Pubblicato su Linkiesta
NARDO’ (LE) – “Stasera un gruppo di persone mi ha minacciato di morte. A tutte le forze invisibili che sono nascoste dietro, io dico che non ho paura di loro”. Ivan è un giovane studente al quarto anno di ingegneria. E’ nato in Camerun e raccoglie pomodori in Puglia per pagarsi le tasse del Politecnico di Torino. E’ uno dei leader del primo sciopero dei braccianti africani. I caporali lo hanno minacciato perché ora il sistema brutale dell’agricoltura basata sullo sfruttamento selvaggio rischia di saltare. “Invitiamo tutti a non andare domani a lavorare”, dice con il megafono. “Pacificamente, lotteremo contro tutti quelli che sfruttano la gente e che mangiano col nostro sangue. Vogliamo un contratto come tutti i lavoratori del mondo. Tutto ciò che c’è di bello al mondo si è ottenuto manifestando”.
“Nella campagna di Nardò è successo qualcosa di sorprendente”, confermano i volontari delle Brigate di Solidarietà Attiva. Lo sciopero dura da cinque giorni. Siamo nel Salento, a poca distanza dal barocco leccese e dalla costa dove i turisti affollano le spiagge di Porto Selvaggio e ballano al ritmo della taranta. Nell’interno, invece, le campagne da venti anni producono ortaggi da esportazione grazie al lavoro sottopagato degli stranieri, che adesso hanno deciso di dire basta.
Lo scorso 31 luglio quaranta lavoratori migranti stavano raccogliendo pomodori per quattro euro a cassone, l’equivalente di un’ora di lavoro. Il cassone è l’unità di misura da tre quintali. Si lavora a cottimo, come in tutte le campagne del Sud. Il sudore di africani, bulgari e rumeni (e rumene, sono molte le donne) si trasforma in pelati da esportazione, prodotti confezionati per la grande distribuzione, salsa per le nostre tavole. Al prezzo di condizioni da schiavitù, almeno fino a quando un caporale ha chiesto ai braccianti di dividere i pomodori in base alla grandezza. Va bene, hanno risposto, ma pagaci di più. No, dice il caporale. Lo fate gratis. Di comune accordo vanno via e interrompono la raccolta. Prima un accenno di blocco stradale, poi lo sciopero e la prima delle assemblee.
Il momento di confronto si svolge alla masseria Boncuri, restaurata lo scorso anno e adibita a centro di accoglienza. Vengono dal Sudan, dall’Africa francofona, dal Ghana e dal Maghreb. Chiedono quattro cose: un contratto regolare; sei euro per i pomodori di grandi dimensioni e dieci per quelli piccoli; che i caporali spariscano in modo da trattare direttamente con i proprietari. Infine, controlli delle autorità nei campi. Dopo aver trascritto il documento, si può andare a dormire.
Il risveglio è terribile. Un compagno è morto nella notte, nello spiazzo della masseria che ospita la schiera di tende canadesi. E’ deceduto per cause naturali e trasportato all’ospedale di Lecce per l’eventuale autopsia. Lo sconforto è grande, ma tutti i duecento ospiti confermano: lo sciopero continua. Chi raccoglie gli ortaggi adesso? “Non possiamo escludere che i caporali stiano cercando altri, che magari dormono sparsi nei casolari. Ma tutti i nostri ospiti hanno deciso per lo sciopero. E’ una loro iniziativa, del tutto spontanea” ci spiega Gianluca Nigro di “Finis Terrae”, l’associazione che insieme alle “Brigate” gestisce il centro. “Hanno le idee molto chiare, alle prime richieste hanno aggiunto un centro pubblico per l’impiego, il diritto a trattenere con sé i documenti originali, più mezzi per l’accoglienza degna”.
Da sole a sole
Il lavoro a cottimo, l’orario di lavoro da sole a sole (dall’alba al tramonto) e i caporali. Come ai tempi di Giuseppe Di Vittorio, il sindacalista pugliese rimasto nel cuore della sua gente che non ha dimenticato la brutalità del lavoro agricolo e gli scioperi leggendari. Solo che ora i protagonisti hanno un diverso colore della pelle. Ma i rischi sono uguali, come dimostrano le minacce ai portavoce dei braccianti. Lo scorso anno i produttori andarono in Prefettura per discutere il tema dell’accoglienza. Per legge, spetta a chi usa il lavoro stagionale. I proprietari spiegarono che si sarebbero accollati l’onere dell’alloggio, ma in cambio di minori controlli. Le istituzioni ovviamente rifiutarono.
Il caporale sottrae parte della già misera paga e offre – a pagamento – una serie di servizi che dovrebbero essere diritti: dal trasporto nei campi all’acqua da bere. Ma il caporalato è anche una creatura delle aziende agricole e dei commercianti. Assumere direttamente i lavoratori, cercandoli uno per uno, è più complicato che assoldare un “capo” e trattare con lui. Per esempio, il commerciante chiama cinque caporali e dice loro: “Costruitemi venti squadre”. In questo modo la raccolta si fa in tempi molto rapidi. E a costo zero.
L’altro lato della medaglia sono però le condizioni spaventose di vita dei migranti, che a Nardò trovano la masseria Boncuri ma nel resto del Sud sono costretti a dormire in casolari abbandonati, sotto gli alberi, in fabbriche diroccate, sui marciapiedi, nei giardini pubblici. Succede o è successo rispettivamente a Palazzo San Gervasio (Potenza), Cassibile (Siracusa), Rosarno (Reggio Calabria), Alcamo (Trapani). I migranti in sciopero sono infatti braccianti che attraversano tutte le campagne meridionali seguendo il ritmo della stagionalità (d’inverno: le arance; in estate: il pomodoro; in primavera: le patate; d’autunno: la vendemmia).
Lo sciopero ha creato subito grande allarme presso operatori e aziende. Sanno bene che gli stranieri sono fondamentali e che gli italiani da tempo non sollevano cocomeri che pesano mediamente dieci chili, per pochi euro e sotto il sole più caldo d’estate. Agosto, da due anni, è anche il periodo del Ramadan, che significa digiuno fino al tramonto. La sera, per evitare le congestione, i lavoratori di religione musulmana iniziano con un pasto leggero, poi mangiano qualcos’altro dopo tre ore. In questo modo, molti neppure dormono. Una prova difficile che i sudanesi sostengono in maniera rigida.
Eppure senza le loro braccia i pomodori possono marcire nei campi. Finora tutti sapevano e tacevano. O ratificavano l’esistente, come i sindacati capaci di firmare un contratto provinciale che incredibilmente prevede la figura del caporale: “Articolo otto. Indennità di capo. Ai lavoratori ai quali è conferito espressamente l’incarico di ‘capo’ è riconosciuta una indennità mensile di euro 100”.
Non per caso
Si tratta di uno sciopero autogestito, ma che non nasce per caso. Fino a un anno fa i lavoratori dormivano sotto gli ulivi o in ripari di fortuna. Dall’estate 2010, per il secondo anno consecutivo, sono ospitati nella masseria Boncuri dalle associazioni di volontariato che non si sono limitate all’accoglienza. “Abbiamo stampato le magliette ‘Ingaggiami contro il lavoro nero’”, raccontano. “Sono diventate un simbolo, le portano anche nei campi”. Quest’anno lo stesso slogan è diventato un enorme striscione appeso sopra l’ingresso principale. Nel campo sono affissi volantini con i minimi sindacali ed è stato distribuito un depliant in quattro lingue. Già lo scorso anno, in 160 avevano ottenuto l’ingaggio, cioè un contratto regolare.
Le angurie di Nardò vengono esportate in Francia e Germania, ma quest’anno la crisi si è fatta sentire in maniera drammatica. Secondo Coldiretti Puglia due milioni di quintali di angurie sono rimaste a marcire nei campi. Ovvio che paghi l’anello più debole della catena. E’ ripreso il lavoro nero e sono state ancora abbassate le paghe. Una giornata di raccolta delle angurie fruttava anche 60 euro mentre la raccolta del pomodoro vale 4 euro l’ora, cioè 30 in una giornata. In pochi lavorano e dunque ci si poteva aspettare una concorrenza al ribasso tra compagni di sventura. Invece è stata scelta la soluzione collettiva.