Rosarno (Reggio Calabria) – “Vi perseguitano perché avete rotto le frontiere. Vi intimidiranno, vi porteranno nei commissariati, ma alla fine vi rilasceranno perché voi avete ragione”. Spitou Mendy è nato a Dakar e viene da Almeria, sud della Spagna. Rappresenta il SOC, sindacato andaluso dei lavoratori agricoli. Parla ai suoi fratelli, i lavoratori africani riuniti in assemblea nei pressi di Rosarno. E’ uno dei delegati di “Via Campesina”, la rete di 700 organizzazioni sindacali contadine sparse in tutti i continenti. Insieme al gruppo di studio europeo è venuto nella Piana di Gioia Tauro per confrontare la situazione calabrese con il sud della Francia impaurito dalla crisi e a rischio estrema destra; la Romania dove l’agricoltura povera porta all’emigrazione di massa; la Spagna meridionale dove convivono latifondo, sfruttamento e tensioni; il cuore agricolo d’Europa insoddisfatto per le politiche comunitarie.
“Sono figlio di contadini, sono stato professore in Africa, quindi l’arrivo in Spagna”, racconta Mendy. “Sei mesi come sans papier nelle campagne, poi ho lavorato in edilizia, come cameriere negli hotel, infine ho ripreso quello che facevo a Dakar: il sindacalista”. Da mesi, qua intorno, la polizia controlla i documenti, distribuisce decreti di espulsione, sgombera gli assembramenti, verifica la “legalità” di uomini colpevoli di non avere il giusto pezzo di carta in tasca. “Speriamo di non raccontante più storie come quella di Marcus, morto di polmonite perché viveva nascosto nelle campagne, da ‘clandestino’”, racconta Giuseppe Pugliese dell’Osservatorio Africalabria. “Ha lasciato la moglie e due figli in Africa. Qui è in atto un’emergenza umanitaria, e non si devono produrre discriminazioni. Le leggi in vigore sono strumenti di persecuzione, creano degli invisibili. Che a volte muoiono”.
“Frontex prende un mucchio di soldi per impedirvi di venire a lavorare in Europa”, ribadisce Mendy ai braccianti. “Compagni, siamo in piena guerra economica e noi siamo i più deboli. Ma il lavoratore non ha colore e il primo aiuto dobbiamo darcelo da soli. Però occorre una mente aperta. Siamo troppo vecchi per andare a scuola, ma non c’è un’età limite per studiare: imparate l’italiano, così andrete a vincere le vostre battaglie. In strada, perché è lì il potere. Tutti insieme. Ho un sogno, se tornerò l’anno prossimo voglio vedere che vi siete autorganizzati e che avete scelto un leader”.
L’assemblea si tiene in un agriturismo di Laureana di Borrello, sulla collina che sovrasta la Piana. Dalla finestra, si vede la distesa di agrumi, più in là il Tirreno. Le parole in sala sono anche un filo che si riannoda. Gli appelli accorati colpiscono nel profondo le persone di mezza età, sindacalisti e piccoli produttori, gente che ha alle spalle almeno quarant’anni di lotte, occupazioni, speranze e rivendicazioni e che alla fine era stata sconfitta dal “contesto difficile”, ovvero il mix letale di classe dominante ‘ndranghetista e isolamento politico. Oggi i ragazzi africani hanno riaperto la partita.
La doppia pena
“E’ la doppia pena del mondo contadino” spiega Nicolas Duntze della Confederation Paysanne, probabilmente la più importante organizzazione di contadini in Europa, capace di eleggere un parlamentare a Bruxelles. “Molti dei migranti che arrivano da noi erano contadini nei loro paesi, ‘deportati’ di fatto nei paesi agroindustriali, che importano lavoratori ed esportano prodotti”. Entrambi a basso costo. Secondo la Confederation Paysanne, la PAC (Politica Agricola Comune dell’Unione Europea) sovvenziona l’agricoltura industriale, distrugge le piccole produzioni, crea sovrabbondanza di prodotti da mandare nei paesi poveri. In questo modo vengono distrutti i mercati e le produzioni locali. Duntze cita i polli d’allevamento esportati dalla Francia in Africa, che hanno rovinato tante piccole economie. Ma anche a Rosarno succede qualcosa di simile: le arance sono destinate ai mercati dell’Est e tanti raccoglitori sono bulgari e rumeni. Buona parte del doppio concentrato di pomodoro prodotto in Italia va a finire in Ghana e Nigeria. I raccoglitori africani che lavorano in Puglia, Campagna e Basilicata, dunque, contribuiscono involontariamente alla distruzione delle loro economie.
Lo stesso processo riguarda anche la Romania. Ionut Fumorganu è un giovane avvocato che viene da Bals, una città ai confini con la Bulgaria. Per Propact, il locale sindacato contadino, si occupa dello sportello legale. Si meraviglia di quanti suoi connazionali ci siano nei dintorni, ha provato a coinvolgerli nell’iniziativa, ma ha trovato scarsa fiducia. “Ci vorrebbe un information desk per loro”, mi dice. La differenza con gli africani? “Paper, documenti”. Da quando sono diventati comunitari la loro situazione è molto migliorata. In Romania ci sono tanti piccoli contadini che vendono i loro prodotti ai mercati locali o per l’autoconsumo. Hanno vecchi trattori e attrezzature obsolete”. E’ un’economia che non regge, e l’emigrazione è l’unica soluzione. “Noi usiamo gli italiani, per avere soldi e portali a casa. Voi ci usate perché costiamo meno”, conclude Fumorganu. “Alla fine lo scambio è alla pari. Il problema è il black market del lavoro, l’assenza di diritti. Anche in Romania, per l’80%, si fa ricorso al lavoro irregolare in agricoltura. Proprio per questo servono gli sportelli informativi, per far conoscere ai lavoratori i loro diritti”.
“Nel 2000 c’è stato in Andalusia un vero e proprio pogrom contro i migranti. Solo allora è partita una riflessione”, racconta Mendy introducendo la realtà spagnola. In Andalusia ci sono 30 mila donne rumene, molte delle quali provenienti dalle campagne. Lavorano nelle fabbriche di fragole nel sud della Spagna e sono trattate come schiave. Nei dintorni di Almeria ci sono 40 mila ettari di un solo proprietario. Tutte serre. Quel sistema ha bisogno di vendere a poco prezzo, e quindi di 150 mila lavoratori da pagare poco. Ed ecco ancora la “doppia pena” di cui parla Duntze: essere sfruttati e trattati da delinquenti.
Proprio il delegato francese racconta la campagna del suo paese, tra crisi e regressioni xenofobe. “Quarant’anni fa da noi c’erano quattro milioni di contadini, oggi siamo solo 400 mila”, ricorda. “E adesso non è solo la Francia profonda o contadina a votare Marine Le Pen. Meno rozza del padre, più pericolosa: una destra sociale che prende voti tra gli operai, tra i disoccupati, i delusi del Partito Comunista, in città così come nelle campagne”, conclude Duntze. “Nel nostro migliore momento, riuscivamo a rappresentare circa il 20% del mondo agricolo francese. Tutto il resto va dal centro-destra all’estrema destra. Il Fronte Nazionale non ha mai parlato di secessione, a differenza della Lega Nord in Italia. Ma per il resto l’atteggiamento nei confronti degli immigrati è molto simile”.
La rete “Via Campesina” vuole coniugare una diversa agricoltura col rispetto dei lavoratori. La prima richiesta è quella di aiuti speciali per le piccole aziende, riconoscendo la loro funzione economica, sociale e di salvaguardia del territorio. Ma la concessione deve avvenire solo dopo aver verificato il rispetto dei diritti dei lavoratori. Infine, l’istituzione di un osservatorio per monitorare le condizioni di impiego della manodopera stagionale e la regolarizzazione dei lavoratori stranieri senza documenti.
Spari nel pomeriggio
La discussione in più lingue sulle prospettive dell’agricoltura, la costruzione di un nuovo modello per lavoratori e consumatori, un diverso discorso sulle migrazioni. Siamo a Rosarno, non dimentichiamolo, e qualche hanno fa il massimo che potevi fare era l’elenco delle aggressioni agli stranieri. Quello che stiamo vedendo non è scontato. Ce lo ricordano, nella maniera più brutale possibile, un colpo di lupara e 20 proiettili che ammazzano Vicenzo Barbieri, all’apparenza un anonimo signore di mezza età che conduce una tranquilla vita di paese, secondo gli inquirenti una delle menti dei Mancuso nell’organizzazione del narcotraffico dalla Colombia all’Europa.
La pistola per uccidere, i pallettoni del fucile per sfregiare. Mentre a Laureana inizia il dibattito di Via Campesina (“Vi preghiamo di contenere gli interventi in 5 minuti…”), a venti chilometri di distanza i killer uccidono alle 18 di sabato, a San Calogero, nei pressi di Vibo Valentia. Un omicidio che deve essere anche uno spettacolo, secondo la definizione di Giuseppe Fava. Il giorno dopo, nei paesi, nessuno ne parla in pubblico, ma tutti comprendono che Barbieri non è uno qualunque. Possiamo trovarci alla vigilia di una nuova stagione di sangue.
“A un certo punto la ‘ndrangheta è intervenuta pesantemente nell’agricoltura della Piana. Per lucrare con le truffe e con i falsi braccianti”, mi dice un sindacalista locale. “Nel 1992 abbiamo presentato una denuncia come sindacato, ma abbiamo subito molte ripercussioni. Minacce a nostri iscritti, e nessuno veniva più da noi a presentare le domande per ottenere i sussidi. Allora, investendo un milione di lire per comprare le giornate, dopo un anno ne ricavavi due. Assumendo fittiziamente centinaia di persone che compravano le giornate, si potevano incassare molti soldi. C’è una intercettazione contenuta in una inchiesta dell’allora Procuratore di Palmi Cordova, in cui gli ‘ndranghetisti dicono di aspettare i soldi dei falsi braccianti per acquistare armi e droga. Era comunque liquidità facile da ottenere. Oggi la situazione è cambiata, ma questo dà l’idea del condizionamento criminale sul mondo agricolo”.