Negli anni Novanta, dalle mie parti in Sicilia, chi voleva fare il giornalista cominciava a scrivere articoli per i periodici locali. Naturalmente gratis. Nel 1997 pubblicai il mio primo articolo, attratto dal fascino che il mestiere di giornalista indubbiamente emana. L’obiettivo era mettere insieme 60 “pezzi” in due anni per ottenere il tesserino di pubblicista. Il problema era che quegli articoli dovevano essere «retribuiti».
E chi l’aveva vista mai una retribuzione? Gli editori – a loro dire – erano dissanguati dal costo della carta, dalle spese tipografiche, dall’aumento delle tariffe postali per le spedizioni in abbonamento, ecc. Nessuno cenno alle entrate pubblicitarie o ai contributi degli Enti locali, che pure c’erano. E cospicui. Altrimenti non si spiegherebbe perché questi giornali continuano a uscire da oltre trent’anni. Chiedere un compenso significava chiudere il giornale, con danni incalcolabili alla pluralità dell’informazione. Amen.
Se non ti stava bene, potevi andartene. Schiere di aspiranti pubblicisti erano pronte a lavorare gratis al posto tuo. Alla fine gli editori, bontà loro, ti consigliavano come aggirare l’ostacolo della retribuzione. Ti rilasciavano una certificazione di compenso (falsa) e tu versavi la ritenuta d’acconto (vera) su pagamenti mai incassati. E tutto era in regola, almeno dal punto di vista formale. Così gli editori onesti. Quelli disonesti, invece, ti chiedevano dei soldi per farti scrivere perché, in fondo, ti davano gli accrediti per spettacoli e concerti e perché alla fine ottenevi pure il tesserino di giornalista.
Chi è diventato giornalista negli anni Novanta dalle mie parti, ha seguito una di queste due strade. Terzium non datur. In un modo o nell’altro, comunque, il tesserino lo prendevi. E con quel pezzetto di carta con fodera in similpelle marrone scuro in tasca, ti presentavi al caposervizio di un quotidiano per lavorare nel mondo dell’informazione. A 6 euro (lordi) il “pezzo”. Ecco dunque che, passati gli slanci d’entusiasmo del neofita, l’informazione diventava un calcolo numerico, una questione di sottrazioni. Se per scrivere un articolo, facevi un giro di tre o quattro telefonate, tra redazione e informatori vari, spendevi 2 euro; se ti spostavi, consumando carburante, pagando il parcheggiatore abusivo o inserendo una moneta nel parchimetro, spendevi altri 2 euro. Se poi ne incassavi 6 per l’articolo, allora avevi lavorato quasi in perdita.
Controllare le fonti, vagliare le informazioni, condurre inchieste, erano tutte cose che costavano. Lussi che non potevi permetterti. Piuttosto potevi prendere il comunicato stampa, via fax o magari in formato elettronico. Poi, senza muoverti da casa, aprivi il file, selezionavi le informazioni, le incollavi in un nuovo documento, cambiavi l’attacco e in pochi minuti l’articolo era pronto. A costo zero. Certo, non era la stessa cosa che andare sul posto, parlare con tutti, sentire protagonisti e antagonisti di una vicenda.
Ma non potevi rimetterci. Lavorando sul campo disimparavi tutto quello che avevi appreso nelle scuole di giornalismo. Imparavi a essere un “ragioniere” dell’informazione, a limitare le telefonate, gli spostamenti, il tempo impiegato per scrivere. Ho lavorato per i due maggiori quotidiani dell’isola dal 2003 al 2010, domenica e festivi compresi, per pochi euro ad articolo, senza ferie né malattie. A volte ho speso più di 6 euro per raccontare la realtà, vivendo d’ideali. E l’ho fatto con un contratto di collaborazione occasionale. Due o più articoli al giorno per sette anni di fila, in effetti, è una prestazione occasionale. Anche secondo il sindacato di categoria. Alla fine, ho cambiato mestiere per sottrarmi a una condizione sempre più avvilente e a una vicenda esemplare dei mali che affliggono l’informazione italiana.
A chi se la prende con giornalisti che non fanno bene il loro mestiere, a chi lamenta la pessima qualità dell’informazione e la scomparsa delle inchieste dalle pagine dei quotidiani – per carità, tutte cose vere – bisognerebbe spiegare quanto guadagna un giornalista, come vive e lavora. Oltretutto, chi guadagna pochi euro difficilmente potrà essere imparziale e indipendente, insensibile al canto delle sirene dei poteri forti e della politica.
Non è un mistero che in provincia alcuni giornalisti, sfruttati e sottopagati sui quotidiani, arrotondano con consulenze elettorali e uffici stampa di politici. Difficile attendersi da loro un’informazione imparziale. Altri, invece, hanno un altro impiego che lascia loro del tempo libero per scrivere qualche pezzo. Fanno gli insegnanti-giornalisti, gli impiegati-giornalisti, i pompieri-giornalisti. In ogni caso fanno i mezzi giornalisti. Se l’informazione in Italia fosse una cosa seria, tutto ciò sarebbe inconcepibile. Ma tant’è. [Testimonianza firmata]