La denuncia di Medici Senza Frontiere

Sette tentati suicidi al Cara di Mineo, anni di attesa per l`asilo

Raffaella Cosentino
  Da un rapporto di Medici senza frontiere ("Dall’inferno al limbo") la voce dei profughi intrappolati nel centro per la lentezza della commissione. Abdoul: “Da quando sono arrivato a Mineo, non faccio altro che camminare in circolo, sembra di essere in carcere”. Prima intrappolati in Libia, ora nel limbo di una situazione kafkiana. In sette hanno già tentato il suicidio.
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Roma – Depressione, solitudine, isolamento e sette persone che hanno già tentato il suicidio perché “dopo essere stati intrappolati in Libia, i cittadini stranieri sono ora intrappolati nei campi e nei centri di accoglienza, dove vivono condizioni molto precarie, senza prospettive per il futuro”. E’ il ritratto a tinte fosche che arriva da una voce indipendente all’interno del Cara di Mineo, in provincia di Catania. Si tratta dell’Ong “Medici senza frontiere” che ha raccolto in un dossier le voci dei migranti “Dall’inferno al limbo”.

Msf è presente nel “Residence degli Aranci” di Mineo per un progetto di salute mentale che avrà una sperimentazione di due mesi, con attività psicosociali rivolte a 350 ospiti sul quasi duemila che affollano il mega centro di accoglienza per richiedenti asilo. Il rapporto è un modo per fare arrivare le testimonianze dei profughi ai giornalisti che non possono entrare nei centri a causa del divieto del Viminale.

“Sono arrivato a Mineo il 2 giugno. La situazione non è buona. Ogni giorno è uguale al precedente – dice Georges (nome di fantasia), nigeriano 29enne – Mi piacerebbe, per esempio, leggere il giornale. Non c’è niente per tenerci occupati. Non posso uscire dal centro. Possiamo solo stare seduti. Lasciarci seduti in un posto non significa aiutarci”. Più volte i migranti hanno denunciato di essere stati tagliati fuori dal mondo. “Abbiamo solo 3 minuti a settimana per chiamare le nostre famiglie – racconta Idrissa, 23 anni, del Niger – La commissione interroga solo due persone al giorno. Non sappiamo quando e come lasceremo questo posto. Siamo come prigionieri perché qui non c’è trasporto, stiamo soffrendo, abbiamo bisogno di aiuto”.

Le storie dei richiedenti asilo di Mineo sono quelle di persone comuni che avevano una vita in Libia, prima della guerra. Facevano gli autisti, le donne delle pulizie, lavoravano nelle lavanderie. Alcuni, come Patrick, 46 anni, congolese, vivevano a Tripoli dopo essere già fuggiti da una guerra, quella nel Nord Kivu. Si erano ricostruiti l’esistenza, ma poi è arrivato questo nuovo conflitto e ha spazzato via tutto. Nei loro racconti si legge non solo la paura per i bombardamenti ma anche le aggressioni da parte della popolazione locale, come le rapine con i coltelli e il tentativo di costringerli a partecipare alla guerra da parte delle milizie.

“Laggiù eravamo considerati delle armi – dice Akin, 34 anni, nigeriano – sono stato portato in un luogo chiuso con altre persone. Volevano usarci come mercenari”. Abdoul è scappato per paura di morire per mano di uomini armati. Ha mandato la moglie e i due figli in Niger, ma non è riuscito a raggiungerli. Ora non sa che fine abbiano fatto e la preoccupazione lo sta consumando. “Da quando sono arrivato a Mineo, non faccio altro che camminare in circolo – dice – sembra di essere in carcere. Per due mesi ci hanno detto che avremmo dovuto ricevere i documenti ma non è successo nulla. Il tempo passa e io non so nemmeno se la mia famiglia riesce a sfamarsi e può sopravvivere senza di me”.

A Mineo si rischia di attendere anni solo per uscire, per conoscere l’esito della domanda di asilo. Finora la commissione territoriale ha esaminato solo 2 casi al giorno. Per smaltire duemila persone ci vorrebbero quasi tre anni a questo ritmo. Perciò le proteste dei profughi sono continue. Diverse volte hanno bloccato l’autostrada Catania – Gela che passa vicino al “Residence degli Aranci”. L’ultimo episodio risale al 20 giugno, durante la giornata del rifugiato, mentre l’attenzione era puntata su Angelina Jolie sbarcata a Lampedusa. Redattore Sociale ha verificato che quel giorno dieci migranti feriti con contusioni e lievi traumi sono arrivati all’ospedale di Caltagirone, subito dopo la protesta. Non si sa cosa abbia provocato le ferite.

La “Rete antirazzista catanese” ha denunciato presunte violenze da parte della polizia. “Non abbiamo visitato pazienti in quell’occasione e quindi non so cosa sia successo, ma sappiamo delle manifestazioni” dice Francesca Zuccaro, a capo della missione di Msf. Dalle testimonianze raccolte dall’Ong risulta chiaro che il Cara di Mineo, aperto a marzo dal governo dichiarando l’intenzione di farne un centro modello per l’Europa in una struttura lussuosa, non è adeguato alla funzione che deve svolgere.

“I Cara devono avere standard che garantiscano i servizi per le persone vulnerabili e per la tutela delle vittime di violenza e di tortura” spiega ancora Zuccaro. Da alcuni giorni a Mineo è stata potenziata la commissione, ma ancora non si sa esattamente quante sono le audizioni giornaliere. Sui centri di detenzione (Cie), Zuccaro ribadisce quanto scritto nel rapporto di Msf che chiedeva la chiusura delle tendopoli – carcere di Trapani Kinisia e di Palazzo San Gervasio (Pz). “Ci sono condizioni di vita intollerabili che mettono a rischio la salute mentale delle persone – afferma – impensabile la detenzione estesa a 18 mesi”.

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