Le continue tragedie, avvenute o appena evitate, sono sotto gli occhi di tutti, sugli scogli di Lampedusa. Continua in tutto il Canale di Sicilia la strage infinita dei migranti in fuga dal Nord-Africa, e persino il ministro Maroni che sino a qualche settimana fa rilanciava i consueti allarmi diffusi dai servizi segreti sulla presenza di terroristi tra i profughi, avverte oggi che tutti gli ultimi arrivati dalla Libia saranno trattati come profughi ed avranno dunque un permesso di soggiorno per motivi di protezione internazionale.
Maroni e Frattini continuano a ragionare però come se l`emergenza Libia potesse risolversi in breve periodo, al massimo un mese, magari per riprendere con i nuovi (o i vecchi) governanti quella fruttuosa collaborazione che aveva consentito nel 2010 il blocco quasi totale degli arrivi a Lmapedusa. Un “successo storico” per il ministro dell`Interno, di cui vantarsi ad ogni scadenza elettorale, come se quei profughi arrivati in questi giorni a Lampedusa non fossero gli stessi che l`Italia aveva condannato nei due anni precedenti ai respingimenti collettivi in acque internazionali e a durissime condizioni di prigionia nei campi di detenzione, di Misurata, di Bengasi, di Braq e di tante altre località libiche nei quali la polizia di Gheddafi rinchiudeva e violentava i migranti respinti dall`Italia.
E oggi l`ennesimo “successo” da sbandierare in campagna elettorale sarebbe costituito dal c.d. blocco dell`immigrazione con la Tunisia, dopo gli accordi conclusi da Maroni a Tunisi lo scorso 5 aprile. Ancora una volta una menzogna, perché gli arrivi di tunisini non sono mai terminati, anche se i numeri sono più ridotti, e la diminuzione deriva dalle condizioni di maltempo che hanno prevalso in queste ultime settimane e da un più efficace pattugliamento tunisino al limite delle acque internazionali, sul modello della collaborazione di polizia che l`Italia aveva praticato con la Libia dopo le intese tecniche del 2007 e il “Trattato di amicizia” del 2008. Nei confronti dei tunisini arrivati dopo il 5 aprile si sono poi sperimentate pratiche arbitrarie di respingimento “differito” e di detenzione amministrativa, senza alcun rispetto per la riserva di giurisdizione e per la garanzie di difesa che il nostro ordinamento, a partire dall`art.13 della Costituzione, impone anche per gli immigrati irregolari, i c.d. “clandestini”.
Si tace inoltre che la metà dei 23.500 tunisini giunti in Sicilia nei mesi scorsi si sono dispersi nella clandestinità, senza neppure chiedere il permesso di soggiorno truffa che lo Stato italiano ha concesso dopo avere portato al livello di esplosione la situazione nell`isola di Lampedusa, dalla quale sino alla fine di marzo si sarebbe voluto rimpatriare immediatamente tutti i tunisini che vi sbarcavano, con procedure sommarie e in violazione di tutte le regole di diritto internazionale e comunitario, oltre che della Costituzione italiana. In realtà, come si è appreso dalle autorità tunisine i rimpatri concordati da Maroni a Tunisi lo scorso 5 aprile erano appena 800 e negli ultimi giorni i rimpatri diretti da Lampedusa sono stati sospesi, per il raggiungimento di questo tetto massimo. Mentre i tunisini che continuavano ad arrivare sono stati fatti “scomparire” nei centri di detenzione della Puglia, o in Campania, a San Nicola al Varco, o ancora nei vecchi CIE di Gradisca d`Isonzo e di Bologna.
Ovunque il connotato comune di rimpatri e trasferimenti che, per la loro sommarietà hanno assunto il carattere di vere e proprie deportazioni, è stato lo stato di emergenza dichiarato dal governo il 12 febbraio “in relazione all`eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa” e poi successivamente ampliato e reiterato, fino alle ultime ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3933 del 13 aprile per “fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all`eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa” e n. 3935 del 21 aprile, sempre in relazione “all`eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa” con la istituzione di “tre nuovi centri di identificazione ed espulsione temporanei” a Santa Maria Capua Vetere (Caserta ), Palazzo San Gervasio (Potenza) e Trapani (Kinisia).
In realtà la vera emergenza è stata, per tutto questo periodo, l`allontanamento sommario dei tunisini arrivati nei mesi scorsi, la detenzione arbitraria con una serie di episodi di autolesionismo, rivolte e dure repressioni. Mentre si pensava soprattutto alla chiusura delle rotte che permettevano gli arrivi dalla Tunisia e dall`Egitto (chiudere il rubinetto), si è largamente sottovalutato, ancora una volta il problema delle migliaia di profughi che Gheddafi usa come scudi umani in Libia, o che sta lanciando come proiettili verso un Europa sempre più spaventata dalle retoriche dell`invasione.
Non ha trovato nessuna risposta tra i governanti italiani, europei e tra le istituzioni internazionali, l`appello per l`apertura di un corridoio umanitario dalla Libia, che l`Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati aveva lanciato già il 28 febbraio scorso. In un comunicato dell`ACNUR si rivolgeva la richiesta, non solo ai paesi confinanti del Nord-Africa, ma anche dell`Europa, quindi anche ad Italia, Malta e Francia, di “lasciare aperte le frontiere” così come avevano fatto Egitto e Tunisia, per accogliere i migranti, tutti i migranti in fuga dalla Libia, senza distinguere tra profughi e migranti economici. Al massimo i paesi europei hanno inviato qualche modesto aiuto sanitario ed hanno promesso alcuni milioni di euro ai paesi più esposti all`arrivo di migranti in fuga dalla Libia, oltre 150.000 in Tunisia e 100.000 in Egitto, ma tutti si sono affrettati a inasprire i controlli di frontiera ed a sollecitare i nuovi governi provvisori a proseguire nelle politiche di contenimento dell`immigrazione clandestina per le quali erano stati già conclusi gli accordi con dittatori del calibro di Mubarak e di Ben Alì.
A questo punto molti migranti subsahariani, ma non solo, anche nigeriani o di altre nazionalità, hanno dovuto fare ritorno in Libia per tentare comunque di arrivare in Europa. E Gheddafi ha subito approfittato dell`occasione offerta dalla chiusura delle rotte dall`Egitto e dalla Tunisia, riprendendosi il “monopolio” dell`immigrazione clandestina, come è confermato dal fatto che gli sbarchi degli ultimi giorni, per diverse migliaia di persone, sono la conclusione di viaggi iniziati proprio nei pressi di Tripoli, in zone ancora sotto controllo delle truppe lealiste. Sono state le politiche di chiusura nei confronti di Egitto e Tunisia e l`incapacità dimostrata nell`apertura di autentici canali di evacuazione umanitaria che hanno consentito a Gheddafi di moltiplicare il suo potere di ricatto, scagliando contro le coste europee, alla vigilia di importanti scadenze elettorali, migliaia di migranti, anche a costo di mandare a morire centinaia di uomini, donne e bambini, dopo gli abusi e le sevizie che avevano già subito in Libia, e di cui sono silenziosa conferma il gran numero di giovani donne in stato di gravidanza che arrivano in questi giorni.
Come numerosi rapporti internazionali confermano da tempo, si tratta di donne sottoposte ad abusi sistematici da parte delle organizzazioni dei trafficanti, e spesso dei poliziotti libici, abusi sui quali oggi si preferisce tacere perché potrebbero dare nuovo risalto agli infami respingimenti collettivi in acque internazionali verso la Libia, praticati dalle autorità italiane a partire dal 7 maggio del 2009, un sinistro anniversario che ricade proprio in questi giorni. Una serie di vicende sulle quali dovrebbe pronunciarsi presto la Corte Europea dei diritti dell`Uomo, in una udienza che è fissata per il prossimo 22 giugno.
Di fronte all`inasprirsi della guerra, e della situazione di stallo nella quale in Libia rischiano di finire stritolati migliaia di uomini, donne, minori, occorre rinnovare con la maggiore energia possibile la richiesta per l`apertura di canali di evacuazione umanitaria, non soltanto verso la Tunisia e l`Egitto, come in qualche modo OIM ( Organizzazione internazionale delle migrazioni) sta tentando di garantire con proprie navi, ma verso tutti quei paesi europei che hanno dislocato davanti alle coste libiche decine di unità militari che non fanno niente per salvare la vita dei profughi subito dopo la loro partenza dalla Libia. Occorre salvare subito i prughi in mare su imbarcazioni che non garantiscono la navigazione in condizioni di sicurezza. Non basta la semplice scorta. Non si può attendere di ritardare i soccorsi fino all`ultimo, in modo che le loro carrette affondino in alto mare, in acque internazionali, magari durante le consuete dispute tra Italia e Malta sulla competenza a condurre azioni di salvataggio, o peggio ancora quando sono già in vista della salvezza, sugli scogli di Pantelleria e Lampedusa.
Si dovrebbero attrezzare anzi veri e propri centri di raccolta ai confini della Tunisia e dell`Egitto per fare ripartire verso l`Europa, nella legalità, con operazioni di reinsediamento (resettlement) tutti i potenziali richiedenti asilo, come somali, sudanesi, eritrei, etiopi, ivoriani e di altre nazionalità. Si dovrebbero aprire poi consistenti canali di ingresso legale per lavoro, anche stagionale, per i giovani maghrebini che a causa della guerra in Libia hanno perso il loro lavoro e sono privi di qualsiasi prospettiva di futuro. Sono queste soluzioni che potrebbero trasformare lo stato di emergenza permanente in materia di immigrazione e asilo in Italia, una situazione che comporta gravi violazioni dei diritti fondamentali delle persone, in una possibile politica di accoglienza che potrebbe affrontare anche il problema dell`immigrazione irregolare con una maggiore legittimazione morale e soprattutto in modo più efficace e al contempo più rispettoso dei diritti umani, esattamente come richiede l`Europa.
Senza altri sotterfugi come quelli che ha annunciato il governo italiano, addirittura nel corso del dibattito parlamentare sulla guerra in Libia, per superare le “criticità” derivanti dalla Sentenza di condanna della Corte di Giustizia del 28 aprile scorso, sulla mancata attuazione della Direttiva 2008/115/CE.