Una lettura critica della beatificazione di Giovanni Paolo II

Santo dubito. Wojtyla beato a tempo di record

Luca Kocci
  Pellegrini in bilico tra sacro e profano. L`ultimo miracolo: «Santo subito!» chiedevano gli striscioni e gridavano i papaboys, i neocatecumenali, i giovani focolarini e del Rinnovamento. Ratzinger beatifica il suo predecessore. Immagine di un papato che santifica se stesso per rafforzare la centralità di Roma
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«Santo subito!» chiedevano gli striscioni e gridavano i papaboys, i neocatecumenali, i giovani focolarini e del Rinnovamento nello Spirito accorsi a piazza San Pietro per il funerale di Giovanni Paolo II, l`8 aprile 2005. E «Santo subito» sarà papa Wojtyla, che verrà beatificato domani primo maggio, Festa dei lavoratori.
Una beatificazione a tempo di record: meno di due mesi dopo la morte – avvenuta il 2 aprile -, papa Ratzinger, successore e braccio destro di Wojtyla per 25 anni alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede, l`ex Sant`Uffizio, avviò il processo di canonizzazione, senza aspettare i 5 anni previsti dal Diritto canonico; nel dicembre 2009 riconobbe le «virtù eroiche» di Giovanni Paolo II, insieme a quelle di Pio XII, il papa dei silenzi sulla Shoah; ora la beatificazione, a 6 anni dalla morte, quando per il papa del Concilio e della Pacem in Terris, Giovanni XXIII – popolare almeno quanto Wojtyla -, ce ne vollero 37.
Papa Ratzinger che beatifica il suo predecessore Wojtyla è immagine eloquente di un papato che santifica se stesso per rafforzare il potere dell`istituzione ecclesiastica e riaffermare la centralità di Roma e della curia in una Chiesa sempre meno «popolo di Dio», secondo l`espressione del Concilio Vaticano II, e sempre più verticistica e gerarchica.

Una parabola, questa, che deve molto proprio a Giovanni Paolo II e al suo lunghissimo pontificato che, al di là del grande consenso raggiunto anche grazie al sapiente uso dei mass media, può essere letto con la categoria interpretativa della restaurazione: progressiva riduzione dell`autonomia delle Conferenze episcopali territoriali; repressione ed emarginazione di vescovi, religiosi, teologi e teologhe non in linea con il governo e il pensiero vaticano; riaffermazione di dogmi, principi e norme sia dottrinali che ecclesiastiche e chiusura a qualsiasi richiesta di riforme proveniente dalla base in materia di collegialità e partecipazione, etica familiare e sessuale, ruolo della donna e dei laici; sostegno a congregazioni e movimenti conservatori – dall`Opus Dei ai Legionari di Cristo, dai neocatecumenali a Comunione e liberazione – alfieri della restaurazione pontificia ed isolamento di gruppi ed esponenti del mondo progressista e cattolico democratico; copertura di scandali – dallo Ior di Marcinkus alla pedofilia – spesso liquidati, quando sono stati ammessi e quando è stato chiesto il «perdono», come colpe di alcuni «figli della Chiesa», non dell`istituzione; condiscendenza nei confronti di governi e regimi militari violenti, ma benevoli nei confronti della Chiesa, considerati un argine contro il comunismo, soprattutto in America latina (è storia l`immagine di Pinochet e di Giovanni Paolo II affacciati al balcone della Moneda di Santiago del Cile che benedicono la folla, nell`aprile del 1987).
Messe in fila anno dopo anno (lo ha fatto anche l`agenzia di informazioni Adista con un dossier dal titolo “Santo? Dubito“), le tappe di questa restaurazione mostrano la storia di un «altro» pontificato che, in questi giorni di ubriacatura mediatica e apologetica per Giovanni Paolo II «il grande», come ebbe a dire l`allora segretario di Stato vaticano, il cardinal Angelo Sodano, subito dopo la morte del papa, sembra cancellato.
Pochi mesi dopo l`elezione al soglio pontificio – il 16 ottobre del 1978, superando il conservatore Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, e il «progressista» Giuseppe Benelli, arcivescovo di Firenze -, nel gennaio del 1979 Wojtyla partecipa alla terza conferenza dei vescovi latino-americani e mette in riga la teologia della liberazione, che aveva teorizzato «l`opzione preferenziale per i poveri» e incarnato il Vangelo nelle condizioni storiche dei popoli oppressi, punendo i teologi accusati di marxismo e di fare «lotta di classe». Dopo di loro sarà lungo l`elenco delle teologhe e dei teologi progressisti puniti o ridotti al silenzio; dei vescovi, delle religiose, dei religiosi e dei preti «fuori le righe» isolati, costretti ad una rigida obbedienza o rimossi, da Oscar Romero, prima di essere ucciso dagli squadroni della morte della giunta militare al potere in Salvador, ai fratelli Ernesto e Fernando Cardenal, coinvolti nel governo sandinista in Nicaragua, fino al vescovo francese Jacques Gaillot, troppo schierato a fianco degli emarginati.

Poi i provvedimenti per potenziare l`autorità centrale: rafforzamento della curia romana e declassamento dei sinodi dei vescovi e delle conferenze episcopali; “giuramento di fedeltà” al magistero pontificio anche senza una esplicita «definizione dogmatica» e ampliamento della «infallibilità papale» anche a quei principi «non contenuti nelle verità di fede»; riaffermazione della superiorità assoluta della Chiesa cattolica romana sulle altre Chiese cristiane «sorelle» e del cattolicesimo sulle altre fedi, in una visione dell`ecumenismo assolutamente romanocentrica.

Dopo gli «sbandamenti» del Concilio e le effervescenze del decennio `68-`77 che attraversarono anche la Chiesa e il mondo cattolico, la missione del pontefice non poteva che essere quella di ricompattare i cattolici sotto la guida della gerarchia, riaffermare il magistero tradizionale contro interpretazioni e letture troppo aperte e progressiste, riconquistare alla Chiesa visibilità e un ruolo di guida della società. E con Benedetto XVI, la missione continua, con ancora maggior forza.

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