolo di risarcimento danni.
Le dinamiche sono ancora le stesse, in Sicilia come a livello nazionale. Alla “cattiveria” proclamata dal ministro Maroni nella “lotta contro l`immigrazione clandestina”, si sommano abusi ed inefficienze che hanno ridotto drasticamente persino il numero delle espulsioni effettivamente eseguite dai CIE mediante accompagnamento forzato. Malgrado l`introduzione del reato di immigrazione clandestina. Secondo i dati del Ministero dell`Interno, solo il 35 per cento degli immigrati irregolari vengono rimpatriati attraverso i centri di detenzione amministrativa. Una percentuale che appare destinata a scendere ulteriormente con il prolungamento a 18 mesi della durata massima della detenzione.
E le spese sembrano destinate a lievitare continuamente. La spesa per la gestione dei Cie, sempre secondo la Corte dei Conti, che nel 2003 ammontava nel complesso a oltre 29 milioni di euro, ha oggi sfondato la soglia dei 100 milioni di euro. Un sistema inefficiente e in contrasto con l`articolo 13 della Costituzione italiana, che però attrae cooperative sociali ed enti diversi per il consistente volume di affari che si muove intorno alla gestione dei centri.
Come il Consorzio Connecting People, di cui la Cooperativa Insieme fa parte, che in tutta Italia gestisce diversi centri per immigrati tra Cie, Cara e Cpa, a Cagliari, Brindisi e Trapani (Dopo il Serraino Vulpitta e Salina Grande, anche il nuovo CIE di Trapani a Milo), garantendosi entrate per decine di milioni di euro, senza neppure offrire agli avvocati la possibilità di avvalersi dei suoi interpreti, come è successo recentemente a Trapani Milo, contribuendo così alla negazione dei diritti di difesa degli immigrati.
Il sistema della detenzione amministrativa appare così nella sua doppia dimensione, inutilmente repressivo, ai limiti dell`abuso ( e spesso oltre) per gli immigrati irregolari, una gigantesca macchina mangiasoldi che si dovrebbe arrestare al più presto, a fronte dei risultati, ridicoli, ma spesso anche tragici, verificabili da tutti, con una immediata conversione delle strutture detentive in luoghi d`accoglienza. Da gestire sulla base di gare pubbliche e non con trattative private che alla fine privilegiano i soliti noti.
Non si tratta certo di declamare soltanto la vessatorietà di diciotto mesi di detenzione amministrativa. Occorrerebbe avere anche il coraggio e la progettualità per considerare la possibilità di introdurre canali di ingresso legale per i migranti economici ed un riconoscimento effettivo del diritto, non solo d`asilo, ma anche di protezione umanitaria, limitando a pochi gravi casi le espulsioni con accompagnamento forzato. E garantire sempre, in ogni caso, quei diritti di difesa che in uno stato democratico non possono essere riconosciuti ai cittadini e negati agli immigrati.