L’orrenda invenzione di “zingaropoli”. Lo spettro della “moschea più grande d’Europa”. L’aumento dei campi nomadi e il vecchio consueto anticomunismo, che questa volta si è concretizzato nell’aumento delle tasse e nel fantasma dei centri sociali. La campagna della destra per le comunali di Milano si è giocata tutta su questi temi. Il commissario europeo per i diritti umani, proprio alla vigilia del ballottaggio, un po’ tardi quindi, si è detto allarmato per il tono xenofobo della comunicazione pro-Moratti. Ora comunque è tutto chiaro. Non funziona più. Quello che sembrava un modello vincente e inarrestabile (“Non possiamo lasciare questi temi alla destra”, ripetevano gli imitatori dei leghisti) oggi ha perso nella maniera più clamorosa possibile.
Si aprono adesso due scenari:
1) la fine della Lega
2) il cambio di rotta dei suoi imitatori.
Se non troverà sponda nel PD o in altre formazioni (qualche tempo fa Bersani provò una spericolata operazione di ribaltamento indirizzando a “La Padania” una surreale lettera intitolata “So che non siete razzisti”), il modello leghista è praticamente morto. La costruzione del nemico (il meridionale, il rumeno, l’islamico, l’africano, il rom) e la paura che ne deriva sono la quintessenza del suo “pensiero”. Se l’elettorato smette di avere paura, tutto il sistema di ordinanze, pacchetti sicurezza, slogan a effetto e odio senza freni viene meno. E così pure l`imponente sistema di potere che hanno costruito.
Il modello della paura nasce con la destra americana. Anche prima dell’11 settembre, il gruppo di “pensatori” costruito intorno a Bush aveva lanciato il modello dello scontro di civiltà e la guerra permanente. Dopo il crollo delle torri di New York, nessuno aveva messo in dubbio la concretezza del pericolo e la necessità di scambiare libertà con sicurezza.
Anche in Italia, sull’onda del successo della Lega, la destra si è accodata sul terrorismo psicologico contro ogni forma di diversità. La serie delle ordinanze nelle zone dominate dal partito di Bossi ha assunto toni grotteschi e ha colpito tutto e tutti: chi mangia il gelato e chiede l’elemosina; gli assembramenti; le coppie miste; il cibo etnico; il cricket. Chi ha perso il posto di lavoro (e di conseguenza il permesso di soggiorno) è stato etichettato come un pericoloso clandestino. In tutto il Nord hanno creato numeri verdi e sportelli; a Milano hanno impiantato una squadra speciale di vigili urbani specializzati nella caccia allo straniero senza documenti; li hanno premiati con la massima onorificenza cittadina; hanno messo le grate agli autobus per rinchiudere gli stranieri.
E hanno speso cifre enormi per videosorvegliare tutto, compresi posti tranquillissimi dove si commette un reato ogni due anni. Nel frattempo, casalesi, gelesi e ‘ndranghetisti diventavano i veri “padroni a casa loro”, tra sottovalutazione e complicità.
Questo ha prodotto il delirio della sicurezza, questo è il risultato di “zingaropoli”: un Nord vecchio, rancoroso, ignorante, incapace di ammettere che la forza lavoro straniera lo mantiene nel salotto buono delle aree ricche del pianeta ma bloccato dall’idea che quello, comunque, è il modello vincente, il meccanismo che funziona. Dal ballottaggio che ha visto Giuliano Pisapia battere Letizia Moratti non è più così.
E non sarà più così per le aree della sinistra che hanno deciso di imitare i leghisti, seguendoli sulla strada delle ordinanze, “aprendo” sulla costruzione dei CIE, provando a giocare sulla sicurezza. E non sarà più così per apprendisti stregoni come Grillo, che prova a mischiare temi diversi basandosi però sul filo rosso della paura: il timore per la salute accanto a quello del lavoro insicuro, abbinata alla trepidazione che deriva da rom e migranti.
Quelli che in questi anni sono rimasti a difendere la civiltà, cioè a sostenere che la Lega è un orrore della storia, una parodia del nazismo (e perdipiù un partito di potere fortemente corrotto), oggi possono gridarlo più forte. Bossi e soci hanno le ore contate. Che a nessuno venga in mente di prolungare l’agonia.