Faccio parte della nuova generazione che ha vissuto in Tunisia sotto il regno assoluto di Ben Ali. Al liceo e al collegio si ha sempre paura di parlare di politica: “Ci sono informatori ovunque”, ci viene detto. Nessuno osa discutere in pubblico. Tutti sono sospetti. Il vostro vicino, il vostro amico, il vostro droghiere sono informatori di Ben Ali. Volete essere portati via con la forza voi, o vostro padre, in un luogo sconosciuto, una notte alle quattro di mattina?
Siamo cresciuti con questa paura di impegnarci, e continuiamo i nostri studi, le nostre passeggiate, le nostre serate, a prescindere dalla politica. Durante gli anni del liceo cominciamo a sapere qualcosa dei meandri della famiglia del dittatore, escono fuori storie, qua e là, in particolare su Leila [Ben Ali Trabelsi, la moglie di Ben Ali, n.d.t.] che ha preso il controllo di un’industria, che si è appropriata del terreno di un’altro, o che si è messa a trattare con la mafia italiana.
Se ne parla, se ne discute fra noi, tutti lo sanno ma nessuno agisce. Continuiamo a studiare, capiamo subito che la televisione tunisina è la peggiore al mondo, tutte le informazioni emanate sono effigi per la gloria del Presidente, Ben Ali sempre ritratto nel suo momento migliore, sappiamo tutti che si tinge i capelli. Nessuno ama la sua donna dal sorriso di legno. Lei non ha mai avuto un’aria sincera.
Viviamo. Non viviamo: pensiamo di vivere. Siamo indotti a credere che va tutto bene perché facciamo parte della classe media, ma sappiamo che se i caffè sono pieni fino all’inverosimile durante il giorno è perché lì i disoccupati discutono di calcio.
Le prime discoteche aprono le porte, si comincia a uscire, a bere, inizia ad esserci vita notturna sulla costa di Sousse e Hammamet, altre storie circolano su un tal Trabelsi che ha tagliato la gola a una persona per invidia, di un altro che ha provocato un incidente con la macchina e se ne è andato a dormire, ancora un Trabelsi. Ci si scambiano queste storie, di nascosto, rapidamente. Ci vendichiamo a modo nostro, raccontando, abbiamo l’impressione di complottare.
I poliziotti hanno paura, se gli si dice che sei vicino a Ben Ali tutte le porte si aprono, gli hotel privati mettono a disposizione le loro stanze migliori, i parcheggi diventano gratuiti, le code per strada non esistono più. La Tunisia diventa un campo da gioco virtuale, loro non rischiano niente, possono fare tutto, usano le leggi come fossero marionette.
Internet è bloccato, le pagine censurate sono assimilate alle pagine non trovate, in modo che si pensi che quelle pagine non sono mai esistite. Gli studenti si scambiano i proxy [un proxy è un programma che si interpone tra un client ed un server, inoltrando le richieste e le risposte dall`uno all`altro, n.d.t.], la parola d’ordine diventa: ‘Hai un proxy che funziona?’.
Siamo stanchi, ne discutiamo fra noi, sappiamo tutti che Leila Ben Ali ha provato a vendere un’isola tunisina, che vuole chiudere la Scuola americana di Tunisi per promuovere la sua scuola, queste storie circolano. Su Internet e negli zaini “abbiamo “La régente de Carthage” [l`inchiesta sulla moglie di Ben Alì, diffuso in PDF e in edizione cartacea]. Amiamo il nostro paese e vogliamo che questa situazione cambi ma non c’è un movimento organizzato, la tribù è pronta, manca all’appello un capo.
La Tunisia, la corruzione, le tangenti, abbiamo solo voglia di andarcene da qui, incominciamo a compilare domande per andare a studiare in Francia, in Canada… Tutti vogliono scappare. E’ un atto vile, si dà per assunto. Si abbandona il proprio paese. Si parte per la Francia, si dimentica un po’ la Tunisia, si ritorna per le vacanze. La Tunisia? Le spiagge di Sousse e Hammamet, le discoteche di notte, e i ristoranti. Questa è la Tunisia, un enorme Club Med. Ed ecco che Wikileaks rivela quello che tutti mormorano.
Ecco, un giovane s’immola nel fuoco. Ecco, venti tunisini vengono ammazzati in un sol giorno.
E per la prima volta vediamo l’occasione di ribellarci, di vendicarci di questa famiglia reale che si è presa tutto, di rovesciare quell’ordine stabilito che ha accompagnato tutta la nostra giovinezza.
Una giovinezza educata, che è stanca, e che si appresta ad abbattere tutti i simboli di questa vecchia Tunisia autocratica, attraverso una nuova rivoluzione, la Rivoluzione del Gelsomino, quella vera.
Traduzione di L. Declich. Testo originale su nawaat.org