REGGIO CALABRIA – “Io gli ho detto: non è che sono venuto da voi per mille euro, che io gli piscio, ma per la scostumatezza che avete avuto, perché venite da fuori e avete fatto lavori a casa mia”. Così un indagato nell’operazione “Cosa mia” spiega a un imprenditore le motivazioni per cui deve pagare la mazzetta. Un principio di carattere “giuridico” che si applica dai bar di paese ai grandi cantieri.
La striscia d’asfalto che parte dalla Campania e termina all’estrema punta della penisola è la più celebre tra le incompiute italiane. Anas non la pensa così. Presentando il piano per l’esodo estivo 2011, il presidente Piero Ciucci ha detto che “il risultato di questo impegno mi riempie di soddisfazione e rende tutta l’Anas particolarmente orgogliosa”. Si riferisce ai chilometri completati e al progresso dei lavori. Già in passato, aveva spiegato che la Salerno – Reggio Calabria è “il vanto d’Italia” e che non si tratta di un ammodernamento, ma di una nuova autostrada. Sul sito ufficiale dell’ente l’A3 è elencata tra le “grandi opere”. Specie nell’ultimo tratto, è “una sfida nel contempo ingegneristica, finanziaria e al contesto territoriale”.
I problemi legati al contesto si sono manifestati con sette indagini della magistratura (Tamburo, Arca, Autostrada, Topa e le tre inchieste chiamate Cosa Mia), che hanno delineato il complicato rapporto tra criminalità organizzata e grandi imprese. Le ditte impegnate nei lavori vengono da tutta Italia – molte dal Nord – e sono le più importanti del settore: Impregilo, Baldassini-Tognozzi, Condotte. Il progetto però risale al lontano 1990, i primi lavori a sette anni più tardi. Nel 2001 il ministro competente disse: sarà pronta nel 2005. Nel 2002: completa nel 2006. Nel 2005: finiremo nel 2009. L’ultima data annunciata è il 2013: in Parlamento è stata accolta dai deputati con una risata. Nel 2006 Anas ha presentato un documentario (“La strada delle emozioni”), il cui costo è stato valutato in 150 mila euro.
Il geometra è con me
Nel 2004 Giuseppe Talarico lavora per Baldassini-Tognozzi, importante azienda toscana. Due picciotti armati di fucile irrompono nel cantiere e lo costringono a interrompere il lavoro. “Il geometra è con me, come vi siete permessi? Gli avete pure fatto perdere tempo, ora lo aiutate a mettere le canne”, avrebbe detto il giorno dopo don Mico – un boss della zona – ai giovani “maleducati”. Siamo tra gli svincoli di Mileto e Rosarno. I due, spaventati e rammaricati per il disguido, avrebbero poi aiutato a delimitare il terreno. La conclusione dei magistrati è amara: “Ogni ulteriore considerazione sul diverso trattamento che poteva ricevere un imprenditore ‘gradito’ e uno ‘non gradito’ è assolutamente superflua”.
E’ uno degli episodi che spiegano cosa succede nei cantieri dell’A3. Ma dove finisce l’imposizione e inizia la complicità? Qual è il ruolo delle imprese e dei suoi dirigenti? “Ci sono intercettazioni che dimostrano la piena consapevolezza delle problematiche ambientali del luogo e di come devono essere affrontate”, ci spiega Roberto Di Palma, magistrato della DDA di Reggio e titolare delle principali inchieste sull’argomento. “Il direttore calabrese, che ha fatto tutte le grandi opere di una ditta, sa perfettamente chi lavora, chi comanda e come funziona”.
“Chiuderemo regolarmente nel 2013, noi stiamo lavorando solo al V e VI macrolotto” replica Impregilo. “I lotti più difficili, quelli finali, tra i più alti d’Europa, ci sono viadotti altissimi. E c’è un problema molto serio, gli attentati, ne abbiamo subito circa duecento. Furti di materiali, minacce a mano armata. Ovviamente hanno comportato difficoltà nella prosecuzione dei lavori, tanto che lo Stato ha deciso di presidiarli con l’esercito. Non ci sono altri ritardi. Non abbiamo ricevuto direttamente richieste estorsive, gli attentati avvengono contro gli affidatari. Abbiamo presentato regolarmente denuncia contro ignoti per ogni attentato subito”. Non ci sono dubbi sul fatto che le ‘ndrine, nei territori di competenza, pretendano una percentuale. La mazzetta può essere la classica valigetta con i contanti oppure l’affidamento di un servizio. Quello di lavanderia nel caso dell’A3 o il vitto e l’alloggio sulla statale 106, altro cantiere eterno sulla strada che dovrebbe congiungere Reggio con Taranto.
Centotrentuno anni
La “Società per le Condotte d’acqua Spa” ha 131 anni. E’ stata fondata infatti nel 1880 e lavora in tutto il mondo, da Taiwan agli USA. Nel 2008 si conclude una delle fasi più problematiche della sua storia secolare. Il TAR del Lazio annulla la revoca del certificato antimafia decisa dal prefetto di Roma, in seguito a una relazione della DIA sul comportamento dell’azienda in Calabria. Condotte aveva rischiato l’annullamento di appalti per 800 milioni di euro. “Spalle coperte e 3% di paravento”, dicono due ingegneri di Condotte in uno dei tanti frammenti di conversazione intercettati dagli inquirenti. Sono impegnati nei cantieri del quinto macrolotto che va da Gioia Tauro a Scilla. L’ipotesi è che le fatture presentate all’ANAS fossero maggiorate per comprendere la percentuale che costituiva la “tassa sicurezza”, cioè la tangente alle ‘ndrine.
Paolo Bruno, fino al 2008 presidente di Condotte, e Giovanni D’Alessandro, dirigente d’area, intercettati, commentando il danneggiamento di un mezzo di una ditta nei cantieri dell’A3, affermavano che era necessario trovare “ditte a modo”. Aggiungendo: “Ne abbiamo avuto di gente ferita qua e là, per l’amore di Dio, che vuole che sia, sono cose che fanno parte…sono cose da quattro soldi”. I magistrati scrivono che “Bruno non poteva che riferirsi alla necessità di rivolgersi a delle ditte che ‘sanno come muoversi’ nella zona, sono gradite alla ‘ndrangheta, ossia sono della ‘ndrangheta”. Bruno e D’Alessandro sono stati rinviati a giudizio e poi assolti nell’ambito dell’operazione Arca. La teoria dei magistrati, quindi, non ha trovato conferma in sede processuale.
Nel 2005 Impregilo cambia direttore per l’area Calabria. A Francesco Miglio, le cui conversazioni erano state intercettate nei procedimenti precedenti, si sostituisce Osvaldo Zedda, project manager di Impregilo, che è “in netto disaccordo con la linea seguita da Condotte”. Nascono frizioni che prima non si erano mai verificate. Da una parte il nuovo arrivato Zedda, che i magistrati definiscono “intransigente”, dalla parte di Condotte Giovanni D’Alessandro.
Zedda si fa molti nemici. Soprattutto dopo che ha sospeso l’attività di alcune cave irregolari dove venivano trasportati i materiali di risulta. Cave e discariche che da anni ricevevano materiali senza problemi nonostante fossero prive delle necessarie autorizzazioni. Una mossa per placare le polemiche – come si legge nell’ordinanza “Cosa Mia” – o un cambio di rotta radicale? Per questo motivo l’ingegnere Zedda di Impregilo decide di denunciare con nomi e cognomi il terzo danneggiamento subito. Cosa mai successa prima. Infatti, le denunce sono solitamente contro ignoti. “Per anni è passata l’idea che chi paga è sottoposto all’estorsione. In verità, l’imprenditore spesso paga la tangente in base ad un vero e proprio illecito accordo con la ‘ndrangheta: il pizzo in cambio della “sicurezza” sul lavoro. Ormai è assuefatto all’idea di un compromesso. E’ pure vero che ha un ruolo qualificato, perché rappresenta la parte economica, se pur privata, della società. Ha, dunque, un obbligo importante: deve denunziare, anche alla luce di tutti i protocolli che vengono sottoscritti tra parti provate pubbliche nelle varie prefetture”, spiega Di Palma.
Una traccia del pagamento
“C’è il tentativo di far pagare le imprese più grandi”, dice Michele Prestipino della DDA reggina. “Nel corso delle ultime attività di indagine, abbiamo intercettato diverse conversazioni nel corso delle quali i funzionari delle grandi imprese si pongono il problema. Abbiamo registrato la traccia del pagamento della tangente nella misura del 3% sui lavori e raccolto le prove che sia stata versata la tangente, ma non sappiamo da chi”.
Le conseguenze del sistema A3 non sono soltanto cantieri eterni e ‘ndrine più ricche. Basta pensare al tratto maledetto che come epicentro lo svincolo di Rosarno, dove muoiono i bambini tra le fiamme e le lamiere contorte. Lo scorso 15 giugno uno scontro frontale tra un autoarticolato e un SUV provocava cinque morti, tra cui una bambina di otto anni. Nello stesso tratto, il 16 agosto 2010 due bambini sono rimasti feriti dopo che una Golf aveva preso fuoco. Il 25 agosto, sempre nello stesso punto, una bambina di 12 anni perdeva la vita insieme al padre in seguito allo scontro con un’altra auto.
Chi muore in questi incidenti? Automobilisti che viaggiano da lungo tempo, dalla Germania o dalla Sicilia, famiglie di emigranti e lavoratori. Basta un secondo di distrazione per invadere una corsia distante meno di un metro, su cui un Tir o un Suv sta avanzando in senso contrario. Specie in estate. Chi può prende la nave o l’aereo e salta la Calabria. Tutti gli altri incrociano le dita e sperano di arrivare vivi.