Migrazioni

Da Lampedusa a Mineo, l`emergenza creata dal governo

Fulvio Vassallo
  Fino al 2008 "modello Lampedusa" significava soccorso e procedure rapide di trasferimento. Oggi assistiamo al blocco di un numero indeterminato di migranti e al proliferare di luoghi di trattenimento in tutta Italia. Centri come Mineo, dalle caratteristiche ancora non definite. Ritardi, omissioni, emergenzialità. La politica governativa in tre parole. Anche a costo di giocare con fuoco.
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 1. Condizioni allarmanti a Lampedusa e Linosa, tensione e detenzione nel centro di Mineo

     La situazione dell`isola di Lampedusa è sotto gli occhi di tutti, anche di coloro che cercano di girare la testa da un altra parte. Ormai si contano almeno 4.000 migranti in media presenti sull`isola giornalmente, in condizioni di semi-libertà. Le condizioni di vita degli isolani che stanno prestando tutta la loro solidarietà e dei migranti sono terribili. Nel centro di Contrada Imbriacola, in condizioni igieniche disumane, sono stipate oltre 2000 persone in un centro la cui massima capienza è di 804 posti. La nave traghetto promessa dal governo per domenica 27 marzo, per una rapida evacuazione dell`isola, non è ancora arrivata ed intanto continuano ad entrare in porto piccole imbarcazioni cariche di migranti provenienti dalla Tunisia, oltre 1000 nelle ultime 24 ore.

     L`intera isola è un immenso “centro di permanenza temporanea” a porte aperte. I migranti vagano senza meta alla ricerca di un riparo, la distribuzione dell`unico pasto giornaliero dura diverse ore. Le procedure di prima identificazione sono sommarie e a rilento.  Nella ex base Loran sono stati raggruppati, senza alcuna documentazione e senza la prescritta notifica alle autorità competenti (i tribunali minorili) come prescrive l`art. 343 del codice civile, oltre cento minori non accompagnati, ragazzi anche di quattordici anni che escono saltuariamente dalla base per raggiungere i loro amici costretti a bivaccare in varie parti dell`isola.

     Da due giorni arrivano nelle isole Pelagie anche persone in fuga dalla Libia, somali, eritrei, etiopi e di altre nazionalità, spesso vittime di torture e di abusi sessuali da parte dei trafficanti o della polizia di Gheddafi. Queste persone, tra le quali numerose donne e minori, vengono concentrate e bloccate nell`isola di Linosa, in vista di un successivo trasferimento a Porto Empedocle, dove al porto c`è un capannone che serve da centro di smistamento verso gli altri centri siciliani, che però sono già pieni. Alcuni di questi migranti in fuga dalla Libia, i primi provenienti proprio da Misurata, tra i quali una giovane donna, sono stati respinti dall`Italia nel 2009, dopo gli accordi tra Berlusconi, Maroni e Gheddafi.

Una ragione in più, forse, perché non vengano contattati da giornalisti o da operatori umanitari. Adesso è in corso la loro “dispersione”. I trasferimenti degli ultimi arrivati dalla Libia verso la Sicilia, come quelli in corso in queste ore da Linosa a Porto Empedocle avvengono in clima di forte controllo di polizia e nessuno conosce la loro destinazione finale, anche se appare assai probabile che finiscano nella struttura di Mineo, aperta da pochi giorni ed ancora priva dei servizi essenziali necessari per offrire accoglienza a persone particolarmente provate da anni di violenze e abusi subiti in Libia.

     Gli stessi controlli di polizia impediscono da domenica 27 marzo l`ingresso nel “Residence degli aranci” di Mineo, persino agli avvocati con tanto di nomina, e gli immigrati rinchiusi in questo luogo non possono uscire liberamente, sia coloro che sono richiedenti asilo già in procedura, che coloro che sono ancora in attesa di identificazione. Si moltiplicano intanto i casi i fuga e si ha notizia di migranti bloccati nelle campagne persino da guardie giurate e ricondotte a forza nel campo di Mineo. Nel resto d`Italia, come a Manduria in Puglia, si stanno approntando strutture detentive di emergenza, il ministro Maroni vorrebbe a disposizione i 13 CIE che “promette” da anni, e tutto avviene con le non-regole da protezione civile, un vero e proprio “stato di eccezione”, che viola tutte le leggi vigenti.

Il Testo Unico sull`immigrazione, all`art. 14 prevede appositi decreti, adottati dal ministro dell`interno, di concerto con i ministri del bilancio, della solidarietà e dell`economia, per la istituzione di nuovi CIE. In base all`art.23 del Regolamento di attuazione n.394 del 1999, le attività di prima accoglienza e soccorso e quelle svolte per esigenze igienico-sanitarie, si possono svolgere anche al di fuori dei centri di identificazione ed espulsione solo “per il tempo strettamente necessario all`avvio dello stesso ai predetti centri o all`adozione dei provvedimenti occorrenti per l`erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato”. 

2. Il rischio di detenzioni arbitrarie

     La scelta di bloccare ogni trasferimento e di concentrare tutti i migranti presso i centri di prima accoglienza e soccorso siciliani, in particolare nell`isola di Lampedusa,  opera una completa inversione rispetto al funzionamento e alla natura stessa dei CSPA, che sarebbe invece quella di attuare un servizio di prima accoglienza e soccorso delle persone salvate in mare, con successivo quasi immediato trasferimento presso altri centri di accoglienza situati in diverse località italiane. La ratio di tale ragionevole scelta, attuata nel corso degli ultimi anni e sino a questo repentino cambiamento di prassi, deriva sia da esigenze logistiche e sanitarie (evitare improprie situazioni di concentrazione di persone nei ristretti spazi a disposizione), sia dall’esigenza di procedere alla definizione della posizione giuridica degli stranieri e all’assunzione dei relativi provvedimenti presso altre strutture, la cui natura giuridica e le cui funzioni siano chiaramente definite dalle norme vigenti. 

     E’  noto, infatti, come la normativa vigente che disciplina gli interventi di soccorso, assistenza e prima accoglienza degli stranieri appaia carente e lacunosa e si presti a interpretazioni difformi e applicazioni discrezionali. In particolare, non risultano definiti i diritti dello straniero destinatario delle misure di assistenza nei cosiddetti centri di prima accoglienza, tuttora disciplinati esclusivamente dalla L.563/95 (detta Legge Puglia), come quelli istituiti in Sicilia a Pozzallo (Ragusa) e a Rosolini (Siracusa). Lo stesso centro di Mineo funziona con uno statuto incerto, in parte per persone che provengono dai CARA, ed in parte per i tunisini provenienti da Lampedusa, come centro di identificazione. Numerosi rapporti hanno evidenziato come sovente gli stranieri vengano di fatto trattenuti presso gli attuali centri di prima accoglienza per periodi di tempo considerevolmente lunghi, variabili da alcuni giorni fino a settimane o mesi, senza che la normativa definisca con chiarezza e tassatività i diritti degli stranieri presenti e senza che tale situazione di effettiva limitazione della libertà personale sia sottoposta ad alcun controllo giurisdizionale.

Va sottolineato che tale situazione, non conforme alla legislazione italiana in materia di provvedimenti limitativi della libertà e che potrebbe altresì configurarsi come una violazione dell’art. 5 comma 1 della Convenzione Europea dei diritti Umani (CEDU), è stata  oggetto delle vive preoccupazioni espresse dal Gruppo sulla detenzione arbitraria istituito in seno allo UN Human Rights Council, che ha altresì ricordato l’inadempienza del Governo italiani nel porre rimedio a una situazione da tempo evidenziata1.

     L’utilizzo del CSPA di Lampedusa come struttura avente unicamente funzioni di primo soccorso e transito non ha mai fornito una risposta adeguata alle carenze legislative sopra evidenziate. Tuttavia, nella prospettiva sopra descritta, va sottolineato che la destinazione di questo centro, dal 2006 al 2008, a luogo essenzialmente di soccorso, con procedure rapide di trasferimento, che nel 2008 hanno riguardato oltre 30.000 migranti, era apparsa come un segnale della consapevolezza delle autorità italiane che in quel periodo attuavano il cd. “modello Lampedusa” rispetto alla necessità di garantire il rispetto dei principi fondamentali dei cittadini stranieri, ubicando altrove nel territorio nazionale l’espletamento delle diverse procedure amministrative.

Oggi, la scelta opposta di bloccare, a tempo indeterminato, a Lampedusa un numero incontrollabile di migranti appena sbarcati o soccorsi in mare e la proliferazione di luoghi di trattenimento in tutta Italia, presso basi militari o comunque in zone sottoposte alla sorveglianza armata, suscitano gravissima preoccupazione sotto il profilo delle possibili violazioni delle norme di diritto interno ed internazionale sulla legittimità e non arbitrarietà della detenzione. 

     E’  necessario perciò chiedersi a quale titolo, i migranti giunti in questi giorni a Lampedusa ed in altre parti della Sicilia, possano permanere in strutture che non sono né CIE ( Centri di identificazione ed espulsione), né CARA (Centri per richiedenti asilo), esaurite le mere necessità di primo soccorso e di organizzazione dei trasferimenti. E’ inoltre essenziale chiarire quali siano le procedure attuate e la loro conseguente legittimità, in ordine all’eventuale assunzione ed esecuzione di provvedimenti di espulsione disposta dal Prefetto o di respingimento differito disposto dal Questore competente ai sensi dell`art. 10 comma 2 del Testo unico sull`immigrazione. 

     Si evidenzia infine che la normativa vigente in materia di esecuzione dei provvedimenti di espulsione e di respingimento disciplina l’utilizzo di apposite strutture presso le quali lo straniero possa essere trattenuto, tipizzando le ipotesi tassative nelle quali il trattenimento può avere luogo e prevedendo altresì una convalida della misura da parte dell’autorità giudiziaria, così come previsto persino dagli articoli 10 e.13 della Costituzione italiana. Appare evidente come le sopraindicate procedure non possano essere in alcun modo attuate presso un centro di primo soccorso ed accoglienza come è quello di Lampedusa, o in un centro dalle caratteristiche ancora indefinite come il “Residence degli aranci” di Mineo.

Anche la detenzione amministrativa che si vorrebbe realizzare nelle tendopoli che si stanno impiantando in zone militari di diverse parti d`Italia appare in contrasto con la disciplina nazionale e con il diritto comunitario, sprattutto dopo la scadenza del termine di attuazione, e dunque la definitiva entrata in vigore della Direttiva n.2008/115/CE che impone agli stati membri di limitare i casi di rimpatrio forzato e di detenzione amministrativa alle sole ipotesi nelle quali non sia stato possibile un rimpatrio volontario. E sarebbe bene che il governo eviti di approfittare della situazione di emergenza che ha creato con i suoi ritardi e le sue omissioni, magari adottando l`ennesimo decreto legge per violare principi costituzionali e direttive comunitarie.

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