Antiracket in Calabria. Tra proiettili e tracollo economico

Reggio, il pizzo è prendere la merce e non pagare

Raffaella Cosentino
  Tiberio Bentivoglio è salvo per un marsupio portato a tracolla. E` stato gambizzato dalla ‘ndrangheta, ora chiede la detassazione per chi denuncia gli estorsori. Dopo 5 attentati, le banche rivogliono il fido, i fornitori lo considerano a rischio e ha dovuto ipotecare la casa. Ma la partita non è chiusa. E` nato il coordinamento pizzo free di Reggio Calabria. Ora i cittadini possono scegliere.
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REGGIO CALABRIA – Salvo per un marsupio portato a tracolla. Tiberio Bentivoglio, titolare della Sanitaria Sant’Elia e coordinatore dei negozi pizzo free di Reggio Libera Reggio, è tornato a lavoro pochi giorni dopo l’agguato a cui è scampato per miracolo. E` stato a Potenza per partecipare alla giornata della memoria e dell’impegno promossa da don Luigi Ciotti. Dice: “Il momento più brutto della mia vita non è mai passato”. Il 9 febbraio scorso, è andato in campagna, in un giardino di sua proprietà in una zona preaspromontana. All’alba, come sempre. All’arrivo, aprendo lo sportello del suo veicolo si è sentito sparare alle spalle, dal bosco. Gli sparano ad altezza uomo, per ucciderlo, da uno scooter o una moto.

Lui non ha visto, ha solo sentito il rumore. Il marsupio girato sulla schiena, all’altezza del rene destro, è stato centrato in pieno da un proiettile. Dentro c’era il portafoglio con tutti i documenti, che conservano il foro. La carta ha fatto attrito e ha rallentato la corsa del colpo d’arma da fuoco. “Mi sono tuffato istintivamente dentro allo sportello scorrevole, da lì ho sentito sei colpi e la paura è stata enorme, soprattutto quando hanno finito di sparare, perché ho pensato che sarebbero venuti a terminare l’opera – racconta – io ho caricato la pistola che tenevo nel marsupio e ho tirato fuori il braccio sparando senza guardare”. E’ finita che l’hanno ferito, gambizzato, ma è ancora vivo. La risposta dei cittadini e delle associazioni è stata di andare in massa a fare acquisti nel suo negozio, il primo caso di consumo critico effettivamente riuscito a Reggio Calabria.

“Una solidarietà immediata, massiva e lodevole, quasi commovente” commenta il commerciante. Bentivoglio è un osso duro. “Vivo qui da 57 anni e ho passato la prima e la seconda guerra di ‘ndrangheta – spiega – quello che pesa di più è che oggi il pizzo vengono a chiedertelo con il sorriso per `le difficoltà della famiglia`, come denunci una cosa del genere?”. Ha alle spalle diciannove lunghi anni di battaglie. Il ‘momento più brutto’ è iniziato il 10 luglio 1992, quando ha inaugurato il negozio, aprendo cinque vetrine su strada senza chiedere il permesso ai padroni del quartiere, al clan Libri.

“Mi rubarono una buona parte dello stock e mi trovai subito in ginocchio – racconta – nel 1998 mi hanno svaligiato il deposito e mi hanno bruciato il furgone, nel 2003 un ordigno ha devastato la vetrina e gran parte della sanitaria, lo spavento è stato immenso”. Motivo della bomba: la richiesta di saldare il conto nei confronti di una donna del clan che aveva pagato solo 500 euro su 3000 di acquisti e il successivo rifiuto a darle altra merce. Il 13 aprile del 2005 un incendio distrugge completamente il negozio. Da intercettazioni ambientali che seguivano la bomba di due anni prima, si scopre che il motivo dell’ennesima intimidazione è “il non aver chiesto il permesso per aprire una Onlus culturale”.

Gli ‘ndranghetisti temevano che Bentivoglio volesse entrare in politica e hanno pensato di fargli un attentato preventivo. E’ il processo ‘Pietra Storta’, che dura quasi sei anni con il rito abbreviato e porta a febbraio 2010 alla condanna in primo grado per associazione per delinquere di stampo mafioso di tre persone, Santo Crucitti, Mario Salvatore Chilà e Giuseppe Romeo. “Sono liberi, in attesa del processo di appello”, sottolinea Bentivoglio.  Da cinque anni, il commerciante è con Libera e ad aprile dell’anno scorso è nata Reggio Libera Reggio, di cui è uno dei coordinatori. “23 negozi pizzo free che raddoppieranno entro un mese” continua Bentivoglio.

Le indagini sull’attentato subito sono ancora in corso. “Sono un commerciante vessato, abbandonato dallo Stato e dalle banche perché sono un cliente a rischio – spiega –. Rivogliono indietro il fido in poco tempo dopo gli attentati e anche i fornitori non ti vendono più la merce a rate. Dal 2003 mi sono autodenunciato perché non verso i contributi a me, mia moglie e ai dipendenti. E’ un reato di appropriazione indebita, quindi ho ipotecato la casa per dare i soldi a Equitalia”. Tra agguati mortali e tracollo economico, è facile intuire perché le denunce contro il racket sono in calo.

“Gli amici negozianti mi rispondono: se denuncio faccio la tua fine! – continua il commerciante –. Servono centri d’ascolto e di accompagno alla denuncia come sostegno psicologico alle vessazioni”. Bentivoglio fa altre proposte per sostenere chi porta in tribunale gli estorsori: la detassazione regionale sui bolli di circolazione e al comune chiede l’esenzione per cinque anni dai tributi come l’Ici.

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