ROSARNO (Reggio Calabria). “E’ proibito uscire dalle 24 alle 5. E’ proibito fare attività politica”. Siamo nella “terza zona industriale”, ma ovviamente vediamo una distesa fantasma, nello spiazzo non c’è l’ombra di un impianto funzionante. Ed ecco invece il “campo di accoglienza” che attualmente ospita circa settanta migranti, tutti braccianti agricoli africani impegnati nella raccolta delle arance, e lascia fuori varie centinaia di presenze, in gran parte non in regola con il permesso di soggiorno. Il primo impatto è con le recinzioni, più in là i container e in mezzo un regolamento stampato in fogli A4, incollato all’ingresso con le strisce di nastro adesivo.
Tante regole di buon senso tra cui spicca appunto lo spauracchio della politica. Gli ospiti, tuttavia, sono tutto sommato contenti della sistemazione: “Sempre meglio dei capannoni privi di elettricità e acqua”, mi dicono senza troppi giri di parole. Il ricordo degli spaventosi capannoni alla Cartiera o all`Opera Sila è ancora vivo. D’altra parte, gli amministratori ribadiscono che si tratta di una soluzione tampone, in attesa di interventi strutturali ma comunque dopo una ventina d’anni di immobilismo.
In discussione, in realtà, c’è qualcosa di più ampio, ovvero il modello di accoglienza. Rosarno, Mineo e Riace sono i tre poli su cui si gioca una partita importante. Su questo, Domenico Lucano, sindaco della cittadina della locride, ha le idee molto chiare: da un lato si propongono centri con recinzioni, regolamenti e una gestione costosa; dall’altro esperienze basate sull’accoglienza diffusa, la rivitalizzazione di borghi spopolati e interventi basati sul recupero edilizio e non su nuove costruzioni.
Invece su Rosarno stanno per piovere milioni basati sul cemento, provenienti dal PON Sicurezza dell`Unione Europea e dal POR della Regione Calabria: è in fase d’appalto il centro di accoglienza pensato nella area dell’ex Beton Medma, sul terreno confiscato ai Bellocco. Altri milioni arriveranno dall’edilizia sociale per le “fasce svantaggiate”, tra cui i migranti. Il sindaco Elisabetta Tripodi annuncia anche – in collaborazione con le associazioni – corsi per potatori e badanti. L’idea di fondo è quella dell’integrazione, ma qui abbiamo in gran parte gente di passaggio.
“Con due milioni e mezzo di euro – il costo del centro di accoglienza alla Beton Medma – si potrebbe realizzare accoglienza diffusa per tre mesi l’anno per venti anni, utilizzando le case sfitte e lasciando reddito al territorio, non a ditte di Milano o di Reggio Calabria, spesso legate alla criminalità organizzata”, osserva Lorenzo Romito, architetto dell’associazione romana Stalker. Il confronto avviene nel corso del dibattito all’Auditorium rosarnese, il 12 marzo 2010, nell`ambito dell`iniziativa “Via Campesina”. Alla fine, sembra che ognuno resti sulle sue posizioni e che i diversi modelli non si “contamineranno”. “Oggi i comuni hanno pochissime risorse”, ammette Tripodi. “E non possiamo permetterci di rifiutare alcun finanziamento, fosse pure un PON”.
La stagione agrumicola è ormai al termine. Quest’anno ha prevalso il modello dell’accoglienza recintata, degli sgomberi, degli arresti. Le testimonianze arrivano dall’Osservatorio migranti `Africalabria.org`. Sulla pagina Facebook del 18 marzo hanno pubblicato provocatoriamente l’immagine di un locale cartello stradale sforacchiato a pallettoni. “Ora sì che ci sentiamo più sicuri”, scrivono, alludendo al fatto che sui quei territori l’insicurezza ha una sola matrice, quella mafiosa, non certo quella di un ragazzo dalla pelle nera colpevole di non avere il giusto pezzo di carta in tasca. La stampa locale ha riferito di un grande dispiegamento di forze (“pattuglie del Commissariato di Gioia Tauro, agenti della Questura, carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro e della Tenenza di Rosarno, agenti di Polizia Municipale…). “Le cose stanno finalmente cambiando”, conclude il cronista. “Il centro recupera la dignità persa da tempo…”.
Ma cosa è successo? “Sono state sgomberate per l`ennesima volta alcune case fatiscenti in pieno centro storico a Rosarno dove quattrordici africani vivevano in condizioni igienico sanitarie decisamente difficili”, racconta invece Giuseppe Pugliese di Africalabria. “Non sappiamo ancora se sono stati trattenuti, sistemati da qualche parte oppure, come sempre è accaduto, sgomberati e basta. L’altro ieri è stato arrestato di nuovo uno dei due ragazzi fermati due settimane fa. Anche questa volta alle sei del mattino mentre stava sulla Statale sperando di trovare una giornata di lavoro. E stato arrestato e processato per direttissima non perchè stesse facendo chissà cosa, ma perchè non aveva il permesso di soggiorno”.
Mentre le istituzioni seguono la linea della ‘sicurezza’ dettata dal Ministero dell’Interno, la società civile è particolarmente attiva. La “Rete Radici” ha avviato con la Prefettura e le istituzioni un tavolo per la regolarizzazione dei migranti e l’emersione del lavoro nero. Gruppi come Libera “Valle del Marro” ed “Equosud” stanno cercando di costruire un’alternativa. Equosud, in particolare, collega GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) e contadini locali, che vendono gli agrumi a un prezzo più giusto saltando i canali della grande distribuzione organizzata e l’intermediazione parassitaria. I risultati, ancora parziali, appaiono molto positivi e hanno probabilmente gettato le basi per un nuovo modello, per cui l’agricoltura produce reddito, ai lavoratori viene pagato un giusto compenso, che permette loro di vivere dignitosamente. Si risolve così a monte la questione dell’accoglienza.
Anche i produttori etici locali possono finalmente uscire dall’ombra. Fino a un anno fa chi faceva biologico vero e stipulava regolari contratti (magari trascorrendo intere mattinate in Questura per procedure interminabili) era del tutto isolato. Quasi un pazzo. Oggi è diventato il motore del cambiamento e un esempio da imitare. Uno dei tanti effetti della rivolta africana.