La Legge Obiettivo non funziona più. Ormai è chiaro. La lunga sequela di grandi opere che prometteva non si è data e la cartina dell’Italia sulla quale Silvio Berlusconi aveva tracciato a “Porta a Porta” i suoi percorsi è rimasta l’emblema della politica degli annunci. Pur essendo stata pensata per consentire ai cartelli dei grandi contractor delle infrastrutture di gestire appalti miliardari, si è tradotta nell’apparato normativo che fa da sfondo ad un lungo e penoso stillicidio di risorse pubbliche che paga più progetti e consulenze che chilometri autostradali o ferroviari. Era basata sulla centralizzazione delle scelte e sulla partecipazione dello Stato nell’investimento, ma si è incagliata nell’acuirsi della crisi del debito pubblico che ha ridotto di molto i margini di manovra, nella difficoltà a “chiudere” il finanziamento privato e nella resistenza dei territori che si sono rifiutati di svolgere il ruolo di meri spettatori di una speculazione che si svolgeva a loro danno.
L’attività dei gruppi che si occupano d’infrastrutture e grandi opere è ormai un mix d’ingegneria e finanza nel quale all’assegnazione di concessione corrisponde un indebitamento. Si tratta di un modello rischioso, ma i debiti accesi per i lavori in concessione sono considerati in un certo senso a più sicuro ritorno, perché si basano sui profitti delle future tariffe, che spesso godono anche di garanzie pubbliche. Perché questo meccanismo risulti sostenibile da più parti viene richiesto un cambiamento nelle politiche del settore. Oltre ai grossi contractor direttamente interessati, sono stati, di recente, anche il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia a sottolineare la necessità di intervenire affinché le risorse destinate alle infrastrutture vengano razionalizzate e siano modificate le regole per facilitare l’investimento privato, stante la difficoltà dello Stato di portare a termine le opere con investimenti pubblici consistenti. Soprattutto, viene sottolineata la necessità di sfruttare al massimo le concessioni ai privati e i fondi strutturali comunitari.
E’ in preparazione, quindi, una nuova legge che sostituisca la Legge Obiettivo, definisca il nuovo quadro d’insieme e rilanci il settore. Nei giorni scorsi è stato presentato il Rapporto “Le infrastrutture strategiche di trasporto” redatto dalle Fondazioni Astrid (Franco Bassanini), Italiadecide (Luciano Violante) e Res Pubblica (Eugenio Belloni) che ispirerà, molto probabilmente, la futura legge. Il Rapporto passa in rassegna i problemi cui sono andati incontro i progetti infrastrutturali in Italia e detta le nuove regole perché essi possano essere rilanciati. Sul banco degli imputati l’overdesign (la sovrabbondanza di norme, l’appesantimento procedurale e la mancata uniformità della normativa italiana con quella europea) e le compensazioni (il meccanismo attraverso il quale le amministrazioni locali riescono a strappare opere in cambio del raggiungimento del consenso). In entrambi i casi si assiste ad un aumento considerevole del costo dell’infrastruttura in corso d’opera. Viene, quindi, data indicazione che le controversie vengano risolte in fase di progetto preliminare, che le compensazioni si riducano entro il limite di spesa del 2% dell’intero costo e che sia accentuata la centralizzazione delle scelte, eliminando le residue competenze delle Regioni.
Il Rapporto di Astrid, Italiadecide e Res Publica si dilunga molto sui meccanismi di finanziamento. L’opzione scelta è inequivocabile: Partnership pubblico-privato ovunque. Il finanziamento pubblico è in una fase di difficoltà causata dalla crisi del debito pubblico e non può non andare incontro ad un contenimento. Possono essere previste delle Imposte di scopo e sono gli strumenti di garanzia a rappresentare un’alternativa al finanziamento pubblico diretto. Sono previsti, inoltre, incentivi di natura fiscale per gli investimenti di lungo termine.
Un ruolo decisivo verrà giocato dalla Cassa Depositi e Prestiti che potrà destinare le risorse della Raccolta Postale in favore di soggetti privati in relazione ad operazioni d’investimento d’interesse pubblico. L’obiettivo è catturare i Fondi Pensione e i Fondi Equity, riuscire a coinvolgere, cioè, investitori istituzionali interessati al Lungo Termine. Accanto ad altre possibilità di finanziamento, come la maggiorazione dei pedaggi o la cattura del valore immobiliare e commerciale, un ulteriore strumento previsto è costituito dalla creazione di project bond, titoli di debito emessi da imprese impegnate nella realizzazione di progetti d’investimento d’interesse pubblico. Il sostegno dello Stato potrebbe essere dato da agevolazioni fiscali per i detentori dei bond.
L’obiettivo esplicito è trovare le risorse necessarie sul mercato finanziario e sostenere investimenti e titoli attraverso i rendimenti attesi delle infrastrutture stesse. Si tratta di una strategia già da tempo avviata negli Stati Uniti e fortemente sostenuta dal Presidente Obama. Già in passato vari osservatori hanno intravisto in questo modello il rischio della creazione di nuovi meccanismi speculativi e la possibilità di una nuova bolla nel momento in cui divenissero evidenti i mancati rendimenti degli investimenti. Da più parti, ad esempio, viene segnalato il rischio bolla per i Municipal Bond sostenuti dal Governo federale.