Come si poteva prevedere, non c’era certo da essere ottimisti, il sindaco di Mineo e il presidente della provincia di Catania hanno ceduto alle pressioni di Maroni e due giorni fa abbiamo avuto l’annuncio: il centro di Mineo, una struttura di palazzine già occupate da militari americani della base di Sigonella, “accoglierà” circa 2000 “richiedenti asilo”. Al centro dovrebbero essere quindi trasferite persone richiedenti asilo, ma senza alcuna garanzia che una commissione territoriale sia appositamente istituita, come prevede la legge. Forse si pensa di dislocare periodicamente in questa nuova struttura la Commissione territoriale di Siracusa, che però già in passato ha dimostrato di non essere in grado di fare fronte alle esigenze del CARA di Caltanissetta e alle esigenze di altre strutture della parte meridionale della Sicilia, come Cassibile, adesso chiuso dopo ripetuti scandali, e Pozzallo.
Le notizie danno per certo che il centro sarà rivolto all’integrazione e dovrebbe diventare un “modello”, una “città dell’accoglienza”, con interpreti, mediatori, associazioni, e con la gestione dominante della Croce Rossa, stando alle prime notizie. Quello che è certo è che il centro di accoglienza sarà “protetto” da “un cordone di forze di polizia”. Se fosse un vero centro di accoglienza non ci sarebbe bisogno di questo schieramento militare. Quello che appare evidente è che il governo vuole sfruttare questa ennesima emergenza creata sul territorio per trasformare il regime del trattamento dei richiedenti asilo, che in base alle direttive comunitarie ed al nostro ordinamento interno, non possono essere trattenuti in un centro chiuso, e quello di Mineo sarà proprio un centro chiuso.
Inoltre è alto il rischio che il governo deporti da un centro all’altro, per tutta l’Italia, coloro che sono già in regime di accoglienza e che questo spezzi i legami di integrazione già costruiti ed abbatta le possibilità di presentare ricorsi contro i dinieghi di status.
Rimane sullo sfondo l’applicazione sommersa del reato di immigrazione clandestina: ad Agrigento per esempio, per quanti giungono dalla Tunisia, e la prassi della rimessione in libertà dai CIE con l’intimazione a lasciare entro 5 giorni il territorio nazionale, un invito alla clandestinità.
Nessuno intanto pensa ad applicare agli immigrati in fuga dal Maghreb gli istituti della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria previsti dal nostro ordinamento, mentre rimane inapplicata la normativa sull’accoglienza dei profughi nel caso di afflussi di massa, in base all’art.20 del T.U. 286 del 1998 sull’immigrazione. Si stanno creando le condizioni di una nuova emergenza umanitaria, che non deriva soltanto dalle tragiche vicende del Maghreb, su cui l’Italia ha tante responsabilità, ma dal modo irresponsabile e improvvisato con il quale si sta gestendo la situazione degli arrivi, paventando anche il rischio di un ondata biblica, con devastanti conseguenze sul piano dell’informazione e dell’opinione pubblica.