Roma – Giornalisti sfruttati dalle redazioni che temono di perdere il lavoro se chiedono condizioni più dignitose o il rispetto dei loro diritti. Pagati appena due o tre euro ad articolo anche da importanti testate nazionali. Non pagati affatto o retribuiti a rigaggio per pochi centesimi a riga nelle regioni del Sud dove scrivono di mafie.
È la drammatica verità denunciata attraverso la campagna “Non lavoro per meno di 50 euro” che ha raccolto le testimonianze di alcuni giovani giornalisti. Emerge un quadro desolante da Trieste fino alla punta dello stivale. La bacheca promossa da “Terrelibere.org” che cerca di fare breccia nel muro di silenzio che circonda il precariato e lo sfruttamento dei collaboratori nelle redazioni giornalistiche.
“Un altro anno a 200 euro al mese non so se lo reggo”, raccontano i giornalisti che hanno deciso di scrivere la loro storia personale. E ancora: “Pagata da 10 anni 3 euro lordi a pezzo (2,50 euro in busta paga) e non solo brevi lanci anche veri e propri servizi dopo intere giornate di lavoro. In dieci anni una sola sostituzione”, oppure “Ho lavorato fino al nono mese di gravidanza con il Pc sulle ginocchia perchè la sedia era scomoda e la mia pancia urtava contro la mia scrivania. E mi sono sentita dire dai miei capi: Non posso bucare una notizia perchè tu stai partorendo”.
Molte volte si lavora senza nemmeno sapere se e quanto si verrà pagati. Una situazione che sta trasformando il giornalismo italiano in ‘roba da ricchi’ perché solo chi ha una famiglia facoltosa alle spalle che copre tutte le spese può permettersi di fare il giornalista.
“Non lavoro per meno di 50 euro” è la campagna dei giornalisti che rifiutano di scrivere gratis. (http://www.terrelibere.org/tag/quattro-per-cinque). Si ispira all`esempio dei braccianti africani che a Castel Volturno hanno scioperato contro i caporali con questo slogan. Gli obiettivi della campagna sono di avere un compenso minimo garantito per le notizie coperte, tempi certi per la retribuzione, regole standard e chiare per le collaborazioni, l’iscrizione al sindacato con una quota ridotta per i freelance e i precari, la rappresentanza sindacale nelle redazioni anche per i collaboratori. Ma lo scopo è anche quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che molti giornali, siti e contenitori di informazione sono prodotti sfruttando i giornalisti, con contratti da fame o senza uno straccio di contratto per anni.
La campagna nasce da un eBook di inchiesta sul giornalismo italiano, dal titolo “Quattro per Cinque. Quattro centesimi per cinque pallottole. Vi raccontiamo i giornalisti tra minacce e sfruttamento”. L’autrice, Raffaella Cosentino, giornalista freelance, si riferisce ai casi di giovani colleghi minacciati dalla ‘ndrangheta in Calabria lavorando per 4 centesimi a riga. Le loro storie sono raccolte nell’eBook, insieme a un’analisi più ampia sulle condizioni di lavoro dei freelance.
I giornalisti vengono paragonati ai braccianti africani di Rosarno, pagati un euro a cassetta, e gli articoli alle arance, pagate al produttore a 6 centesimi al chilo mentre arrivano nelle casse dei supermercati a un prezzo molto maggiore. Allo stesso modo, gli ‘schiavi della notizia’ lavorano per pochi euro mentre gli editori incassano milioni di contributi pubblici e di pubblicità.
“Non è una forzatura demagogica l’accostamento tra le condizioni del precariato giornalistico e quelle degli immigrati – scrive Roberto Natale, presidente Fnsi, il sindacato dei giornalisti, nella postfazione dell’eBook -. Pratiche di reclutamento e di pagamento alla mano, i nostri editori non hanno titolo per sentirsi offesi dal parallelismo (ma poi se ne offendono?). Come non hanno motivo di lagnarsi le nostre gerarchie di redazione, quelle che ogni giorno reclutano braccia per la raccolta delle notizie, se qualcuno le vive come i caporali che passano all’alba col furgoncino nella piazza del paese”.