La politica del governo

Brucia Lampedusa, tra rimpatri e trasferimenti illegali

Fulvio Vassallo
  Dopo i rimpatri truffa e i fallimenti del governo in politica estera il centro di Lampedusa brucia. Trasferimenti in corso verso tre Cie italiani. Intanto pochi voli hanno ricondotto in Tunisia solo qualche decina di immigrati, ma hanno riproposto la violazione del diritto interno, della Costituzione e delle normative comunitarie da parte delle autorità italiane in materia di respingimenti ed espulsioni.
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Nella stessa giornata nella quale il governo italiano collezionava l`ennesima bocciatura sulla politica di “accoglienza” dei migranti giunti nelle scorse settimane dalla Tunisia, una politica che si è tradotta in un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri impresentabile nella forma e nella sostanza, torna la rivolta a Lampedusa ed alcune sezioni del centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa sono state date alle fiamme. Adesso si sta preparando il trasferimento dei migranti ancora rinchiusi nel CIE di Contrada Imbriacola verso altri centri di detenzione.

Una nave traghetto sarebbe pronta per “svuotare” il centro nel quale oggi lunedì 11 aprile si è svolta la rivolta e la fuga di massa. Nella giornata di martedì 12 aprile 800 migranti dovrebbero essere imbarcati a gruppi di 20 e trasferiti in tre centri di detenzione ancora sconosciuti in Italia. Il governo conferma intanto l`intenzione di rimpatriare tutti i tunisini giunti in Italia dopo l`adozione del decreto che accorda la protezione umanitaria temporanea solo per coloro che sono arrivati entro il 5 aprile scorso.

Si tratta di sviluppi largamente prevedibili, dopo che per settimane si era creata “ad arte”  una situazione di emergenza, bloccando i trasferimenti nell`isola, nel proposito, che oggi si rivela assolutamente impraticabile, di effettuare rimpatri di massa direttamente dall`isola delle Pelagie verso Tunisi. Numerose denunce erano rimaste inascoltate ed il governo aveva bloccato persino gli ingressi nei centri da parte dei parlamentari, che possono visitare liberamente le carceri di massima sicurezza. I tunisini non dovevano essere informati che si stava lavorando per i loro rimpatri di massa, anche quando “sulla carta” si annunciavano provvedimenti che avrebbero permesso il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari.

Uno specchietto per le allodole, un ulteriore espediente per una identificazione certa in attesa di una futura espulsione, altro che lasciapassare per l`Europa, come oggi gli stessi migranti stanno scoprendo sulla propria pelle.  E intanto sono continuati i rimpatri verso la Tunisia, come annunciato da Berlusconi nella sua visita/spot elettorale nella giornata di sabato 9 aprile. Voli che hanno ricondotto in Tunisia solo qualche decina di immigrati, ma che hanno riproposto la violazione del diritto interno, della Costituzione e delle normative comunitarie da parte delle autorità italiane in materia di respingimenti ed espulsioni, dopo giorni di trattenimento amministrativo, senza alcuna garanzia di controllo da parte del magistrato, come prescritto dall`art.13 della Costituzione.

Come ha comunicato l’associazione Naga di Milano nei giorni scorsi, trenta giovani tunisini, arrivati con altri 74 connazionali a Lampedusa nella notte tra il 5 e il 6 aprile, sono stati respinti nei giorni successivi in Tunisia. Gli accordi siglati con il Paese nord africano e il decreto firmato il 5 aprile dal presidente del Consiglio dei ministri sulla concessione di permessi di soggiorno temporanei, autorizzano il rimpatrio di tutti i cittadini nordafricani arrivati in Italia a partire dal 6 Aprile. Gli sbarchi a Lampedusa sono intanto proseguiti e la sera di domenica 10 si contavano 706 persone rinchiuse nel centro di identificazione ed espulsione dell`isola, di cui 80 trasferite lì dopo essere sbarcate nell`isola di Pantelleria. Lunedì 11 aprile altri sessanta migranti tunisini venivano rimpatriati in Tunisia con un volo diretto dall`isola di Lampedusa. Altre centinaia di tunisini dunque  potrebbero essere rimpatriati già in questi giorni e la situazione nel centro di identificazione ed espulsione ( perché di questo si tratta ormai) di Lampedusa, a Contrada Imbriacola è assai tesa, con diffusi atti di autolesionismo, sciopero della fame ed occupazione della sala mensa. Come ampiamente prevedibile dopo i rimpatri truffa orditi dal governo italiano che non ha neppure comunicato ai tunisini respinti a Tripoli destinazione del volo e provvedimenti individuali, è esplosa la protesta all`interno del CIE e alcune decine di migranti sono fuggiti dopo un incendio  che ha distrutto due padiglioni. Le conseguenze di questi rimpatri forzati potrebbero essere assai gravi anche in Tunisia, dove sta montando la protesta popolare contro il piano di rimpatri forzati imposto dal governo italiano alle autorità provvisorie che governano la Tunisia in attesa delle prossime elezioni.    

In un comunicato del NAGA di Milano si chiedeva “che sia data la possibilità di richiedere protezione a chiunque arrivi in Italia indifferentemente dal Paese di origine e che non avvengano rimpatri forzati e di massa indipendentemente da accordi bilaterali di puro carattere ed interesse economico” Secondo Pietro Massarotto, presidente del Naga “Rappresenta inoltre pura ipocrisia limitare l`offerta umanitaria ai soli cittadini nordafricani arrivati fino allo scorso 5 aprile, quando la crisi storica in atto è ben lungi dall`essere risolta. La miopia e la poca lungimiranza della soluzione scelta coinvolgono comunque l`intera Unione Europea, che – Francia in testa – non intende permettere di fatto l`accesso umanitario sul territorio europeo. Il permesso di soggiorno rilasciato dall`Italia vale, infatti, a fini lavorativi solo per il territorio italiano, mentre nel resto della UE i migranti in fuga sono da considerarsi alla stregua di `turisti`. 

Peraltro, sempre secondo Massarotto “chiunque arriva in Italia ha diritto di essere informato della possibilità di chiedere asilo politico; dubitiamo fortemente che ciò stia avvenendo”. Secondo una delegazione di Amnesty International, presente nell`isola di Lampedusa per una settimana, al termine della quale si teneva una conferenza stampa il primo aprile scorso, “i bisogni individuali di tutte le persone che hanno raggiunto e raggiungeranno l`Italia devono essere esaminati in modo adeguato. A queste persone dev`essere garantito l`accesso a procedure effettive ed eque di asilo, ciò che non è evidentemente stato possibile sinora a Lampedusa a causa della situazione caotica creatasi sull`isola. Le autorità italiane devono tener fede ai loro obblighi internazionali sui diritti umani. Ciò significa venire incontro agli immediati bisogni di queste persone e desistere da espulsioni collettive o rimpatri sommari”. Quelle espulsioni collettive verso la Tunisia, vietate dalle Convenzioni internazionali, che sono state bloccate sino al 5 aprile, data di adozione del DPCM che stabilisce il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma solo a coloro che sono giunti prima di quella data, si stanno verificando adesso, anche se la rivolta dei migranti potrebbe avere effetti imprevedibili sull`effettivo svolgimento delle operazioni di quella che appare una vera e propria deportazione.

I migranti rinchiusi nel centro di identificazione ed espulsione di Contrada Imbriacola a Lampedusa,e poi respinti in Tunisia, a partire dal 6 aprile 2011, per quanto risulta da numerose testimonianze e notizie di stampa, non hanno mai potuto comunicare con un avvocato o con un giudice, né tantomeno con un membro della commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, né hanno ricevuto alcun tipo di comunicazione scritta sui motivi del loro trattenimento né sulla durata dello stesso o sulle possibilità di difesa o di esercizio dei propri diritti.

Nel caso dei migranti già  rimpatriati in Tunisia, come nel caso di quelli ancora trattenuti nel centro di detenzione amministrativa di Contrada Imbriacola, è ampiamente decorso il termine di ventiquattrore del fermo per identificazione di cui all’art. 11 DL 59/78 convertito in legge n. 191/78, in quanto gli stessi migranti si sono trovati privati per giorni della libertà personale senza peraltro che di ciò sia stato dato avviso ai medesimi trattenuti o ai loro avvocati né all`autorità giudiziaria.

Gli artt. 10, 13 e 14 del D.Lgs. 286/98 prevedono che il cittadino straniero possa essere privato della libertà personale con provvedimento amministrativo, unicamente nei casi in cui venga nei suoi confronti adottato un provvedimento di respingimento alla frontiera, definito come respingimento differito del Questore (art. 10, comma 2), ovvero un provvedimento di espulsione (art. 13), ovvero un provvedimento di trattenimento presso un centro di permanenza temporanea e assistenza (art. 14). Tale ultimo provvedimento è adottato unicamente ai fini dell`esecuzione del provvedimento di allontanamento dal territorio italiano. Tali provvedimenti, inoltre, hanno natura di provvedimenti recettivi; essi acquistano dunque efficacia solo dal momento della loro notifica al destinatario e non possono trovare esecuzione prima di tale notifica. 

I provvedimenti di trattenimento e di accompagnamento alla frontiera dello straniero devono essere inoltre comunicati al Giudice di Pace entro 48 ore dalla sua adozione, e devono essere convalidati dal Giudice entro le successive 48 ore (artt. 13, co. 5 bis e 14, co. 4, D.Lgs. 286/98). Proprio con riferimento ai provvedimenti di trattenimento presso il centro di permanenza temporanea e di accompagnamento alla frontiera, la Corte Costituzionale ha più volte chiarito (si vedano in particolare le sentenze 105/01 e 222/04) trattarsi di provvedimenti limitativi della libertà personale, che come tali devono essere assistiti dalle garanzie di cui all`art. 13 della Costituzione, e dunque devono essere sottoposti nei tempi indicati da tale norma al vaglio giurisdizionale, alla presenza dello straniero e con le garanzie della difesa. 

L`art. 21, co. 4, del Regolamento di attuazione del D.Lgs. 286/98 (D.P.R. 394/99, come modificato dal D.P.R. 334/04), prevede che “il trattenimento dello straniero può avvenire unicamente presso i centri di permanenza temporanea individuati ai sensi dell`art. 14, comma 1, del test unico, o presso i luoghi di cura in cui lo stesso è ricoverato per urgenti necessità di soccorso sanitario”; l`art. 23, co. 1, del medesimo regolamento aggiunge che “le attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per le esigenze igienico-sanitarie, connesse al soccorso dello straniero possono essere effettuate anche al di fuori dei centri di cui all`articolo 22″ – ossia ai CPT – ” per il tempo strettamente necessario all`avvio della stesso ai predetti centro o all`adozione dei provvedimenti occorrenti per l`erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato”.

Tali disposizioni di fonte regolamentare, dunque, in ossequio alla legge – né potrebbe essere altrimenti, stante la riserva assoluta prevista dall`art. 13 della Costituzione – prevedono che la privazione della libertà personale dello straniero nei procedimenti amministrativi relativi al suo allontanamento può avvenire unicamente presso i CPT, mentre al di fuori di tali centri (e dunque anche nei CPA) possono svolgersi unicamente attività di accoglienza, assistenza e quelle svolte per esigenze igienico sanitarie, ma non può esservi limitazione della libertà personale; in ogni caso ogni eventuale limitazione della libertà personale deve obbedire ai rigidi criteri imposti dall`art. 13 della Costituzione e dalle disposizioni di legge in materia.

Da tempo la giurisprudenza costituzionale ha imposto garanzie precise in materia di respingimento ed espulsioni, garanzie che non sempre sono state rispettate dalle autorità di polizia. Secondo la sentenza 105 del 2001 della Corte Costituzionale “Il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione. Si può forse dubitare se esso sia o meno da includere nelle misure restrittive tipiche espressamente menzionate dall’articolo 13; e tale dubbio può essere in parte alimentato dalla considerazione che il legislatore ha avuto cura di evitare, anche sul piano terminologico, l’identificazione con istituti familiari al diritto penale, assegnando al trattenimento anche finalità di assistenza e prevedendo per esso un regime diverso da quello penitenziario. Tuttavia, se si ha riguardo al suo contenuto, il trattenimento è quantomeno da ricondurre alle “altre restrizioni della libertà personale”, di cui pure si fa menzione nell’articolo 13 della Costituzione. Lo si evince dal comma 7 dell’articolo 14, secondo il quale il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinché lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la misura ove questa venga violata. Si determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale”.

Secondo la Corte Costituzionale, “né potrebbe dirsi che le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. Che un tale ordine di idee abbia ispirato la disciplina dell’istituto emerge del resto dallo stesso articolo 14 censurato, là dove, con evidente riecheggiamento della disciplina dell’articolo 13, terzo comma, della Costituzione, e della riserva di giurisdizione in esso contenuta, si prevede che il provvedimento di trattenimento dell’autorità di pubblica sicurezza deve essere comunicato entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e che, se questa non lo convalida nelle successive quarantotto ore, esso cessa di avere ogni effetto”.

Le autorità di polizia non possono raccontare ancora una volta la solita storiella che il trattenimento amministrativo che si realizza nell`isola di Lampedusa sarebbe solo ai fini di “prima accoglienza e soccorso”, casi nei quali si possono derogare i termini di comunicazione all`autorità giudiziaria e nei quali il trattenimento può avvenire anche al di fuori dei CIE, ma in strutture provvisorie. Come avviene da anni a Porto Empedocle e a Pozzallo, in base a quanto previsto dall`rt. 23 del  Regolamento di attuazione n. 394 del 1999. Come è confermato dai rimpatri effettuati nei giorni scorsi direttamente in Tunisia, dal 6 aprile scorso, il trattenimento amministrativo dei migranti rinchiusi nel Centro di Contrada Imbriacola, al di là della sua incerta qualificazione giuridica, centro di prima accoglienza e soccorso oppure CIE è sicuramente finalizzato all`esecuzione di misure di rimpatrio forzato, peraltro in contrasto con la Direttiva Europea n. 2008/115/CE che il nostro paese non ha neppure applicato nei termini previsti ( il 24 dicembre 2010).

La legge prevede inoltre due ipotesi di provvedimenti limitativi della libertà personale adottati dall`autorità di polizia finalizzati all`identificazione del soggetto: l`accompagnamento ed il trattenimento della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti, trattenimento che non può superare le dodici ore e deve essere immediatamente comunicato al pubblico ministero, che può ordinare il rilascio della persona accompagnata (art. 349 c.p.p.); l`accompagnamento ed il trattenimento al solo fine dell`identificazione della persona che, richiestone, rifiuti di dichiarare le proprie generalità, ovvero quando ricorrano sufficienti indizi per ritenere la falsità delle sue dichiarazioni sulla propria identità o dei documenti esibiti, trattenimento che non può protrarsi oltre le ventiquattro ore e deve essere immediatamente comunicato al pubblico ministero, che può ordinare il rilascio della persona accompagnata (art. 11 D.L. 59/78, convertito con modificazioni dalla L. 191/78). 

La libertà  di comunicazione e libero accesso avvocati è tutelato dall’art. 24 Cost., art. 2 Cedu, art. 21 comma 1 Reg. 394/99.  I migranti trattenuti illegittimamente a Lampedusa, si trovano da sempre in una condizione di limitazione della libertà personale (essendogli inibita l`uscita dal centro ed essendo a tal fine sottoposti a sorveglianza), senza che nei loro confronti sia stato adottato e notificato alcuno dei provvedimenti limitativi della libertà personale previsti dal D.Lgs. 286/98, e senza che il provvedimento sia stato sottoposto nei tempi di cui all`art. 13 Costituzione al vaglio giurisdizionale; né potrebbero nel caso in esame trovare applicazione le richiamate disposizioni in materia di fermo per identificazione, essendo ampiamente decorsi i termini di trattenimento indicati dalle norme richiamate. Le violazioni delle norme in materia di accompagnamento forzato degli stranieri irregolari verificate in questi giorni a Lampedusa costituiscono una gravissima violazione dello stato di diritto che si basa proprio sul principio dell`”habeas corpus” affermato dall`art. 13 della Costituzione, una norma che vale per tutti, cittadini e stranieri, anche se irregolari, in base al preciso richiamo dell`art.13 della Costituzione. 

Occorre quindi che la magistratura competente apra immediatamente una indagine

    * per accertare se i cittadini stranieri (ovvero alcuni dei cittadini stranieri) ospitati presso centro di Lampedusa si trovino in una condizione di illecita limitazione della libertà personale;

    * accertare se nei loro confronti siano stati adottati e notificati provvedimenti amministrativi -e quali – che giustifichino tale privazione d`urgenza della libertà personale da parte delle autorità di polizia;

    * accertare se tale privazione della libertà personale sia stata convalidata dalla competente autorità  giudiziaria nei termini imposti dalla vigente normativa;

    * accertare se siano stati accompagnati coattivamente fuori dall’Italia alcuni dei cittadini stranieri trattenuti nel Cpa di Lampedusa ed in base a quale provvedimento, ed eventualmente se il provvedimento di accompagnamento sia stato convalidato dal competente Giudice di Pace;

    * accertare se nella fattispecie in esame ricorrano gli estremi del reato di cui all’art. 605 c.p., e/o altre disposizioni sanzionatorie penali legate all`abuso da parte delle autorità amministrative degli strumenti di limitazione della libertà personale..

Dal momento che gli stessi comportamenti sopra denunciati, ove accertati, costituirebbero violazione di importanti direttive comunitarie, come la direttiva sui rimpatri n. 2008/115/CE  e gli articoli 5 e 6 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell`Uomo, occorre interessare della situazione a Lampedusa la Commissione dell`Unione Europea e la Corte Europea dei diritti dell`Uomo.

 

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