REGGIO CALABRIA – Una ordinaria giornata di eventi eccezionali, tra i labirintici uffici del centro direzionale (per passare da un ufficio all’altro si attraversano i gabinetti, secondo una curiosa innovazione architettonica). E` stato appena arrestato Alvaro, boss della provincia capace di arrivare in città, impossessarsi di un prestigioso lido sul lungomare – orgoglio dei reggini, oggettivamente il chilometro più bello d’Italia – e di intessere utili relazioni con la politica. A proposito di politica, è l’anniversario della rivolta, per cui dal mare alla periferia la città è addobbata di striscioni dell’estrema destra che ricordano il “Boia chi molla”. Giovedì 14 luglio. Diario di quella che è una normale giornata in città.
Nel silenzio della Procura mille pagine di ordinanza sono il frutto del lavoro condotto all’estremo opposto del quarto piano. Lì si trova l’ufficio di Nicola Gratteri. Nessuna targhetta, la scorta nella prima stanza. Dalla sua scrivania, si gode il panorama sulle colline devastate da un’edilizia senza pudore, quasi un accanimento dell’uomo sulle colline scoscese. Alle sue spalle, sono appesi riconoscimenti provenienti da mezzo mondo. L’operazione “Crimine 3” è il frutto della collaborazione con i migliori investigatori del mondo, tra cui l’FBI.
Gratteri sta per andare conferenza stampa per spiegare i dettagli: decine di persone arrestate, quintali di coca sequestrati, un traffico internazionale che passa da Gioia Tauro e parte dall’America Latina intrecciandosi con il Canada, New York, la Sicilia, l’Equador, Calì, i messicani del ‘cartello del Golfo’ e Amsterdam. Che le ‘ndrine della costa jonica (con l’interessante aggiunta dei Pesce di Rosarno) siano ormai monopolisti dell’ingresso di stupefacenti in Europa non lo mette in dubbio nessuno. Ecco l’ennesima conferma, vissuta nei corridoi illuminati dai neon con un silenzio irreale. La serie di decine di faldoni che stanno fuori dalla porta raccontano eventi terribili trasformati in procedure d’ufficio, fotocopie, trasferimenti, conferenze stampa. E processi e condanne.
All’uscita, il termometro dell’automobile segna 42 gradi. Il gruppo dei soldati mandati a sorvegliare il Tribunale, con due camionette, difende lo Stato all’estremità del parcheggio, comprensibilmente sotto gli alberi che riducono la temperatura. Un cartello avvisa che la mostra degli abiti da sposa è stata annullata. E’ incompatibile con le misure di sicurezza di un ‘edificio sensibile’, cioè la Procura di Reggio in lotta contro la ‘ndrangheta.
L’autostrada e il Ponte
“Se non la costruiscono loro, chi la deve fare?”. Incontriamo un testimone privilegiato, a cui chiediamo una spiegazione logica – se esiste – sul mistero della Salerno-Reggio (si inizia a progettare l’allargamento nel ’90, cantieri infiniti, presenza mafiosa, incidenti continui, famiglie sterminate dopo spaventosi scontri frontali). Intende dire che in Italia, per i grandi lavori c’è una specie di oligopolio. Poche grandi imprese che fanno ciò che vogliono. Bè, rispondo, potrebbe venire una ditta estera. Sì, ammette, ma sarebbe uno sconvolgimento inimmaginabile. Ecco, mi viene da pensare, noi siamo qui per portare lo sconvolgimento (diciamo meglio: non per raccontare lo schifo che tutti vedono, spiegare che tutti hanno il loro interesse, come i porci che sguazzano nel letame e sa la godono un mondo, ma per proporre un modello diverso, civile, partecipato, democratico).
Secondo alcuni, questo sistema basato sul controllo mafioso gode del consenso popolare. Assicura posti di lavoro (per la verità pochi, malpagati e pericolosi, sono tanti anche gli incidenti ai lavoratori nei cantieri). Bisogna anche considerare quello che toglie, il danno che fa la mancanza di un’autostrada da decenni (al turismo, ai commerci, alle ditte di autobus, ai pendolari…). E se non c’è una rivolta rumorosa, esiste però l’abbandono lento, silenzioso e pieno di rancore di un numero enorme di giovani calabresi che vanno via senza voltarsi.
Perché l’autostrada non viene completata? La teoria è semplice. Le imprese del Nord arrivano in Calabria, cercano i giusti referenti, affidano la gestione del personale ai criminali, che fanno da ufficio di collocamento, pagano una tangente che va dal 3 al 5%. Può assumere la forma del pagamento in contanti o quello di una fornitura di beni o di servizi. La gestione complessiva tiene conto del contesto ambientale. Le denunce – in caso di danneggiamenti – si fanno sempre contro ignoti. Si apre l’inchiesta della magistratura, che termina sempre con la stessa domanda. Signora grande impresa del Nord, ha mai ricevuto minacce o richieste di pizzo? No, mai.
Andiamo a Villa San Giovanni per cercare il cantiere del Ponte sullo Stretto. Chiediamo in paese, alcuni operai edili non sanno dov’è ma arriva l’immancabile domanda: “Ma perché? Lo faranno mai questo Ponte?”. Sorrisi ironici. Intanto, per far posto a uno dei due piloni, stanno spostando un chilometro di binario. L’operazione è già costata una trentina di milioni di euro, prelevate dalle nostre tasche. Mentre l’Italia è sull’orlo del crack economico, mentre a Roma si discute una manovra per salvare i conti pubblici, alle estremità dello stivale le ‘grandi opere’ sono un pozzo senza fondo che divora soldi pubblici. Tav in Piemonte, Ponte qui, dove è stata avviata un’opera inutile e non voluta, mentre la Calabria si ritrova da tempo immemorabile senza l’autostrada. Contraddizioni italiane.
Arriviamo al cantiere di Cannitello, dove il cartello annuncia che si sta costruendo l’attraversamento stabile sullo Stretto di Messina. Un cartello in fondo alla penisola contro il senso comune della Nazione, secondo cui ‘non si farà mai’. Da un lato il deposito del materiale di risulta, dall’altro i lavori di spostamento del binario. In mezzo, come per caso, il depuratore. La prima persona che incontriamo è il guardiano (attività non superflua, la scorsa estate in Calabria ne furono sabotati un paio durante la stagione estiva). Una figura quasi poetica, seduto sotto un albero a custodire un’immensa vasca di liquami maleodoranti quando la temperatura di luglio sfiora i 35 gradi.
Entriamo all’interno del cantiere di Eurolink, parcheggiando accanto a un paio di macchinone. Il responsabile del cantiere ci fa sapere – con estrema freddezza e pochi monosillabi – che non rilascia interviste. Bisogna andare fino al campo base di Santa Trada. Che è poi quello dell’A3. Anas sta a Stretto di Messina come Impregilo sta a Eurolink. E dunque, ragionando un attimo, Salerno-Reggio Calabria uguale Ponte sullo Stretto? Uguali i protagonisti, uguale il territorio e le condizioni ambientali. L’inizio (una trivella incendiata nel cantiere del Ponte, ad aprile) conferma il teorema, anche perché non è arrivata alcuna denuncia, se non contro ignoti. Stesso copione, insomma. Vorremmo chiederlo a un responsabile, ma non c’è nessuno. L’ingegnere è in riunione a Palmi.
Costruire con fervore
Intorno alla variante di Cannitello si costruisce con fervore. Gru, movimento terra, scheletri di edifici. E’ stato già fatto un accordo di massima per gli espropri, avere un terreno da queste parti oggi è un buon affare. Proprio ai margini del lungomare “Cenide” ci furono i primi omicidi che poi portarono alla spaventosa guerra di mafia di Reggio. Il numero esatto di morti non si conosce, per comodità si approssima al migliaio. L’oggetto del contendere erano i terreni in vista della costruzione del Ponte.
Mentre andiamo via, osserviamo dalle colline di Villa una enorme nave da crociera MSC che scivola via sull’incanto blu dello Stretto. Probabilmente una di quelle che sotto il Ponte non passeranno più. A Messina sono arrivati nell’ultimo anno mezzo milione di croceristi. Per i fautori della grande opera, i turisti verranno a vedere il capolavoro dell’ingegneria. Per quelli che già ci sono si fa poco o nulla. MSC nasce per la gestione dei container. Infatti è presente a Gioia Tauro, poco più a nord. Il porto crocevia del narcotraffico, ma anche quello dove circa 400 lavoratori sono stati messi in cassa integrazione perché le attività sono in crisi. Tutto si tiene, da queste parti: problemi locali e questioni globali.
Andiamo a imbarcarci e contemporaneamente verifichiamo la necessità (inesistente) del “collegamento stabile”. La fila ai traghetti dura pochi minuti. Il viaggio una ventina. Il tutto col monopolio privato, perché con un servizio pubblico degno di questo nome il passaggio sarebbe ancora più facile. Un camion pieno di maiali è in fila con noi, purtroppo davanti. L’olezzo è terrificante, il camionista contratta coi marinai. Poi sembra dire ai suini che grugniscono disperati sotto il sole: “E’ fatta, andiamo anche noi”. Non si fidano e continuano con i grugniti, sempre più lancinanti. Anche loro distinguono una situazione normale da un’altra. “E – vi preghiamo – quello che succede ogni giorno non trovatelo naturale”, scrisse Berthold Brecht.